FOGLIO LAPIS - FEBBRAIO- 2020

 

Dalle regioni meridionali del nostro Paese i giovani si spostano non soltanto verso l'estero, ma anche verso l'Italia settentrionale - Il problema riguarda in primo luogo la Sicilia, seguono la Campania e la Puglia – Un fenomeno che oscura le prospettive di sviluppo dell'economia, particolarmente necessario in questa parte del Paese

 

Secondo dati forniti da Svimez, l'ente che studia e promuove lo sviluppo industriale del Sud, oltre due milioni di persone, per la metà giovani al di sotto dei trentaquattro anni, sono emigrati dalle regioni del Sud Italia nel primo ventennio di questo secolo. Soltanto in parte, circa un quinto, si sono stabiliti all'estero, mentre gli altri hanno alimentato il fenomeno della cosiddetta migrazione interna, si sono cioè spostati da un Mezzogiorno caratterizzato da altissimi tassi di disoccupazione alle regioni del Nord, a cominciare dalla Lombardia, dove esistono più possibilità di trovar lavoro. Anche questa è fuga di braccia e di cervelli, che contribuisce a mortificare le speranze di rilancio dell'economia nelle aree interessate. É la Sicilia la regione maggiormente interessata a questo fenomeno, ma ne soffrono anche la Campania e la Puglia.

Bisogna notare a questo punto che la crisi strutturale e congiunturale di cui da tempo è afflitta l'Italia è per così dire compensata, in una prospettiva che vogliamo ostinarci a non considerare utopistica, da tre potenzialità racchiuse nel superamento del lavoro sommerso e dell'evasione fiscale, nell'apporto lavorativo femminile e nel decollo economico del Sud. La trasformazione di queste potenzialità in concreta realtà potrebbe portare a un nuovo miracolo economico: ma per quanto riguarda il Mezzogiorno è chiaro che se i giovani scappano all'estero o al Nord la potenzialità è destinata a rimanere tale.

Sempre secondo i dati di Svimez, nel 2017 il fenomeno dello svuotamento del Sud si è accentuato, la congiuntura economica sfavorevole ha fatto sì che quell'anno 132mila abitanti dell'Italia meridionale, per un terzo laureati, lasciassero le loro case per trasferirsi altrove, tre quarti in altre regioni italiane, quelle del Nord, e un quarto all'estero. Con un saldo demografico negativo attorno al due per mille nell'insieme del Mezzogiorno, appare chiaro che gli afflussi di stranieri, quei migranti che per la massima parte approdano proprio in quelle regioni, sia pure con il proposito di proseguire verso il Nord o verso altri Paesi europei, non bastano a compensare le fughe della gente del posto. Infatti se gli stranieri residenti nell'Italia centrale e settentrionale nel 2017 superavano largamente i quattro milioni, nel Sud erano meno di novecentomila. Inoltre va considerato un tasso di natalità decrescente da anni, che rende negativo il saldo nascite-decessi.

Del resto quello dell'emigrazione meridionale verso il Nord Italia, l'Europa e le Americhe è un fenomeno storico, che ebbe il suo culmine nei primi decenni del secolo scorso. Un fenomeno sul quale, fra l'altro, si fondò la politica coloniale di Roma soprattutto nell'età giolittiana, quando si additò nella Libia il territorio ideale nel quale indirizzare, piuttosto che verso lidi più lontani e a volte ostili, l'eccesso di manodopera italiana. Per questo un poeta come Giovanni Pascoli benedisse con una famosa espressione, “la grande proletaria si è mossa”, la guerra italo-turca per la conquista della quarta sponda. Un'altra stagione di fortissima migrazione interna fu il secondo dopoguerra, quando l'Italia della ricostruzione vide milioni di lavoratori affluire dal Mezzogiorno alle grandi industrie del Nord, oltre che alle miniere e alle fabbriche di altri Paesi europei.

Allora non si parlava di fuga dei cervelli, in effetti la quota di emigrazione altamente qualificata era ancora esigua. Erano piuttosto le braccia, che ormai l'agricoltura non poteva più assorbire, a spostarsi verso lidi più promettenti. Anche dal Sud, l'emigrazione massiccia di giovani laureati o diplomati è fenomeno recente, che è insieme effetto e causa dal calo dei tassi di sviluppo.

 

 

 

                                                                      f. s.           

 

 

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