L'incontro
con il Maestro rivelatore: fra il Vuoto e il Nulla si
misura l'essenza della personalità. Quelle parole
che scivolano giù dalle pagine ricoperte di ghiaccio...
E la difficile sopravvivenza di chi arriva alla Rivelazione...
All'età
prestabilita, quando il piccolo è sufficientemente
cresciuto e solidi muri mentali sostengono ormai energicamente
la consapevolezza che ha di sé, avviene l'incontro
con il Maestro Rivelatore.
In una sala semibuia, con medici, ambulanze e le madri alloggiati
in stanze contigue, il Maestro svela la verità.
"Non voltatevi mai" scandisce "Dietro alle
vostre spalle c'è il Vuoto".
Subito, d'istinto, tutti si voltano.
E, adesso che sanno, vedono che tra loro e i compagni retrostanti,
come una lama che precipita nell'aria, passa il taglio gelido
del Nulla.
È un attimo, ma inequivocabile.
Molti sbiancano, si sentono male, come una freccia quel
vuoto entra nel cuore, spinge via il sangue, prosciuga l'aria
dai polmoni. Vengono soccorsi, cardiotonici, ossigeno, calmanti,
ma soprattutto l'abbraccio delle madri fa superare l'acme
dello shock.
Da
bambini, per prepararli al terribile vuoto del Vuoto, si
regalano case di bambole senza pavimento sospese a mezz'aria
da fili spezzati. Trenini che possono solo partire e mai
arrivare. Orsacchiotti identificabili come tali solo frontalmente
perché di lato e dietro sono fatti di nebbia. Mattoncini
delle costruzioni con cui non è possibile erigere
muretti poggiati per terra ma solo tetti e ultimi piani
mal sostenuti da un vento giocattolo.
Vengono regalate palle che lanciate contro un muro non tornano.
Alle volte il loro rimbalzo le tiene lontane per settimane,
alle volte per mesi, altre per sempre.
Le maestre dedicano molte ore al gioco della mosca cieca.
Si
regalano libri in cui le parole non sono stampate ma solo
appoggiate e la pagina viene cosparsa di ghiaccio così
che ci si abitua fin da piccoli a vederle scivolare giù
e lentamente sparire, oppure addensarsi sul fondo in ammassi
incomprensibili.
Ai
ragazzini si insegnano ostinatamente le sottrazioni. Sempre
più grandi, finché non bastano più
i numeri per ottenere il risultato e ogni studente si trova
costretto a gettare qualcosa di sé nella sottrazione:
un libro, una penna, il suo cane, un braccio, le risate
fatte in gita, un bacio, la sua anima.
Nonostante tutte queste precauzioni, al momento della rivelazione
il trauma è terribile. Nessun essere compiuto può
sopportare l'incompiutezza.
Chi
sopravvive ne porta tracce perenni. Le radiografie mostrano
interni di persone sfregiati da buchi: grossi buchi tondi
come colpi di cannone o buchi slabbrati, da esplosione.
Chi sopravvive non si volta più. Nemmeno se c'è
un boato alle sue spalle, nemmeno se qualcuno grida disperatamente
aiuto, nemmeno se sente a pochi passi dalla sua nuca l'arrivo
di un treno.
Il vuoto ha riempito ogni pieno.
Filippo Nibbi
|