FOGLIO LAPIS - FEBBRAIO - 2017

 
 

Quasi la metà della popolazione italiana, denunciò a suo tempo il linguista Tullio De Mauro, fatica a comprendere un testo scritto – Sanno leggere, sanno scrivere, ma non vanno al di là dell'identificazione pura e semplice della parola, ignorando le connessioni logiche – La proposta di un'insegnante per aggredire il fenomeno: insegniamo agli alunni, fin da piccoli, l'arte del riassunto che non è semplice copia e incolla di frasi tratte dal testo

 

Gli analfabeti, coloro che non sanno leggere né scrivere, sono in Italia poco più del cinque per cento. Ma esiste anche, in misura ben maggiore, un altro tipo di analfabetismo, detto funzionale. Significa, in poche parole, saper leggere ma non saper capire. L'analfabeta funzionale è in grado di individuare le parole e le frasi, ma gliene sfugge la concatenazione logica, non riesce dunque a recepire il senso compiuto della parola scritta. Risultato: per lui il libretto d'istruzioni di un elettrodomestico è incomprensibile, non parliamo poi di un articolo di giornale, di un testo teorico. Il mondo necessario dell'informazione, l'universo affascinante delle idee sono per lui terra incognita.

Secondo uno studio di qualche anno fa del linguista Tullio De Mauro gli analfabeti funzionali sono oltre il 47 per cento della popolazione italiana, quasi la metà. Una stima che alcuni specialisti considerano esagerata, anche perché non tiene conto della graduazione di gravità dei singoli casi (c'è chi comprende qualcosa, chi qualcosa di più, chi non comprende proprio niente) ma che dà comunque un'idea del preoccupante ordine di grandezza del fenomeno. Di più: l'analfabetismo funzionale non è soltanto una tara a carico delle persone con modesti titoli di studio: può riguardare anche diplomati e persino laureati. Dipendono certamente anche da questo gli scarsissimi indici di lettura che si registrano nel nostro Paese. L'analfabeta funzionale non legge libri né giornali, e nemmeno ne sente la mancanza, perché se mai ci prova riesce soltanto a smarrirsi fra parole e frasi che sono per lui più o meno prive di senso. É dunque condannato a non beneficiare del principale canale informativo e formativo.

Ovviamente questo problema chiama in causa la scuola. Come mai il nostro sistema educativo sforna analfabeti, sia pure “soltanto” funzionali? Una risposta interessante è quella che un'insegnante di vasta esperienza, Mariangela Galatea Vaglio, affida al settimanale L'Espresso. Secondo la professoressa Vaglio la ragione del fenomeno risiede nel fatto che la nostra scuola ha praticamente abbandonato l'arte del riassunto. O per meglio dire la pratica in maniera poco corretta, trasformandola in un copia-e-incolla di parole e frasi tratte pari pari dal testo di riferimento. Un sistema che gli stessi libri di testo a volte incoraggiano, evidenziando graficamente le frasi essenziali che l'alunno riproduce tali e quali pensando che proprio in questa sorta di puzzle consista il significato del riassumere. Capita così che il ragazzo invitato a spiegare il proprio riassunto spesso ignora il significato delle parole che ha usato, per tacere del senso di ciò che ha cercato di sintetizzare.

Un buon riassunto, spiega la docente, deve essere fatto con parole proprie: soltanto così può testimoniare l'avvenuta comprensione del testo di riferimento. Sul piano operativo, avverte, la questione è complicata dal faticoso percorso di avvicinamento alla meta per tentativi successivi. Una didattica tradizionale che è andata quasi perduta, era scomoda e poco gradita da docenti e discenti ma aveva effetti positivi, fa notare la professoressa Vaglio. E permetteva alla scuola di istruire gente per cui la parola scritta aveva davvero un senso. Sembra di poter dire che se un tempo c'erano più analfabeti tout court, erano meno gli analfabeti funzionali fra coloro che uscivano dal sistema scolastico.

 

 

                                                        l. v. 
                                         

  


                                                  

 
 

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