Si
è creduto a lungo che la spesa per l’istruzione in
Italia fosse male impiegata ma quantitativamente elevata
– Le recenti statistiche europee dimostrano invece che
siamo agli ultimi posti anche come livello di risorse
investite nella scuola – Non solo, ma il nostro è
l’unico, fra i paesi comparabili, in cui questo impegno
di bilancio sia diminuito negli ultimi anni – È chiaro
che invertire la tendenza è il presupposto fondamentale
di qualsiasi politica volta a garantire il nostro futuro
Si
spende troppo e male. Così si è detto per anni a proposito
del livello di spesa per l’istruzione in Italia. Ancora lo
scorso autunno il ministro Mariastella Gelmini insisteva su
questo concetto: “non è vero che in Italia si spende poco
per la scuola, anzi siamo fra quelli che spendono di più in
Europa”. Il problema, insomma, non stava tanto nella
quantità di risorse messe a disposizione del sistema
scolastico, quanto nella necessità di razionalizzare la
spesa, di impiegare meglio quelle risorse. Va da sé che un
simile approccio permetteva di giustificare qualche taglio
al bilancio dell’istruzione: in fondo di soldi ce ne sono
abbastanza e si può anche ridurre qualche voce di bilancio,
basta spendere meglio quello che resta.
Ebbene, tutto
questo non è affatto vero. Gli ultimi dati forniti da
Eurostat, l’ente statistico dell’Unione Europea, ci
dicono che le risorse per la scuola italiana, oltre che male
impiegate, sono anche scarse. Lo sono, almeno, nel confronto
con gli altri paesi. Queste cifre si riferiscono al 2005.
Fra i Ventisette, che mediamente dedicano all’istruzione
il cinque per cento del prodotto interno lordo, l’Italia
occupa il ventunesimo posto, con il 4,4 per cento del pil.
Siamo dunque nel gruppo di coda: peggio di noi fanno
soltanto la Cechia e la Spagna (4,2 per cento), la Grecia
(4), la Slovacchia (3,8), la Romania (3,5). Ai primi posti
figurano la Danimarca (8,3 per cento), la Svezia (7), la
Finlandia (6,3).
Se invece
dell’investimento in rapporto al pil si considera la spesa
per studente a parità di potere d’acquisto, la posizione
dell’Italia migliora, passando al quattordicesimo posto
cioè a metà classifica, con un dato di poco superiore alla
media fra i Ventisette. Se invece si considera l’impegno
finanziario per la sola scuola elementare, che è sempre
stata considerata il fiore all’occhiello del sistema
educativo italiano, il nostro paese torna al di sotto della
media collocandosi al diciannovesimo posto.
Ma non è tutto.
Fra i vari indicatori forniti dall’Eurostat, il più
desolante per l’Italia è quello che si riferisce alla
differenza della spesa media per studente fra il 2001 e il
2005. Esso ci dice che il nostro è stato l’unico paese
che in quel quadriennio ha visto calare l’investimento in
tutti e tre gli ordini d’istruzione: primario, secondario
e superiore. I tre dati registrano da noi un calo
rispettivamente di 136, 823 e 491 euro. Tanto per
confrontarci con alcuni paesi, i dati corrispondenti sono
464, 816 e 1903 euro per la Francia, 480, 551 e 1086 per la
Germania, 1737, 2033 e 3001 per la Gran Bretagna. Si noti
bene, sono tutte cifre con il segno più: a differenza che
da noi, in quei paesi l’investimento nei quattro anni è
aumentato, in misura particolarmente marcata per
l’istruzione superiore.
Sono dati che si
commentano da sé. E che si aggiungono ad altri confronti
internazionali poco lusinghieri per l’Italia: per esempio
nella classifica del consumo di libri, o in quella del
numero di laureati, in aumento sì da qualche anno, ma non
fino al punto da colmare la differenza con altri paesi
comparabili. È una realtà sconcertante, ed è paradossale
che calino gli stanziamenti per l’istruzione proprio
mentre appare sempre più chiaro che questo investimento è
semplicemente vitale per migliorare le prospettive
nazionali. Anche economiche, perché è dimostrato per
esempio che a indici di lettura più alti corrispondono
migliori prestazioni produttive.
Eppure, quando si
tratta di ridurre la spesa pubblica, non si esita a calare
la scure proprio sulla scuola. Nella situazione attuale, con
un disavanzo al di sopra della soglia critica del tre per
cento del pil, un debito addirittura superiore alla
ricchezza prodotta dal paese in un anno, una crisi economica
dalle implicazioni ancora indecifrabili ma certo gravissime
sul reddito delle famiglie e sull’occupazione, la protesta
per le scarse risorse assegnate all’istruzione può forse
apparire intempestiva. Ma non lo è affatto: perché proprio
nell’investimento sui giovani è la chiave per restituire
al sistema Italia quella vitalità che può metterlo in
grado di affrontare le sfide del mondo globalizzato.
Lesinare sulla scuola significa, né più né meno, tarpare
le ali al paese.
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a. v.
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