L’agenda
quotidiana del bambino medio è fittissima d’impegni:
una tabella di marcia che certo è costruita con le
migliori intenzioni ma con pesanti effetti sul suo modo di
rapportarsi con il mondo, sulla sua libertà di guardarsi
attorno a modo suo – Nel poco tempo che riesce a gestire
da sé, l’alternativa è ancora fra elementi esterni: da
una parte l’alienazione tecnologica suggerita dal
mercato, dall’altra la creatività proposta dagli
psicologi
Ore
8, ingresso a scuola. Ore 13.30, uscita da scuola. Ore
13.40, pranzo. Ore 14.15, partenza, direzione:conversazione
con madrelingua inglese. Ore 15.30, compiti dalla nonna. Ore
17.30, corso di danza classica. Ore 18.30, doccia in
palestra. Ore 19.30, cena. Ore 21, a letto.
É
simile a questa la tabella di marcia giornaliera alla quale
si trova di fronte il bambino medio delle società del
cosiddetto benessere, già dalla più tenera età. A
preoccupare non è tanto il numero delle attività, né il
loro spalmarsi lungo tutto l’arco della giornata, quanto
la progettualità, i concetti culturali che stanno dietro
questo tipo di fenomeni.
Il
tutto risponde a un progetto genitoriale che pretende di
controllare e pianificare ogni momento, ogni spazio, ogni
angolo dello sviluppo mentale del proprio figlio, con
l’illusione che una crescita così indirizzata possa
risultare più fruttuosa. Fruttuosa, sì: l’obiettivo è
quello del massimo sviluppo possibile delle abilità del
bambino, della sua intelligenza, della sua conoscenza, della
sua fisicità. Ci si aspetta che vada così.
Questa
intrusione completa nella soggettività del piccolo non può
che risultare dannosa. Sarà stressato dalla prima infanzia,
agitato e teso tra mille frammenti estranei che vengono
introdotti nella sua quotidianità e che deve riuscire a
gestire.
I
pochi spazi che nella giornata rimangono vergini da impegni
vengono prontamente riempiti da passatempi tecnologici
sempre più isolanti e alienanti o, in alternativa, da
giocattoli creativi in legno, consigliati nelle guide per lo
sviluppo dell’intelligenza dei piccoli. Mi chiedo in fondo
che differenza ci sia. Può davvero una interiorità tanto
maltrattata, alla quale non è stato dato modo di sentire sé
stessa, di guardarsi intorno con i propri occhi-e non con
quelli di troppe altre persone-, di sentire lo scorrere del
tempo e imparare a crearci sopra l’azione-invece di
continuare ad agire ininterrottamente senza avere idea dello
scopo o dell’origine di questo-…può davvero un simile
soggetto trarre vantaggio da degli ecosostenibili giocattoli
creati da un gruppo di psicologi? E, comunque, sarebbe
soltanto una tappa che precede l’approdo ai passatempi
tecnologici e alienanti.
Ma
è davvero così alienante, questa tecnologia? Non è forse
tutto il resto ad esserlo e ad originare un approccio
sbagliato ai mezzi moderni? Si pensi, per esempio, ai social
networks. Sono certamente qualcosa di artificioso e
pericoloso, se si trovano a sostituire i rapporti veri e a
servire da schermo a individui sempre più chiusi e
intimiditi dalla dimensione pubblica. Ma in una società più
sana e consapevole, dai ritmi più umani, non sarebbero che
un utile e, se vogliamo, poetico, senz’altro pratico,
sussidio alla quotidianità delle relazioni.
In
un’affannosa ricerca della completezza e della perfezione,
si è andata creando l’imperfezione. Il bambino ha ansia
da prestazione, sente addosso un numero di aspettative che
teme di non riuscire a soddisfare. Nella rincorsa
all’occupazione e all’utilizzo attivo del tempo, si è
creata la noia.
Sono
proprio i ritmi serrati di quest’epoca ad aver creato
un’innaturale vertigine nel far niente, nell’attendere,
nel sentire soltanto sé e il tempo. I bambini, i ragazzi,
fanno sempre di più e sono sempre più facilmente annoiati.
Pensano che tutto debba arrivare, rispondere immediatamente.
Anche le ore scolastiche vengono frequentemente organizzate sulla base di
simili concetti. Le materie sono molte e insegnate a
compartimenti stagni, le verifiche nozionistiche; si
pretende il “molto” nel “breve”. Perfino alle
malattie stagionali come la febbre e l’influenza non si dà
tempo di effettuare il proprio decorso. Un antibiotico e
via, di nuovo a scuola, poi a pranzo, poi dalla madrelingua
inglese, poi a fare i compiti, poi a danza, poi a cena, poi
a letto.
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Laura Venturi
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