Pillole di saggezza indiana (d'America): non è la terra ad appartenere all'uomo, ma l'uomo alla terra - “Il nostro è solo un passaggio in un mondo che non rispettiamo”, dice Louise Erdrich, la scrittrice mezza tedesca e mezza Ojibwe che vive in una riserva – Ricorda l'orrore del grande genocidio di cui così poco si parla – Solo da pochi decenni le cinquecento nazioni native presenti negli Stati Uniti sono considerate un'entità legale
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Stop wars
Murale di Miami, quartiere di Wynwood |
Ci sono poesie scritte dagli
incendi / e poesie scritte
dalla polvere / Parole che si
trovano sotto ai sassi /
parole che escono dal
pane / Molte poesie sono
scritte dagli alberi /
soprattutto quelli a punta /
i cipressi e gli abeti sono
grandi poeti / Anche il
tavolo della cucina scrive
poesie / e molte vecchie
fotografie / E poi ci sono
poesie che scrivono
poesie / le scrivono nello
spazio bianco tra le loro
righe / come l’eco di una
nota / Per sentirla bisogna
restare seduti / nella sala
di lettura poetica mentre
tutti se ne vanno / Restare
seduti, in ascolto, nella
sala vuota
Questa poesia è come fosse stata ritrovata da Louise Erdrich, grande scrittrice nativa americana, dentro la copia di una Bibbia conservata presso la Biblioteca del Congresso di Washington. La sua cultura d’origine ha ancora molto da insegnarci. Per esempio, che la terra e la natura non ci appartengono. L’intervista che segue è come fosse stata registrata al termine della Women’s March anti Trump, in data 21 gennaio 2017: “… E ora non dimenticate di rimettere l’orologio indietro di 300 anni”, è come dicessero le donne a chi starà a guardare.
Cosa si può imparare oggi dalla cultura e dalle tradizioni dei nativi d’America? Recentemente i Sioux del Nord Dakota, ad esempio, hanno vinto una battaglia contro le trivellazioni petrolifere
«La cultura nativa è caratterizzata dal rispetto per la natura: non siamo proprietari di nulla, e il nostro è solo un passaggio in un mondo che non rispettiamo. I miei antenati dicevano che non è la terra ad appartenere all’uomo, ma l’uomo alla terra. Esiste qualcosa di molto più grande, che non è mio, e comprende anche quello che io creo. Oggi molti nativi d’America sono in prima linea nel combattere la costruzione di oleodotti che sventrano la terra e ciò mi fa tornare in mente una frase celebre: “Solo dopo che l’ultimo albero sarà abbattuto, solo dopo che l’ultimo lago sarà inquinato, solo dopo che l’ultimo pesce sarà pescato, voi vi accorgerete che il denaro non può essere mangiato”. Lo disse Thathanka Lyothake, che i bianchi chiamavano Toro Seduto».
Ritieni che quello che hanno subito gli indiani d’America sia un genocidio?
«Certo, come altro si può definirlo? Si tratta di genocidio, perché nato da una scelta governativa. La politica ha deciso di sterminare le tribù indiane per impossessarsi dei loro terreni. Ha utilizzato ogni mezzo, anche mediatico: una battaglia in cui prevalevano i bianchi era definita grande vittoria, una in cui prevalevano i nativi d’America un massacro. Solo in un secondo momento si è cominciato ad educare, ma non per intenti benefici: unicamente per assimilare».
Frank Baum, autore del “Mago di Oz”, scrisse: “La nostra unica salvezza dipende dal totale sterminio degli indiani”
«È una frase agghiacciante , che riflette lo spirito del tempo: persino uno scrittore della qualità di Baum diffondeva simili sconcezze. Oggi mi è difficile valutare con serenità la sua arte, anche se so che bisogna sempre storicizzare: è uno dei tragici paradossi della natura umana».
Solo nel ’78 il Congresso ha garantito per legge la libertà di culto ai nativi
«Fino a quello stesso anno i figli dei nativi americani erano sottratti alle loro famiglie e mandati forzatamente in collegi affinché si assimilassero. Soltanto allora ci fu un cambiamento netto, e si cominciò a garantire dignità a tutti i livelli, e considerare le 500 nazioni dei nativi d’America un’entità legale».
Che importanza ha avuto essere Ojibwe nel tuo lavoro di scrittrice?
«Un’importanza fondamentale: sono cittadina di due nazioni, e ciò influenza ogni atto della mia vita. Quello che scrivo non è altro che la rappresentazione del mondo che conosco».
Tu per metà sei anche tedesca
«Anche nella cultura tedesca è molto presente la celebrazione della natura. L’ho imparata da mio padre novantunenne».
In che misura la scrittura deve riflettere la propria identità?
«Lo deve fare sempre, altrimenti si rischia di non essere sinceri: nel mio caso però la mia identità è doppia, all’interno di quel melting pot unico che è l’America. Mio nonno emigrò qui dopo aver combattuto la Prima guerra mondiale per la Germania, mentre mio padre combatté la Seconda guerra mondiale per l’America contro i tedeschi».
Alce Nero, un grande capo indiano, disse: “Non è come nasci, ma è come muori che rivela a quale popolo appartieni”
«Niente di più vero, e questo deve far riflettere sul significato della morte, un pensiero che rifiutiamo, pur sapendo che prima o poi moriremo tutti. La frase di Alce Nero è un invito alla dignità e alla necessità di rimanere davvero vivi fino alla fine».
In sostanza
Louise Erdrich, per metà indiana d’America, residente all’interno della riserva degli Ojibwe, dice che anche nella cultura tedesca è molto presente la celebrazione della natura. Dice: “L’ho imparato da mio padre novantaduenne”. Tutto questo è vero.
- Filippo Nibbi
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