FOGLIO LAPIS - FEBBRAIO - 2009

 
 

Secondo Jean-Paul Nerrière, uomo d’affari francese, è necessaria una nuova lingua franca per le comunicazioni internazionali – Per questo suggerisce il globish, forma semplificata dell’inglese (anzi dell’angloricano, come Nerrière preferisce chiamarlo) che si compone di un lessico di 1500 parole, una sintassi elementare e procedimenti pratici di formulazione che lui stesso ha elaborato – Lanciata cinque anni or sono, un po’ dappertutto l’idea viene presa sempre più sul serio

 

In principio era il latino, poi fu la volta del francese, sopravvissuto a lungo come lingua della diplomazia. Infine, con l’affermarsi nell’Ottocento della potenza mondiale britannica e nel Novecento dell’egemonia americana, la comunicazione internazionale si è fondata sempre più esclusivamente sull’inglese. Già, ma quale inglese? Ecco Jean-Paul Nerrière che racconta una sua esperienza di qualche anno fa. Vicepresidente dell’Ibm-Usa, l’uomo d’affari francese si trovò durante un convegno a parlare con un britannico, un coreano e un brasiliano. E fece una scoperta molto interessante. I quattro parlavano inglese, ma mentre i tre che mentalmente traducevano da lingue madri diverse si capivano alla perfezione, proprio il britannico era quasi tagliato fuori. Troppo sottile il suo eloquio, troppo carico di sfumature che gli altri non potevano padroneggiare.

Nerrière ne concluse che stava nascendo un nuovo linguaggio, scaturito dal tronco dell’inglese, anzi dall’angloricano come preferisce chiamarlo, ma praticato da coloro per i quali questa non è che la seconda lingua. Si convinse anche che il fenomeno andava incoraggiato e che a questo nuovo idioma bisognava dare delle regole. Detto e fatto, eccolo sfornare un libro dal titolo quanto mai eloquente: Don’t speak english, parlez globish (edizione italiana: Parlate globish, Agra editore). Il globish, appunto, o global english, una lingua dotata di un lessico essenziale di 1500 parole, di una sintassi ridotta all’osso, e dei procedimenti pratici di formulazione illustrati nel libro. Il fatto che questa proposta sia partita dalla Francia è particolarmente significativo. Si sa che da quelle parti l’opposizione all’invadenza dell’inglese è sempre stata fortissima. A lungo i francesi si sono appassionatamente rifiutati di arrendersi a una fatalità storica, la rinuncia al ruolo internazionale della loro bellissima lingua.

Recentemente Valérie Pécresse. ministro nel governo di François Fillon e per giunta responsabile dell’istruzione superiore, ha scandalizzato i suoi concittadini annunciando che d’ora in avanti, quando interverrà a Bruxelles e nelle altre sedi dell’Unione Europea, non parlerà più francese ma userà l’inglese per farsi capire da tutti senza dover ricorrere agli interpreti. Altro scandalo: la Carrefour, catena della grande distribuzione, ha sostituito nel suo logo il termine market al domestico e tradizionale marché. Davvero inaudito, nel paese che chiama matériel l’hardware, logiciel il software, e rifiuta di denominare e-mail quello che non può essere altro, se uno parla come mangia, che il courrier électronique.

Ma poi, di fatto, capita che sempre più spesso nelle riunioni d’impresa, anche a Parigi, si parli inglese, e a volte lo si faccia perfino se non vi partecipano stranieri. Ecco perché Nerrière invita i suoi compatrioti a rassegnarsi all’inevitabile e al tempo stesso, riducendo l’inglese a una struttura essenziale, estremamente pratica ma culturalmente non troppo impegnativa, ne neutralizza per così dire l’impatto identitario. Nel suo sito internet (http://www.jpn-globish.com/) l’inventore del globish lo propone come “dialetto planetario del terzo millennio” e come “soluzione integrata ai problemi della comunicazione internazionale”.

Di fatto, questa è già la lingua dei videogiochi e dei fumetti. Del resto non è che manchino i precedenti, per esempio il pidgin english, nato in varie parti del mondo dalla fusione della lingua di Shakespeare con idiomi locali. Ma questa volta non si tratta di un ibrido, il globish è un linguaggio non soltanto semplificato ma anche codificato, dotato dunque di una sua struttura organica. Molto adatto, per esempio, al negoziato commerciale e alla trattazione di temi economici, più generalmente scientifici. Ecco perché l’idea di Nerrière, all’inizio considerata alla stregua di una provocazione, sta guadagnando terreno. Vanamente contrastata, oltre che dai nazionalisti linguistici alla francese, dai nostalgici che sognano una resurrezione del latino (Israele insegna, una lingua morta si può sempre richiamare in vita…), e infine dai fautori di un’altra generosa utopia, quella dell’esperanto.

Fatto sta che l’inventore del globish può vedere il suo testo diffuso nel mondo intero e viene spesso invitato a illustrare la sua creatura, soprattutto in Asia dove il “dialetto planetario” è particolarmente apprezzato. Poiché nessuno è profeta in patria, qualche tenace resistenza Nerrière la incontra proprio nella sua Francia, dove non tutti hanno accolto con favore il suo invito a accettare di buon grado il dilagare della lingua d’Oltremanica. Né l’implicita argomentazione che questa lingua, una volta sfrondata delle sue raffinatezze letterarie, non è che un utile strumento di comunicazione capace di scavalcare le frontiere, non certo di mortificare le singole preziosissime identità culturali e nazionali.

                                                          Alfredo Venturi 
                                         

    


                                                  

 
 

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