Bisogna
trasformare la scuola, dice il sindaco della metropoli
americana, da catena di montaggio a centro d'innovazione
– Un istituto d'avanguardia nel cuore di Manhattan –
Ancora una volta si punta sull'insegnamento
individualizzato, e sulla scuola secondaria impostata come
un campus – Si tratta non tanto d'impartire nozioni,
quanto di permettere ai giovani il pensiero critico, che
li renda adatti al futuro imprevedibile che li attende
La
Laboratory School for Collaborative Studies si trova
al numero 333 della Diciassettesima strada ovest, nel
quartiere di Chelsea che si estende nel cuore di Manhattan.
Si tratta di un istituto secondario, che dunque prepara i
ragazzi per il college universitario. Non certo a
torto la scuola di Chelsea si autodefinisce laboratorio, si
tratta infatti di uno degli istituti all'avanguardia nella
sperimentazione del cosiddetto progetto iZone: innovation
Zone. Prendendo lo spunto dallo sconfortante verdetto
delle comparazioni statistiche internazionali sul rendimento
scolastico, che classifica il sistema educativo degli Stati
Uniti al di sotto di molti altri Paesi, dalla Finlandia alla
Corea del Sud, la metropoli americana intende studiare un
modello nuovo di scuola, che sia tale da far recuperare alla
scuola USA una posizione di punta. La Lab School è
stata fra i primi dei centosessanta istituti che
sperimentano il progetto iZone: entro i prossimi tre
anni saranno quattrocento.
“La
sfida che ci sta di fronte”, dice Michael Bloomberg,
sindaco di New York City, “è semplicemente la
trasformazione delle nostre scuole da catene di montaggio a
centri dell'innovazione”. E ancora: “Abbiamo perduto
terreno con le scuole e lo stesso è accaduto con
l'economia, anche in materia di educazione bisogna dunque
recuperare il senso dell'iniziativa”. Si punta su un
insegnamento il più possibile personalizzato, sul
ripensamento della giornata scolastica, su come gestire al
meglio l'apporto della tecnologia. Ma in realtà tutto è in
discussione. Secondo Brooke Jackson, preside della Lab
School della Diciassettesima strada, il problema
principale degli istituti pubblici negli Stati Uniti è
precisamente il fatto che generalmente non sono organizzati
attorno alla necessità individuali degli studenti. Che sono
quanto mai disparate: basti pensare alla molteplicità delle
etnie e delle lingue d'origine che caratterizza il melting
pot americano, e che a New York è in particolare
evidenza.
Per
questo l'approccio al problema dev'essere totalmente libero
da pregiudizi. Il piano della preside Jackson prescinde dal
quadro, consolidato dalla tradizione, di un calendario fisso
delle lezioni, e persino delle classi divise per gruppi di
età. É insensato, sostiene, tenere insieme in una stessa
classe di una trentina di studenti ragazzi in grado di
procedere autonomamente verso il diploma e altri che per
questo hanno bisogno di assistenza personalizzata. Lei pensa
a una scuola stile college, una sorta di campus in
cui i docenti tengono conferenze o fanno lezione a piccoli
gruppi selezionati secondo le necessità individuali, o
addirittura si occupano in caso di esigenze particolari del
singolo alunno. Inoltre si fa affidamento sull'esercizio
fisico: prima di una lezione di matematica, per esempio,
niente di meglio che una bella pedalata in gruppo lungo la
riva dell'Hudson. In fondo, dice, New York City può essere
usata come aula, e che aula! Si può anche stimolare
l'apprendimento, aggiunge, con esercizi di stretching prima
di passare al lavoro. Naturalmente, precisa, il rigore
professionale non può e non deve essere messo in
discussione.
Anche
in materia di contenuti niente, nel progetto iZone,
è fisso e immutabile: l'obiettivo è in movimento,
l'importante è mettere i ragazzi in grado di pensare
criticamente. Nei tempi difficili che viviamo e che
probabilmente caratterizzeranno il futuro dei nostri
giovani, i riformatori newyorchesi si propongono di aiutarli
a sviluppare consapevolezza di sé, a non lasciarsi smontare
dall'incertezza, a non cedere di fronte all'ignoto. La
carica innovativa del progetto non deve far pensare a una
visione iper-tecnologica: certo il computer aiuta ma non è
con il computer che si migliora la qualità della scuola.
Piuttosto con docenti preparati e coinvolti. Brooke Jackson
è molto fiera del suo staff, un facile accesso a insegnanti
sempre disponibili è parte del progetto e, ormai, della
prassi. “I ragazzi arrivano prima dell'orario per parlare
con i docenti e
si trattengono alla fine della giornata. Al punto che
qualche volta devo accompagnarli alla porta...”
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a. v.
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