Le
norme varate per sforbiciare il bilancio dell’istruzione
hanno portato a una situazione paradossale: è possibile
che il numero massimo di alunni per classe (e addirittura
il minimo…) superino i limiti fissati dal ministero
dell’interno – Si riduce dunque il numero di classi, e
dunque quello dei docenti, ma si aumentano illegalmente i
rischi in caso di “sfollamento d’emergenza” – Per
tacere degli effetti sulla qualità dell’insegnamento
Se
almeno il ministero dell’Interno e quello
dell’Istruzione, Università e Ricerca si mettessero
d’accordo… Due normative in conflitto, provenienti
l’una dal Viminale e l’altra da Viale Trastevere,
mostrano un singolare difetto di coordinamento all’interno
della compagine governativa. Nel decreto sulla prevenzione
degli incendi (nato, come si sa, da alcune tragiche
esperienze), il ministero dell’Interno ha indicato un
limite massimo di presenze nelle aule scolastiche, per
garantirne il regolare sfollamento in caso di emergenza.
Questo limite invalicabile è di ventisei persone: dunque un
insegnante e venticinque alunni. Se la soglia viene
superata, il dirigente scolastico è chiamato a dare
spiegazioni, e in caso d’incidente ne ha la responsabilità.
Ora,
tutti sanno che delle oltre 370 mila classi in cui si
articola il sistema scolastico italiano dalla scuola
dell’infanzia fino alla secondaria di secondo grado, la
maggior parte supera quel limite. Non lo supera, e qui sta
il paradosso, perché siano state arbitrariamente violate le
indicazioni del ministero dell’Istruzione: è vero infatti
che ci sono alcune centinaia di classi che superano i limiti
fissati dalla massima autorità scolastica, ma sono invece
decine di migliaia quelle che vanno oltre la soglia di
sicurezza indicata dal ministero dell’Interno. In altre
parole, le normative dei due ministeri sono in
contraddizione.
Come
se non bastasse, uno dei regolamenti d’attuazione della
riforma Gelmini ha aumentato di un’unità, a partire da
quest’anno scolastico, il numero di consentito alunni per
classe. Lo ha fatto per offrire, intervenendo sul rapporto
alunni-insegnanti, un contributo al contenimento della spesa
pubblica reso necessario dalle disastrose condizioni del
bilancio dello Stato. La situazione è dunque la seguente:
nella scuola dell’infanzia e nella primaria le aule
potranno contenere fino a ventisei alunni: dunque
considerando anche l’insegnante siamo di un’unità al di
sopra della soglia massima fissata per la sicurezza in caso
di emergenza.
La
situazione peggiora salendo lungo il ciclo scolastico. Nella
secondaria di primo grado sono consentiti ventisette alunni
per classe, addirittura trenta nelle superiori. Non solo: il
regolamento prevede la possibilità di deroghe con cui i
limiti possono aumentare fino al dieci per cento. Ne risulta
che un’aula di liceo, caso limite, può contenere fino a
trentatrè ragazzi, considerando l’insegnante
trentaquattro persone, otto in più rispetto alla soglia
massima indicata dalle autorità preposte alla sicurezza.
Evidentemente qualcosa non quadra, se le esigenze vitali
della sicurezza finiscono con l’essere sacrificate a
quelle del bilancio.
Né
del resto il discorso può limitarsi a questo. Ci piacerebbe
che alla base dell’articolazione dei gruppi scolastici, più
in genera dell’organizzazione della scuola, figurassero
soltanto ragioni di carattere pedagogico e didattico. Si
dovrebbe semplicemente rispondere a questa domanda: qual è,
da un punto di vista puramente funzionale, il numero
ottimale di alunni per classe? Si direbbe che questa ovvia
esigenza passi in secondo piano di fronte alle necessità di
bilancio. Per questo il mondo della scuola è in fermento e
chiede a gran voce perché mai, se si devono sforbiciare i
conti, lo si debba necessariamente fare ipotecando il futuro
attraverso la mortificazione dello sforzo educativo. Siamo
alle solite: una questione di scelta delle priorità.
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f. s.
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