Camminavo
su questo sentiero nudo in mezzo all'aria e a uno spazio così grande e bello.
Si
sentiva il vento per quello che è: il respiro del mondo.
Poi
mi sono accorta che piangevo. Forse per rispetto, forse per armonia. Di sicuro
per quel silenzio e per quel cielo che mi toccava.
Tanti
baci anima mia, tanti baci pieni di vento.
Perché
qui, lungo la storica route 66, è
così: si vedono gli animali come sono lì… in-vento.
Sono segnati dal 66, naturalmente.
Mentre da noi si vedono le bestie, tutte incravattate. Segnate dal 666.
Sono state segnate in fronte da un bel problema. Solo un bambino se ne
accorgerebbe, e direbbe indicando col ditino quel numero: "…Ha un
problema". La mamma che l'ha in braccio, lo riprenderebbe… "Ma che
dici?"…
Funziona
così: tutto a un tratto uno di noi in macchina comincia a gridare: "Lì! Lì!
Là! Lilà… LAAAA!!!" E tutti girano la testa come indemoniati cercando
di vedere l'animale misterioso, perché chi lancia l'urlo di avvistamento è
troppo strozzato e senza fiato per sillabare anche il nome dell'avvistato. E così
tu guardi freneticamente verso un punto imprecisato dell'universo non sapendo se
devi vedere un cavallo, un grizzly, una pulce del deserto, una tigre, un
serpente a sonagli o Brad Pitt. E insomma, ieri, mentre guardavo spasmodicamente
in giro, ho visto questo essere grigio molto spettinato sul bordo di un muretto.
Subito per identificarlo mi è scattato nella testa il denso sapere zoologico
che segretamente conservo in me per queste stupefacenti occasioni. "È un
cane?" ho pensato. "No, troppo strambo". "Un
orsacchiotto?". "No, troppo magro". "Una lince?".
"No. Troppo poco gattesco… Un opossum? una volpe? un riccio? un dingo? un
coguaro? un'iguana? un puma?... No no no e no".
Mentre
annaspavo, ecco una voce nell'abitacolo: "GUARDATE! UN COYOTE!!!!".
E
SUBITO UN
GRAN VOCIARE: "Sì! sì! là! ecco! un coyote! un coyote!" Tutti a
fare i saputi che riconoscono un coyote al volo passando a 75 miglia all'ora
sulla storica route 66.
È
stato un
attimo, un magnifico attimo sospeso, un commovente incontro interspecifico, poi,
il coyote, si è girato e ci ha mollato, come fosse "piovuto dal
cielo", non senza averci prima guardato per un secondo molto intenso in
cui, io lo so, ha pensato: "Ma che cavolo di animali sono questi…
Scimmie? Opossum? O… possum come
anticamente? Ricci?... Con quei capelli!... Cercopitechi?... Che cerco?...
Uomini?... Non me li ricordavo così brutti!... Bestiale!... AH NO, ecco:
COYOTES! Ecco cosa sono: Coyotes"…
Bestie
che siamo!... "Bestie che siete!" come dicevano una volta i maestri a
scuola alle scolaresche… Dunque, da ieri mi tormento di molte altre domande:
due in particolare. La prima: – Che
cavolo di animale abbiamo visto noi? La seconda: – Che
cavolo di bestie ha visto il coyote?
Io
l'America la conosco pochissimo. Solo New York e Amherst dove c'è la casa di
Emily Dickinson. È abbastanza vicino a Boston. È stato faticoso staccarsi
dalle radici, ma l'ho fatto con la convinzione mi facesse bene. Infatti nel
viaggio, velocissimo, altissimo e astutissimo, una parte di me, la più lenta,
vecchia e carogna è rimasta indietro (eh eh eh) e così io adesso sono qui solo
con i miei rami, molto più allegra e leggera.
