FOGLIO LAPIS - FEBBRAIO- 2020

 

Come far rimpatriare le tante risorse umane di alto livello che il Paese ha perduto negli ultimi anni? - Gli incentivi fiscali suscitano qualche perplessità perché rischiano di premiare proprio i più abbienti – La soluzione ideale, forse utopistica: restituire al sistema Italia una dinamica di crescita che insieme freni le fughe e incoraggi i rientri

 

Con un regime di agevolazioni fiscali si è tentato di arginare il fenomeno della “diaspora intellettuale”, al tempo stesso incoraggiando i rientri degli italiani espatriati e gli arrivi di giovani stranieri qualificati. Ma le cifre del fenomeno migratorio non ne hanno risentito nel senso positivo che ci si aspettava. Infatti il numero di laureati che hanno scelto di stabilirsi all'estero è in costante aumento, mentre quello dei rimpatriati è più o meno stabile, dunque il saldo ha conosciuto un'evoluzione negativa. A prescindere dalla sua efficacia, il sistema delle agevolazioni registra molte critiche. Per esempio si fa notare che concedendo vantaggi fiscali a chi rientra, indipendentemente dalle motivazioni individuali, si finisce con l'elargire risorse anche a chi rientrerebbe comunque, e non soltanto perché attratto dalle agevolazioni tributari. Inoltre, poiché la tipologia dei cervelli in fuga li descrive prevalentemente come provenienti da famiglie con reddito superiore alla media, molti criticano un meccanismo che va a vantaggio dei più abbienti.

Alcuni osservatori ritengono che una possibile soluzione del problema consista nell'incoraggiare i giovani stranieri che vengono a studiare in Italia a trattenervisi dopo la laurea, entrando nel nostro circuito produttivo e compensando così la perdita secca determinata dalla fuga di tanti italiani. Secondo i dati del ministero dell'istruzione, università e ricerca, il numero di studenti stranieri nel sistema italiano di istruzione superiore si aggira attorno al cinque per cento, si tratta dunque di un fenomeno quantitativamente considerevole. É invece più ridotta, ed è drasticamente calata negli ultimi anni, la presenza straniera in fatto di docenti e ricercatori. Questo comporta che la maggior parte degli studenti stranieri, dopo avere raggiunto il titolo nelle università italiane, preferisce tornarsene torna a casa. Un adeguato sistema di incentivi potrebbe trattenerli da noi. Inoltre l'aumento delle assunzioni di personale straniero per le cattedre italiane farebbe affluire dall'estero un numero maggiore di studenti stranieri.

Al di là degli incentivi e delle agevolazioni fiscali, è chiaro che il modo più efficace per migliorare il saldo migratorio intellettuale sarebbe rendere il nostro paese più competitivo e dunque più attraente a livello internazionale. Non se ne andavano di certo, i nostri ragazzi, in quei magici anni fra i Cinquanta e i Sessanta dello scorso secolo, quando l'Italia seppe risollevarsi dal disastro della guerra trasformandosi da piccolo paese rurale a evoluta potenza industriale. Quello che ci serve è appunto una nuova ricostruzione, che facendo leva sull'aumento del lavoro femminile, su risorse nascoste quali il rientro dall'evasione fiscale e dall'economia sommersa, e sul recupero della potenzialità finora inespressa o quasi del Mezzogiorno, riproduca il clima positivo di allora.

Rischiamo evidentemente di sconfinare nel regno dell'utopia, ma come negarci il conforto della speranza? La speranza che come per incanto i nostri giovani finiscano di scappare, trattenuti dalle nuove possibilità aperte da una congiuntura finalmente favorevole, e che molti giovani stranieri vengano a colmare i vuoti del declino demografico. Un declino che nelle nuove condizioni potrebbe ridimensionarsi, visto che fra le cause del bassissimo tasso italiano di natalità si registrano appunto la precarietà, la mancanza di prospettive, l'incertezza sul futuro.

 

 

                                                                      l. v.           

 

 

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