Il
governatore Andrew Cuomo mobilita risorse, provenienti in
parte da denaro versato dal sistema bancario in seguito a
condanne, per offrire istruzione agli ospiti delle carceri
di Stato – L'iniziativa non ha solo carattere
umanitario, si propone anche di ridurre il tasso di
recidività – Gli Stati Uniti ospitano la più numerosa
popolazione carceraria del mondo, una realtà legata anche
alle privatizzazioni lanciate negli anni Ottanta
“Le
carceri non dovrebbero essere considerate un magazzino, dove
si rinchiudono le persone per un certo numero di anni per
poi reinserirle nella
società pretendendo che siano migliori”. Così Andrew
Cuomo, governatore dello Stato di New York, che prosegue:
“Bisogna puntare sulla riabilitazione dei carcerati,
sull'aiuto alle persone”. E così il governatore ripropone
una sua vecchia idea: corsi d'istruzione offerti ai
detenuti, soprattutto giovani. Più precisamente: corsi
integrati per un migliaio di carcerati nelle prigioni dello
Stato, fra le quali le celebri strutture di Attica e Sing
Sing, nei prossimi cinque anni. Quando il democratico Cuomo
propose per la prima volta questa iniziativa, fu bloccato
dall'opposizione dei conservatori repubblicani, che con lo
slogan kids before cons, i bambini prima dei
detenuti, trovarono sconveniente che si sottraessero risorse
al sistema educativo per destinarle a gente che aveva conti
in sospeso con la giustizia.
Ma
stavolta il governatore è riuscito ad aggirare l'ostacolo.
Il suo piano non prevede distrazione di risorse dalle
normali scuole dello Stato: il denaro necessario per
finanziare i corsi, la bella cifra di quindici milioni di
dollari, proverrà per metà da contribuzioni private e per
l'altra metà dai fondi raccolti dalla magistratura
attraverso le pene pecuniarie che hanno colpito alcune
banche internazionali condannate per aver violato sanzioni
decretate dal governo degli Stati Uniti. Si tratta di un
consistente flusso di denaro che finisce nelle casse della
magistratura di New York a causa del fatto che proprio qui,
nella capitale finanziaria degli Stati Uniti e non solo, si
sviluppano questi procedimenti giudiziari. Di fatto, le
risorse così accumulate hanno già alimentato numerose
iniziative a supporto della legalità.
Ecco
perché Cuomo si dice sicuro che stavolta il suo piano sarà
approvato e realizzato. Esso obbedisce non soltanto a una
motivazione umanitaria, il proposito di restituire alla
detenzione l'originario carattere riabilitativo, allo stato
attuale utopistico, ma anche a un'esigenza sociale, quella
di ridimensionare la recidività, un fenomeno che nel
sistema penale americano è fortemente diffuso. Molti
giovani che finiscono in carcere per reati minori ne escono
spesso con propositi criminali più gravi, forti fra l'altro
della “formazione” ottenuta dai più esperti compagni di
prigionia. Si tratta, argomenta Cuomo, di sostituire una
istruzione vera e produttiva a questa sorta
d'indottrinamento criminale. Di offrire a quei giovani uno
strumento per il riscatto, di farli uscire dal carcere
motivati a mettersi in regola nei loro rapporti con la
società.
Gli Stati Uniti d'America hanno la più numerosa
popolazione carceraria del mondo, sia in cifra assoluta,
oltre due milioni di detenuti, sia relativamente alla
popolazione, più di settecento ogni 100 mila abitanti. Come
se in Italia avessimo oltre 420 mila detenuti, sette volte
gli attuali ospiti delle nostre prigioni. Divisi fra carceri
locali, di stato e federali, per circa un quinto i detenuti
americani sono in attesa di giudizio. Ci sono poi altri
cinque milioni di persone fra liberi su cauzione in attesa
di processo, a piede libero sulla parola o agli arresti
domiciliari. Negli anni Ottanta, durante la presidenza di
Ronald Reagan, fu avviata la privatizzazione di parte del
sistema carcerario: assieme al dilagare dei reati connessi
con i traffici di droga, l'affiorare di un interesse privato
alla detenzione ha influito sul sistema giudiziario
contribuendo, a detta degli osservatori, all'aumento delle
condanne a pene detentive.
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l. v.
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