Notazioni
e avvenimenti americani:
Conosciuto
scoiattolo al Grand Canyon, dato pezzetto di pane dolce delle Hawaii, lui corso
verso di me, messo sui suoi piedini e tutto proteso verso di me agitato
freneticamente sue manine, minuscole e bellissime, per averne ancora, io dato,
lui preso, poi vuole ancora e ancora, io dato tutto, ovviamente, ci siamo
lasciati da grandi amici e prima di correre a vomitare dietro a un albero, si è
lasciato accarezzare e mi ha appoggiato le manine minuscole e bellissime sulle
gambe e mangiato da mia mano. Tutti intorno incantati. Io più incantata di
tutti. Scoiattolo non so se incantato. Los Angeles è per lo più identica a
Topolinia. Niente a che fare con le nostre mostrocittà. Americani molto garbati
sereni gentili non sembrano essere ostili, anzi, pare che il prossimo sia loro
gradito MA COME FANNO????? Non c'è pressione: la quantità di umani per metro
quadrato è irrisoria. Loro sono 250 milioni ma hanno una "casa"
grandissima e non si pestano i piedi.
Piccolo
orrore: in un autogrill nelle ex-terre degli Indiani. Ma gli Indiani ci sono
ancora, dentro a roulotte scassatissime e casine tristissime e senza i loro
amati bisonti. Vicino alla cassa, fra gli snack, vendono grilli secchi. GRILLI!
GRILLI SECCHI DA MANGIARE… BESTIALE!
Quando
li ho visti ho pensato: "Ah, ecco! Adesso sì che tutto torna: Siete
quelli che hanno buttato l'atomica su Hiroshima".
Prossime
puntate:
–
Ho visto un
coyote, ma lui per fortuna non ha visto me!
–
Numero dei morti
ogni anno nel Grand Canyon (ma saranno scemi!)
–
Il Grand Canyon
non è giù ma su.
–
Visto cerva
mentre cercavamo di vedere Cervo con cucciolo, il Cervino,
scalato da noi da Bonatti nel 1965. Fu l'ultima scalata. Date le centinaia di
migliaia di cartelli stradali che dicevano "Occhio", qui c'è un cervello
gigante maschio che cercherà di sfondarvi la macchina a cornate.
–
Le schifezze sono
buone! (a proposito del loro cibo).
–
L'America è
bellissima!!!
–
Il cielo qui è
molto più grande e azzurro del nostro. Ma MOLTO MOLTO MOLTO. Se non vedete
questo cielo, fate a meno di vantarvi di aver visto il cielo.
–
L'aria, forse per
rispetto verso il suddetto cielo, è pulitissima, garbata, frizza, accarezza, si
lascia bere e mangiare, è trasparente buona incantevole, ti fa ricordare come
era l'aria prima dei nostri riuscitissimi esperimenti milanesi di trasformarla
in gas.
–
Good
bay – o god baj? O gnok bavij? Boh! beh, ciao neh?
Una
notazione generale: qui sono tutti tondi come pianeti. Qualcuno è proprio
grasso; moltissimi, per ora, sono soltanto tondi o a forma di patate come
asteroidi… Ma cosa mangiano? Palloncini?
Sentite
questa. Robe da matti. Mentre guardavo sul dizionario la parola "lag",
che vuol dire "ritardo", mi è caduto l'occhio su quella seguente:
"lager". Ho pensato: "Questa la so", ma ho letto lo stesso.
E invece no, sapete che cosa significa? "Birra chiara" e poi, tra
parentesi, "di tipo tedesco"!!!... Clac! Scatta qualcosa. Da qualche
parte dell'universo tutto cambia.
Occhio,
scrivo male, scrivo in fretta, scrivo alle 6 del mattino, ma vi voglio
raccontare tutto. Questa notte alle 3 mi sono svegliata.
C'era
una luce in camera come un'Aurora Boreale. La Tv aveva una lucina rossa a
sinistra e una verde a destra. Una grossa sveglia emetteva numeri rossi.
L'interruttore del bagno navigava in una tenera fluorescenza rosa. Sopra al
frigobar un forno a microonde con il dispay vèrdico
acceso. Di fianco allo specchio della camera, dal phon fissato al muro,
lampeggiava una luce rossa molto convincente. "Lavati i capelli"
diceva la luce rossa: "Dài! Lavati i capelli". Mi sono alzata, in
mezzo a tutte quelle luci inutili che fanno graffi al buio e prima ho pensato:
"Cavolo, ma dove siamo, a Helsinki?" E poi: "Quasi quasi mi lavo
i capelli".
Poi
sono tornata a letto.
Ho
fatto un sogno-libro. Un brutto sogno-libro.
Sto
leggendo "La campana di vetro" della poetessa americana Sylvia Plath,
il suo unico libro in prosa. Lo leggo a voce alta in macchina.
