José
de Souza Martins, sociologo dell’università di Sao
Paulo, analizza uno fra i fenomeni sociali caratteristici
del nostro tempo: il modificarsi del tipo di competenze
richieste dalla società contemporanea – Giusto
combattere l’evasione scolastica, che nel paese
latinoamericano conosce punte assai elevate soprattutto
nelle grandi aree metropolitane: ma bisogna anche rivedere
la concezione della scuola, chiamata a formare persone in
grado di adeguarsi alle mutevoli esigenze sociali
Ci
sono in Brasile, nella classe d’età compresa fra i 18 e i
29 anni, più di 800 mila analfabeti e circa otto milioni di
giovani che non hanno completato il primo ciclo
d’istruzione. Secondo quanto denuncia sul quotidiano O
Estado de Sao Paulo il prof. José de Souza Martins,
ordinario di sociologia nell’università di Sao Paulo, a
proposito di queste cifre bisogna registrare una novità
rispetto al passato: se una volta l’analfabetismo e il
semianalfabetismo dilagavano soprattutto nelle campagne,
oggi questo fenomeno si concentra nei grandi agglomerati
metropolitani. Nonostante il dinamismo del Brasile di oggi,
quei nove milioni di giovani hanno davanti a sé un domani
contrassegnato dalla miseria, e soltanto le politiche
assistenziali applicate dall’attuale governo, come il
programma “Fame Zero”, potranno sottrarli all’inedia.
Ovviamente aleggia su quel futuro lo spettro della
tentazione criminale.
La
società brasiliana si batte, con le sue istituzioni, contro
la piaga dell’evasione e della dispersione scolastica. Ma
secondo de Souza Martins questo non basta. Di fronte alle
sfide della società contemporanea bisogna anche ripensare
il ruolo della scuola. La società di oggi si regge
sull’educazione permanente, per i suoi componenti si pone
la necessità di adeguarsi continuamente a esigenze nuove e
mutevoli. In poco più di una generazione siamo passati
dalla scrittura manuale o dattilografica alla tastiera del
computer, dalla medicina basata sull’auscultazione a
quella che si fonda sull’ingegneria e sul laboratorio.
Perfino le attività militari richiedono nuove competenze:
per guidare un carro armato, fa notare il sociologo di Sao
Paulo, oggi bisogna conoscere l’algebra.
Tutto
questo porta a una mutazione del concetto di analfabetismo,
o per meglio dire alla realtà di un nuovo analfabetismo,
che riguarda per cominciare tutti coloro che non
padroneggiano le tecniche informatiche. Il computer ha
creato dall’oggi al domani milioni di nuovi analfabeti;
non basta più infatti per sfuggire a questa umiliante
classificazione saper leggere e scrivere, se non si è in
grado di adeguare la propria competenza alle richieste di
una società che ormai vive nella dimensione digitale.
Di
fronte a questa sfida la scuola brasiliana, lamenta de Sooza
Martins (ma il suo discorso può benissimo applicarsi in
altre latitudini e longitudini, comprese le nostre), è
drammaticamente ferma. Si preoccupa infatti esclusivamente
d’impartire nozioni, quando dovrebbe oltre a questo, e in
via prioritaria, impegnarsi nella formazione di persone
intelligenti e flessibili, capaci di adattarsi ai
cambiamenti del mondo, di comprendere fino in fondo la
necessità dell’aggiornamento continuo. La vera
alfabetizzazione deve consistere oggi nel mettere gli
individui in grado d’interagire con la società,
attraverso gli strumenti informatici, e di non esserne
sopraffatti. Altrimenti la scuola non farà che produrre
nuovi analfabeti.
Ben
vengano dunque le misure volte a contrastare il fenomeno che
ha prodotto quei nove milioni di giovani paria, ma tenendo
ben presente che costoro non sono che la punta di un
continente perduto. E che va bene riportare a scuola i
ragazzi dispersi, ma a patto che la scuola sia pensata come
qualcosa di più che una fabbrica di manodopera per il
mercato del lavoro. Bisogna restituire al sistema educativo
la dimensione dell’utopia, della missione. Soltanto così
la scuola brasiliana (ma forse l’aggettivo può essere
ignorato) potrà sfuggire al paradosso di combattere
l’analfabetismo, ma solo per produrre un analfabetismo di
nuovo conio.
- r.
f. l.
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