Secondo
uno studio dell'OCSE scaturito dalle rilevazioni triennali
PISA sul rendimento scolastico, il rendimento medio dei
sistemi educativi non risente
della crescente presenza di alunni provenienti da
culture diverse – Tuttavia è un fatto che i risultati
migliori si registrano dove la società, e di conseguenza
la popolazione scolastica, è più compatta – Si tratta
comunque di una sfida ineludibile: ecco le condizioni per
affrontarla con successo
Da
anni ormai l'OCSE (Organizzazione per la cooperazione e lo
sviluppo economico) tiene sotto osservazione i sistemi
scolastici dei Paesi membri. Lo fa attraverso le indagini
PISA (acrostico inglese: programma per la valutazione
internazionale degli studenti) che ogni tre anni analizzano
e mettono a confronto le competenze linguistiche,
matematiche e scientifiche dei ragazzi quindicenni. Sulla
base dei risultati delle indagini condotte fra il 2003 e il
2012, l'OCSE ha pubblicato uno studio (Gli studenti immigrati
a scuola – Favorire il percorso verso l'integrazione)
che focalizza l'attenzione sull'influsso esercitato sui
sistemi educativi dal massiccio fenomeno migratorio,
caratteristico dei nostri tempi e destinato a durare, se non
addirittura a crescere, negli anni venturi.
Ebbene,
la conclusione dello studio è migliore di quello che ci si
poteva aspettare: secondo Andreas Schleicher, il funzionario
OCSE che ha coordinato l'operazione, nonostante l'imponenza del fenomeno migratorio la statistica
rivela che non ha prodotto conseguenze negative sui
rendimenti scolastici medi, nemmeno nei Paesi caratterizzati
da quote d'immigrazione particolarmente elevate. Inoltre lo
studio fa emergere chiaramente quattro condizioni perché la
sfida della scuola multietnica possa essere affrontata con
successo. I risultati migliori si registrano quando i
bambini immigrati frequentano la scuola fin dall'asilo,
vengono inquadrati in classi normali, ricevono una
preliminare formazione linguistica, hanno a che fare con
docenti addestrati per insegnare a scolaresche assortite per
provenienza etnica e culturale.
Purtroppo
queste condizioni non sempre coesistono: spesso gli alunni
stranieri arrivano in età superiore a quella dell'asilo, a
volte non conoscono che poche parole nella lingua del Paese
ospite, e i loro docenti non sono preparati specificamente
per un compito così delicato. Del resto sappiamo bene che a
guidare le classifiche derivanti dalle indagini PISA sono le
scuole di quei Paesi nei quali da società relativamente
compatte discendono scolaresche altrettanto compatte: è il
caso della Corea, del Giappone, della Finlandia. Dunque non
c'è dubbio che le classi multietniche rappresentino una
sfida: il fatto che finora non abbiano influito
negativamente sui rendimenti medi non può che incoraggiare
chi è posto di fronte a una prospettiva decisamente
multietnica e multiculturale e ha dunque il dovere di
adattarvi la propria visione del mondo. Un dovere che
purtroppo non è favorito dal clima attuale a proposito di
accoglienza: di fronte ai flussi impetuosi che premono alle
sue frontiere l'Europa è spaventata e tende al rifiuto. Né
la partecipazione straniera alle attività criminali o
episodi come l'aggressione alle donne la notte di Capodanno
a Colonia sono fatti per calmare le acque.
C'è evidentemente, a
monte della questione scolastica, un problema più
generale, l'esigenza di mettere ordine nel fenomeno
migratorio, di gestirlo in modo da fargli perdere i
connotati dell'emergenza, da incanalarlo verso una
dimensione programmata. Perché in ogni caso è proprio
questa la realtà destinata a connotare il
nostro futuro, bisogna farci i conti. Quanto alla
scuola, non può che prepararsi alla sfida con l'arma dei
quattro punti suggeriti dall'OCSE.
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r. f. l.
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