Secondo
Jean-Paul Nerrière, uomo d’affari francese, è
necessaria una nuova lingua franca per le comunicazioni
internazionali – Per questo suggerisce il globish,
forma semplificata dell’inglese (anzi dell’angloricano,
come Nerrière preferisce chiamarlo) che si compone di un
lessico di 1500 parole, una sintassi elementare e
procedimenti pratici di formulazione che lui stesso ha
elaborato – Lanciata cinque anni or sono, un po’
dappertutto l’idea viene presa sempre più sul serio
In principio era
il latino, poi fu la volta del francese, sopravvissuto a
lungo come lingua della diplomazia. Infine, con
l’affermarsi nell’Ottocento della potenza mondiale
britannica e nel Novecento dell’egemonia americana, la
comunicazione internazionale si è fondata sempre più
esclusivamente sull’inglese. Già, ma quale inglese? Ecco
Jean-Paul Nerrière che racconta una sua esperienza di
qualche anno fa. Vicepresidente dell’Ibm-Usa, l’uomo
d’affari francese si trovò durante un convegno a parlare
con un britannico, un coreano e un brasiliano. E fece una
scoperta molto interessante. I quattro parlavano inglese, ma
mentre i tre che mentalmente traducevano da lingue madri
diverse si capivano alla perfezione, proprio il britannico
era quasi tagliato fuori. Troppo sottile il suo eloquio,
troppo carico di sfumature che gli altri non potevano
padroneggiare.
Nerrière ne
concluse che stava nascendo un nuovo linguaggio, scaturito
dal tronco dell’inglese, anzi dall’angloricano come
preferisce chiamarlo, ma praticato da coloro per i quali
questa non è che la seconda lingua. Si convinse anche che
il fenomeno andava incoraggiato e che a questo nuovo idioma
bisognava dare delle regole. Detto e fatto, eccolo sfornare
un libro dal titolo quanto mai eloquente: Don’t speak
english, parlez globish (edizione italiana: Parlate
globish, Agra editore). Il globish, appunto, o
global english, una lingua dotata di un lessico
essenziale di 1500 parole, di una sintassi ridotta
all’osso, e dei procedimenti pratici di formulazione
illustrati nel libro. Il fatto che questa proposta sia
partita dalla Francia è particolarmente significativo. Si
sa che da quelle parti l’opposizione all’invadenza
dell’inglese è sempre stata fortissima. A lungo i
francesi si sono appassionatamente rifiutati di arrendersi a
una fatalità storica, la rinuncia al ruolo internazionale
della loro bellissima lingua.
Recentemente Valérie
Pécresse. ministro nel governo di François Fillon e per
giunta responsabile dell’istruzione superiore, ha
scandalizzato i suoi concittadini annunciando che d’ora in
avanti, quando interverrà a Bruxelles e nelle altre sedi
dell’Unione Europea, non parlerà più francese ma userà
l’inglese per farsi capire da tutti senza dover ricorrere
agli interpreti. Altro scandalo: la Carrefour, catena della
grande distribuzione, ha sostituito nel suo logo il termine market
al domestico e tradizionale marché. Davvero
inaudito, nel paese che chiama matériel l’hardware,
logiciel il software, e rifiuta di denominare e-mail
quello che non può essere altro, se uno parla come mangia,
che il courrier électronique.
Ma poi, di fatto,
capita che sempre più spesso nelle riunioni d’impresa,
anche a Parigi, si parli inglese, e a volte lo si faccia
perfino se non vi partecipano stranieri. Ecco perché Nerrière
invita i suoi compatrioti a rassegnarsi all’inevitabile e
al tempo stesso, riducendo l’inglese a una struttura
essenziale, estremamente pratica ma culturalmente non troppo
impegnativa, ne neutralizza per così dire l’impatto
identitario. Nel suo sito internet (http://www.jpn-globish.com/)
l’inventore del globish lo propone come “dialetto
planetario del terzo millennio” e come “soluzione
integrata ai problemi della comunicazione internazionale”.
Di fatto, questa
è già la lingua dei videogiochi e dei fumetti. Del resto
non è che manchino i precedenti, per esempio il pidgin
english, nato in varie parti del mondo dalla
fusione della lingua di Shakespeare con idiomi locali. Ma
questa volta non si tratta di un ibrido, il globish è
un linguaggio non soltanto semplificato ma anche codificato,
dotato dunque di una sua struttura organica. Molto adatto,
per esempio, al negoziato commerciale e alla trattazione di
temi economici, più generalmente scientifici. Ecco perché
l’idea di Nerrière, all’inizio considerata alla stregua
di una provocazione, sta guadagnando terreno. Vanamente
contrastata, oltre che dai nazionalisti linguistici alla
francese, dai nostalgici che sognano una resurrezione del
latino (Israele insegna, una lingua morta si può sempre
richiamare in vita…), e infine dai fautori di un’altra
generosa utopia, quella dell’esperanto.
Fatto sta che
l’inventore del globish può vedere il suo testo
diffuso nel mondo intero e viene spesso invitato a
illustrare la sua creatura, soprattutto in Asia dove il
“dialetto planetario” è particolarmente apprezzato.
Poiché nessuno è profeta in patria, qualche tenace
resistenza Nerrière la incontra proprio nella sua Francia,
dove non tutti hanno accolto con favore il suo invito a
accettare di buon grado il dilagare della lingua
d’Oltremanica. Né l’implicita argomentazione che questa
lingua, una volta sfrondata delle sue raffinatezze
letterarie, non è che un utile strumento di comunicazione
capace di scavalcare le frontiere, non certo di mortificare
le singole preziosissime identità culturali e nazionali.
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Alfredo Venturi
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