Per
il ministro Mariastella Gelmini è una svolta epocale, per
il presidente Silvio Berlusconi la prima vera riforma dai
tempi di Giovanni Gentile – Ma secondo opposizione e
sindacati di epocale ci sono solo i tagli: meno indirizzi,
meno ore settimanali, meno insegnanti – Intanto fa
discutere anche la proposta di abbassare a 15 anni l’età
minima lavorativa: in questo modo, protestano in molti, si
taglia anche la durata effettiva dell’obbligo scolastico
Dopo una lunga serie di indiscrezioni e aggiustamenti,
è stato finalmente presentato il piano di riforma
dell’istruzione secondaria di secondo grado. Sono state
nella sostanza confermate le linee già note da tempo. Sei i
licei (classico, scientifico, artistico, linguistico, delle
scienze umane, musicale-coreutico), alcuni dei quali
(artistico, scientifico, delle scienze umane) articolati in
vari indirizzi. Undici gli istituti tecnici: due nel settore
economico e nove nel tecnologico. Sei gli istituti
professionali, che a loro volta si dividono fra il settore
dei servizi e quello tradizionale
dell’industria-artigianato.
In questo ventaglio di opzioni spicca la novità del
liceo musicale-coreutico, finora presente solo come sezione
distaccata di alcuni classici, mentre il nuovo liceo delle
scienze umane non è che la reincarnazione del liceo
socio-psico-pedagogico, a sua volta erede dell’antico
istituto magistrale che per decenni ha sfornato i maestri, e
soprattutto le maestre, della vecchia scuola elementare. Per
quanto riguarda i curricula si parla di potenziamento delle
lingue, con l’interessante novità che nell’ultimo anno
di corso sarà insegnata in lingua straniera anche una
materia non linguistica. In realtà il discorso è in
pratica limitato all’inglese: solo nel linguistico si
prevede ovviamente l’insegnamento di altre lingue, mentre
nell’opzione economico-sociale del liceo delle scienze
umane si faranno tre ore settimanali di una seconda lingua.
Nelle altre scuole una sola lingua, dunque l’inglese.
Nell’istruzione tecnica, si assicura un ruolo decisivo
alla cultura scientifica di base e alla didattica di
laboratorio. Infine dopo le molte polemiche (si veda
l’articolo in proposito su questo stesso numero) si cerca
di ridare un po’ di spazio alla geografia, ormai
tradizionalmente negletta.
Per quanto riguarda gli orari è prevista una generale
riduzione: per esempio ventisette ore settimanale nei primi
due anni dei licei (con l’eccezione dell’artistico, in
cui le ore saranno sette di più), trenta ore nel triennio
finale di scientifico, linguistico e scienze umane, trentuno
al classico, trentacinque all’artistico. Negli istituti
tecnici e nei professionali, trentadue ore settimanali: cioè
un orario decisamente più ridotto dell’attuale, che è
compreso fra le ventisette e le trentasei ore nei tecnici,
fra le trentacinque e le quarantadue nei professionali. La
riforma entrerà in vigore con il prossimo anno scolastico
per i primi anni, e poi entrerà a regime al termine del
primo ciclo quinquennale. Riforma epocale, la chiama il
ministro Gelmini, la prima vera riforma dai tempi di
Giovanni gentile, le fa eco il presidente Silvio Berlusconi:
ma secondo i molti critici qui di epocale ci sono solo i
tagli.
Dalla semplificazione del quadro complessivo delle
opzioni, e più ancora dalla riduzione degli orari, deriva
infatti una conseguenza obbligata: nella nuova scuola
secondaria di secondo grado ci sono diciassettemila cattedre
di troppo, che saranno gradualmente eliminate. E questo
ovviamente fa gridare allo scandalo: si ha infatti la netta
impressione che la riforma, nonostante le ambiziose
etichette, discenda in realtà soprattutto dall’esigenza
di ridurre la spesa per la scuola. È la riforma del
ministro dell’Economia, tuona l’opposizione politica e
sindacale, più che quella del ministro dell’Istruzione.
Inoltre ci s’interroga sul destino delle migliaia
d’insegnanti precari, molti dei quali resteranno senza
lavoro mentre nel migliore dei casi resteranno tali, visto
che a lungo i pensionamenti non genereranno nuove cattedre a
disposizione.
Come al solito attorno alla scuola divampa dunque
un’aspra polemica. Non soltanto per la riforma annunciata
dal ministro Gelmini, ma anche per un emendamento a un
disegno di legge sul lavoro, presentato dal governo, che
riduce di un anno l’età minima per l’accesso al lavoro
e parallelamente il limite di durata dell’obbligo
scolastico. Nell’interpretazione autentica di Maurizio
Sacconi, ministro del Lavoro, si tratta più esattamente di
un anno di obbligo scolastico che è possibile assolvere in
fabbrica, attraverso un contratto di addestramento che
dovrebbe prevedere anche attività di formazione. Insomma
l’obbligo resta fissato a sedici anni, ma a quindici non
sarebbe più necessario tradurlo nella frequentazione di
un’aula scolastica. Da parte governativa si sostiene che
in questo modo si cerca di recuperare tutti quei sedicenni
(erano centoventiseimila nel 2008) che nell’attesa
dell’età minima per il lavoro restano comunque fuori da
ogni esperienza formativa. I critici concordano sul fatto
che questo è un problema reale: ma considerati gli standard
insoddisfacenti di preparazione media dei nostri ragazzi, lo
si deve affrontare non mandandoli in fabbrica, ma
restituendoli ai banchi di scuola.
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r. f. l.
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