FOGLIO LAPIS - FEBBRAIO - 2012

 
 

"Leggere, come io l'intendo, vuol dire profondamente pensare” - Così Vittorio Alfieri oltre due secoli or sono, nel suo Del principe e delle lettere – Sono parole sulle quali bisognerebbe riflettere profondamente – Di fatto, si scrive oggi più di quanto si legga - Ciò che fa difetto nel nostro mondo ossessionato dal tempo che rapido vola via è la ricezione critica del messaggio, l'ascolto, la ricerca: appunto la lettura profonda di cui parlava Alfieri

 

Si fa un gran parlare del cambiamento continuo che la modernizzazione provoca nella dimensione del tempo, nella sua percezione e fruizione. La tendenza generale è quella di percepire sempre più il tempo come qualcosa che manca, che scappa, che non riusciamo realmente a governare in questa epoca in cui lo spazio, invece, sembra essere più incline a piegarsi alle nostre esigenze.

Opponiamo a questa penuria di tempo il tentativo di ottimizzarne la fruizione e non siamo abituati a dedicare ad un'azione più dei minuti strettamente necessari per attuarla. Non siamo abituati al silenzio e al vuoto che, tralasciando il postulato che li rende condizione necessaria di qualsiasi suono o oggetto, sono senza dubbio due dei pilastri dell'espressione artistica.

Anche la nostra attenzione si conforma secondo criteri diversi da quelli del passato. Siamo bersagliati da stimoli - visivi, informativi, pubblicitari, nozionistici... - dalla mattina alla sera, con il risultato che per la nostra concentrazione è più normale essere rincorsi, che rincorrere.

Certo è che questa condizione ci è ormai consona e che siamo abili nel maturare una discreta tecnica nel districarci nella continua gara tra vita e orologi, ed è probabile che troveremmo opprimente l'assenza di questo importante nemico.

Ma dove si colloca la fruizione dell'arte, della cultura, in tutto questo? In che modo, varcando la soglia di un museo, possiamo capovolgere la relazione tra oggetto e attenzione e rendere la seconda così - insolitamente - attiva? L'oggetto espressivo (e quindi artistico) è in un certo senso la materializzazione stessa del tempo, in quanto prima di originarsi così come lo vediamo nasce, cresce, si sviluppa, si divincola dal corridoio che incanala esperienze, sensazioni e vissuto nel tempo. Nasce dalla contemplazione stessa del vivere, e quindi dello scorrere, e non è eccessivo affermare che si collochi in una dimensione, addirittura, di meta-temporalità.  E, generalmente, che si tratti di un dipinto o di un romanzo o di un saggio di storiografia - e quant'altro -, dal momento che si trova nella condizione di concentrare un orizzonte fondamentalmente largo su uno spazio molto limitato, è qualcosa di complesso. Vale a dire, di leggibile su più piani, dimensioni.

La nostra attenzione così torturata, la nostra concentrazione così spesso costretta alla fuga, sono ancora in grado di cercare significato, di leggere per così dire tra le righe, di rincorrere la pluralità di senso delle cose?

Molta della attuale espressione artistica si adegua alla nuova concezione di tempo. Si pensi alle installazioni, che accolgono fisicamente lo spettatore tra le loro braccia coinvolgendolo in un'esperienza cui l'attenzione è difficile che si sottragga. Si pensi alle flash-mob, agli happenings. Forme che vanno di pari passo con una sostanziale democratizzazione di arte e cultura che sta avendo luogo in quest'epoca. Arte che si estende, si allarga, si cala nel quotidiano.

E si cerca di riacciuffare il tempo. Sono sempre più numerosi gli appassionati di fotografia che hanno la sensazione di dare vita ad un prodotto artistico con i loro scatti, o gli amanti di cucina che cercano estro e vivida espressione nel loro quotidiano dedicarsi ai fornelli. Affamati della sensazione di costruire qualcosa che abbia un valore assoluto, che trascenda il brancolare nel miserrimo tempo residuo dalle ore di lavoro e da quelle assorbite dalle burocrazie del vivere sociale.

Non manca azione. Manca attività nella ricezione. Non mancano parole. Manca la capacità di ascoltare criticamente parole altrui. Manca l'abitudine alla ricerca.

Si scrive di più e si legge di meno.

                                                          Laura Venturi
                                         

    


                                                  

 
 

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