Trentotto anni or sono furono testimoni della celebre lezione di Gianni Rodari a una scolaresca di Arezzo – Dopo la riedizione del libro che registra quella esperienza Giuliana Signorini e Filippo Nibbi hanno ricordato davanti a una platea d'insegnanti le emozioni di allora, al tempo stesso riproponendo il meccanismo degli “Esercizi di fantasia” e suggerendone l'applicazione in classe - Una serata fantastica, nel senso proprio della parola
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La lezione aretina di Gianni Rodari, 23 marzo 1979 |
“Nel deserto passa un cammello ogni mezzora”. E allora? Semplice, basta raddoppiare! Nella Casa delle culture di Arezzo tocca a Filippo Nibbi, curatore degli “Esercizi di fantasia” di Gianni Rodari (si veda la recensione nel numero del Foglio Lapis dello scorso ottobre: http://www.fogliolapis.it/ottobre2016-2.htm), il compito vagamente provocatorio di stimolare l'immaginazione dei presenti. Davanti a una platea composta prevalentemente da insegnanti, Nibbi si fa portavoce dell'esigenza di applicare alla realtà scolastica di oggi la formula che Rodari aveva affidato prima alla “Grammatica della Fantasia”, quindi agli “Esercizi”, accurata trascrizione del memorabile incontro dello scrittore con una scolaresca di Arezzo. Rodari venne a mancare prima della pubblicazione del libro, ora riproposto da Einaudi, ma è bastato un evento come questo per dimostrare la vitalità della sua lezione.
Perché la scuola per essere seria deve essere noiosa? Questo si chiedeva Rodari, risparmiandoci almeno la triste considerazione che la scuola può essere noiosa anche senza essere seria. Accanto a Nibbi nella Casa delle culture c'era Giuliana Signorini, un'altra testimone dell'incontro del 23 marzo 1979. Lei, allora giovane docente, lo ricorda con intatta emozione, fu una tappa essenziale della sua vita professionale: l'irruzione della fantasia nell'universo didattico imponeva la capitolazione dei vecchi schemi esclusivamente legati a una logica importante ma insufficiente, dunque obsoleta, priva di calore e di anima. Vedere il maestro impegnato non già a instillare nozioni, piuttosto a far sgorgare le idee dalla mente dei bambini, attraverso un esercizio maieutico di rara efficacia, fu un'esperienza indimenticabile.
Bastavano una parola, una coppia di parole, un accostamento d'immagini, e la fertile intelligenza infantile faceva il resto andando a frugare negli angoli più riposti dello spazio infinito rivelato dalla fantasia. Di più, la parola è flessibile e multiforme: può essere elaborata, arricchirsi delle sue associazioni, della sua ricezione iconica o sonora; si può giocare con le onomatopee, le assonanze, le rime. Il presupposto è una totale libertà individuale e collettiva. Proprio la scoperta di questa libertà è il grande dono di Rodari, e Nibbi, che sul tronco della “fantasia” ha innestato la “fantastica” ben nota ai lettori di questo periodico, avverte l'esigenza che quella intuizione, quel patrimonio non vadano perduti. Di qui il proposito di riproporre una visione così stimolante, per cercare di scuotere dal letargo questa “buona scuola” che non riesce a essere tale.
L'immaginazione può essere sollecitata in molti modi. Anche con i versi. Come questi, proposti fra i tanti nell'evento rievocativo di Rodari, che si riallacciano direttamente al mito immortale della libertà:
Sono andato al canile per prendere un cane
ho guardato decine di occhi supplicanti
ho ascoltato le loro paure e i loro pianti.
Avrei voluto scusarmi, spiegarmi, parlare,
ho provato, per gentilezza, ad abbaiare.
Ma non c'era niente da capire:
dietro a una porta chiusa
si grida solamente “fammi uscire”.
- a.
v.
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