All'inizio
tutti insieme abbiamo anche riso. Era come una giornata in febbraio: una grande
bellezza, un innocente cielo azzurro, però una lama fredda di vento increspava
l'acqua. Una sola lama orizzontale, solo sull'acqua. Chi sta a riva può
continuare a pensare: "Magnifica giornata, sembra primavera". Chi
guarda al largo rabbrividisce, si stringe forte il golfino intorno al cuore e
dice: "Andiamo via, dài".
Questa
notte mi sono portata il libro in camera e prima di dormire sono andata avanti a
leggerlo d sola. Lei non è più a New York con le sue amiche, non va più alle
feste. È tornata a casa, da sua madre. E prima non dorme per 3 notti, poi per
8, poi per 21, poi le viene la bocca piena di sabbia, poi le braccia le
diventano pesantissime e le tiene penzoloni lungo il corpo, poi la sua voce non
è la sua voce, poi si nasconde, poi striscia sul pavimento perché non la veda
il mondo attraverso la finestra, poi la sua calligrafia diventa quella di una
bambina di 4 anni: grandissime lettere tremule in stampatello, tutte sbilenche,
che non sanno dove aggrapparsi, dondolano un po' poi cominciano a scivolare giù
per il foglio in una specie di molle discesa occupandolo per sbieco.
Poi
le fanno l'elettrochoc.
Io
ho spento la luce.
E
ho fatto un brutto sogno. E il sogno è iniziato esattamente nel posto della mia
mente in cui avevo lasciato il libro. C'era un punto d'attacco lì, di un
materiale duro, scuro, pieno di scanalature concave e curve, come una traccia
scavata da un verme con la forma di una grossa D maiuscola.
E
il sogno che si è presentato portava al suo inizio lo stesso attrezzo metallico
a forma di D, ma con i segni lasciati dal verme convessi. Clac! Si è sentito
nel buio. E i due si sono agganciati. Poi mi sono svegliata alle 3, in un punto
in cui non volevo più sognare quelle due ragazze che affogavano e una forse
l'avevano salvata e l'altra no. La cercavo disperatamente con gli occhi
nell'acqua, ma vedevo solo un'immensa forma nera a stella che si muoveva come
una gigantesca medusa e poi capivo che quei tentacoli erano i sub che cercavano
di salvarla circondandola e che dentro c'era lei, nera, morta, sepolta sotto i
suoi soccorritori neri. E quella ero io, o Sylvia Plath, perché quelli che
scrivono poesie sono tutti già morti. E in questo i poeti sono tutti uguali.
Comunque, c'è molta luce di notte in America. L'importante è non chiudere gli
occhi.
Punto
6, fattore primo di 66:
Le schifezze sono buone.
Qui,
lungo la storica route 66 che da
Chicago porta a Los Angeles, si mangia di tutto: cibo messicano, cibo thai, cibo
cinese, cibo navajo, cibo italiano, cibo marziano, cibo himalayano, cibo vegano,
cibo giap. E cibo americano ovviamente.
Da
cosa si distingue il cibo autoctono? Dal fatto che è sempre impacchettato;
anche se lo fa la nonna, anche se è appena uscito dal forno, paf!, come per
magia – magia nera – entra nel cellophan.
Ma
cosa prevede la rinomata cucina yankee? Soprattutto patatine. Dorate, soffiate,
a panforte, vaporizzate, intramuscolo, frantumate da una macchina molto
intelligente che gli toglie la forma di patate e subito dopo le passa a un'altra
macchina molto intelligente che le modella a forma di patate. E poi naturalmente
le ficca nel cellophan.
Patate
coltivate nel formaggio sciolto, patate alla birra, patate a forma di ricciolo
di Marilyn Monroe, patate al cioccolato, patate di bufalo, patate al quarzo,
patate e noci, patate ai lamponi, patate alle patate. E poi le più comuni: olio
fritto a forma di patate.
