Come
far rimpatriare le tante risorse umane di alto livello
che il Paese ha perduto negli ultimi anni? - Gli incentivi
fiscali suscitano qualche perplessità perché
rischiano di premiare proprio i più abbienti –
La soluzione ideale, forse utopistica: restituire al sistema
Italia una dinamica di crescita che insieme freni le fughe
e incoraggi i rientri
Con
un regime di agevolazioni fiscali si è tentato di
arginare il fenomeno della “diaspora intellettuale”,
al tempo stesso incoraggiando i rientri degli italiani espatriati
e gli arrivi di giovani stranieri qualificati. Ma le cifre
del fenomeno migratorio non ne hanno risentito nel senso
positivo che ci si aspettava. Infatti il numero di laureati
che hanno scelto di stabilirsi all'estero è in costante
aumento, mentre quello dei rimpatriati è più
o meno stabile, dunque il saldo ha conosciuto un'evoluzione
negativa. A prescindere dalla sua efficacia, il sistema
delle agevolazioni registra molte critiche. Per esempio
si fa notare che concedendo vantaggi fiscali a chi rientra,
indipendentemente dalle motivazioni individuali, si finisce
con l'elargire risorse anche a chi rientrerebbe comunque,
e non soltanto perché attratto dalle agevolazioni
tributari. Inoltre, poiché la tipologia dei cervelli
in fuga li descrive prevalentemente come provenienti da
famiglie con reddito superiore alla media, molti criticano
un meccanismo che va a vantaggio dei più abbienti.
Alcuni
osservatori ritengono che una possibile soluzione del problema
consista nell'incoraggiare i giovani stranieri che vengono
a studiare in Italia a trattenervisi dopo la laurea, entrando
nel nostro circuito produttivo e compensando così
la perdita secca determinata dalla fuga di tanti italiani.
Secondo i dati del ministero dell'istruzione, università
e ricerca, il numero di studenti stranieri nel sistema italiano
di istruzione superiore si aggira attorno al cinque per
cento, si tratta dunque di un fenomeno quantitativamente
considerevole. É invece più ridotta, ed è
drasticamente calata negli ultimi anni, la presenza straniera
in fatto di docenti e ricercatori. Questo comporta che la
maggior parte degli studenti stranieri, dopo avere raggiunto
il titolo nelle università italiane, preferisce tornarsene
torna a casa. Un adeguato sistema di incentivi potrebbe
trattenerli da noi. Inoltre l'aumento delle assunzioni di
personale straniero per le cattedre italiane farebbe affluire
dall'estero un numero maggiore di studenti stranieri.
Al
di là degli incentivi e delle agevolazioni fiscali,
è chiaro che il modo più efficace per migliorare
il saldo migratorio intellettuale sarebbe rendere il nostro
paese più competitivo e dunque più attraente
a livello internazionale. Non se ne andavano di certo, i
nostri ragazzi, in quei magici anni fra i Cinquanta e i
Sessanta dello scorso secolo, quando l'Italia seppe risollevarsi
dal disastro della guerra trasformandosi da piccolo paese
rurale a evoluta potenza industriale. Quello che ci serve
è appunto una nuova ricostruzione, che facendo leva
sull'aumento del lavoro femminile, su risorse nascoste quali
il rientro dall'evasione fiscale e dall'economia sommersa,
e sul recupero della potenzialità finora inespressa
o quasi del Mezzogiorno, riproduca il clima positivo di
allora.
Rischiamo
evidentemente di sconfinare nel regno dell'utopia, ma come
negarci il conforto della speranza? La speranza che come
per incanto i nostri giovani finiscano di scappare, trattenuti
dalle nuove possibilità aperte da una congiuntura
finalmente favorevole, e che molti giovani stranieri vengano
a colmare i vuoti del declino demografico. Un declino che
nelle nuove condizioni potrebbe ridimensionarsi, visto che
fra le cause del bassissimo tasso italiano di natalità
si registrano appunto la precarietà, la mancanza
di prospettive, l'incertezza sul futuro.
l. v.
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