Ma
soprattutto patate al peperoncino. Ieri ne ho comprato un pacchetto. "Flamin-hot"
c'era scritto in mezzo a un disegno rosso con altissime fiamme; e così non si
può dire che non mi avessero avvisato. Sul pacchetto c'era scritto "53
grammi". "Pochino" pensi. Poi lo apri e lui ti salta addosso
come Hannibal Lecter. Così impari a sottovalutarlo. Dentro ci sono due patatine
sottilissime che però pesano come un coguaro per colpa dell'olio che hanno
nelle vene. Tutto il resto è peperoncino. Mezzo etto di polvere pirica. Io
faccio la gnorri e prendo la prima patatina. Lei si lascia prendere. Perché
sono addestrate così: a esploderti dentro come i proiettili dum dum. La scena
è questa: Siamo in macchina, come sempre, a fare migliaia di chilometri nel
deserto dell'Arizona per correre a vedere rocce rosse da una parte dello Stato e
poi rocce rosse esattamente dalla parte opposta dello Stato. Fra i due opposti
le miglia si contano a migliaia (eh eh eh). Gli altri parlano. Per lo più,
straparlano. Mentre io ingollo un paio di patatine. Passano due secondi e faccio
un gigantesco starnuto. "Salute!" dice la mia anima gemella. Io provo
con un grazie ma esce un rantolo. Lei mi guarda e io le scoppio a tossire in
faccia. "Stai bene?" mi chiede. "Arrgh!". Cerco di mandare
giù, ma la polvere pirica ha aderito a tutte le pareti interne e le tiene
prigioniere. Mi si riempiono gli occhi di lacrime. "Bello eh?" fa la
mia anima gemella indicando il paesaggio. Il peperoncino che si è impossessato
di me annuisce educatamente. Io piango e piango mentre il peperoncino mi prende
a calci la gola. "Basta! Non ce la faccio" penso: "Devo chiedere
un armistizio: gli lascio tutta l'Arizona – decido – se il peperoncino
lascia me". Glielo propongo. Lui sferra un attacco ancora più feroce. Mi
vuole morta – è inutile – e io non so come impedirglielo. "Vuoi
acqua?" chiede la mia anima gemella che è intelligente mica per niente. E
mi passa il bottiglione da un litro e mezzo. Lo agguanto con gli artigli segreti
che abbiamo per queste occasioni, e BEVO! Il peperoncino si imbizzarrisce e urla
come il conte Dracula davanti all'aglio. "Ah! Ah!" gli
grido io: "Sei fritto!". Ma è un errore, perché per le
patatine di fuoco questo è un grido di guerra, è il loro grido, come per noi
l'"Avanti Savoia!". E così altro attaccone. Non basta più piangere e
infatti comincio a singhiozzare. La mia anima gemella mi guarda costernata:
"Vuoi che chiamo la mamma?". "No!" fa il peperoncino
scuotendomi la testa e poi le intima con un antipatico tono da contadino: "Butta-la-bottiglia-d'acqua-fuori-dal-finestrino!".
La mia anima gemella però non abbocca. Mica è intelligente per niente! Anzi,
mi lega le mani, che il peperoncino mi sta muovendo come una epilettica per
tentare di farmi rovesciare tutta l'acqua sui sedili e per terra, dà un pugno
sul naso al peperoncino e poi gli strappa la bottiglia dalle zampe e me la versa
tutta in bocca. Si sente sfrigolare sempre più debolmente, mi esce un po' di
fumo dagli occhi e finalmente il peperoncino muore abbracciato alla patata
fritta. "Vedi, poveri" penso io "forse non erano cattivi. Guarda
come si amavano". E poi torno a respirare.
Sono
passati solo dieci minuti. Non dovrei avere subito danni cerebrali. Sono
piuttosto resistente a queste cose: mi ricordo che per il mio ultimo amore
infelice non ho respirato per un mese e mezzo. O che sia per questo o che ogni
tanto non mi ricordo chi è la mia anima gemella che tutti si ostinano a venire
a cercare da me?... Boh! Bè, pazienza, comunque buono, molto buono il cibo qui.
Flagstaff,
duemila do' dici che siamo?
From:
viviampoesia@alice.it
To:
giodecarli@live.it
Subject:
come
Nota
Nel
1855 il Congresso degli Stati Uniti d'America incaricò il sottotenente Beale di
eseguire una mappatura dell'Arizona intorno a Flagstaff per consentire alla
"66-esima" proveniente da Chicago di attraversare il territorio con
20
uomini
80
muli
22
cammelli
200
pecore
10
carri…
Era
l'America fuori strada? Poteva essere l'Africa?
- Filippo
Nibbi
-