FOGLIO LAPIS - DICEMBRE- 2021

 

Nel Paese sudamericano una legge assicura e disciplina l'inclusione scolastica di chi soffre di svantaggi fisici o psichici. Ma non sempre il sistema educativo accoglie la cosiddetta disabilità etnica, che si manifesta per esempio con paralizzanti difficoltà linguistiche

 

Ne parlava qualche tempo fa, in occasione della Giornata del docente di appoggio all'inclusione, il quotidiano Clarín di Buenos Aires: il sistema scolastico argentino è regolato da norme che assicurano la frequenza assistita a tutti coloro che soffrono di disabilità fisiche o psichiche. Fin dal 1949, quando era al potere il generale Juan Domingo Perón e il suo governo varò il meccanismo dell'istruzione speciale, destinato a entrare in vigore negli anni Sessanta per gli studenti con disabilità visiva e dai Settanta per quelli affetti da problemi auditivi o motori.

Ma fu soltanto nel 2006, quando alla Casa Rosada, sede della presidenza argentina, governava Néstor Kirchner, che l'assistenza scolastica ai disabili divenne una componente organica del sistema educativo, una vera e propria modalità didattica attraverso l'approvazione della legge di istruzione nazionale. Questa norma, molto accurata, regola “l'esercizio del diritto di insegnare e apprendere consacrato dall'art. 14 della Costituzione nazionale e dai trattati internazionali che vi sono incorporati”. Infatti l'istruzione e la conoscenza sono “un bene pubblico e un diritto personale e sociale garantito dallo Stato”.

Con un linguaggio evidentemente ispirato dal desiderio di seppellire per sempre la lunga parentesi autoritaria dei governi militari che hanno retto l'Argentina per tanti anni, il testo della legge indica come compito dello Stato l'apprestamento delle “condizioni necessarie per sviluppare e perseguire la formazione integrale delle persone lungo la vita intera e per promuovere in ogni alunno la capacità di definire il suo progetto di vita basato sui valori della libertà, della pace, della solidarietà e dell'uguaglianza”.

A queste indicazioni di carattere generale segue nello specifico l'impegno della cosiddetta istruzione speciale: si tratta di garantire l'inclusione educativa a tutti coloro che non possono trarre il necessario profitto dall'istruzione comune. Dunque di assicurare ai giovani con difetto di capacità temporali o permanenti una proposta educativa che permetta loro di sviluppare ugualmente le potenzialità personali, l'integrazione sociale e il pieno esercizio dei loro diritti. In pratica s'intende garantire l'integrazione di tutti gli alunni disabili a tutti i livelli secondo le possibilità di ogni singola persona.

Tocca agli enti locali il compito di tradurre in pratica queste indicazioni, stabilendo le procedure per identificare le particolari necessità educative legate alla disabilità, e affrontarle con un approccio interdisciplinare capace di garantire l'inclusione. Tutto questo evidentemente costa, e la legge impegna lo Stato ad assicurare i mezzi necessari per realizzare una “traiettoria educativa integrale” che permetta l'accesso alle conoscenze tecniche, artistiche e culturali. Questo sarà possibile attraverso la formazione di insegnanti di sostegno da affiancarsi al corpo docente. Un altro impegno di cui la legge impegna lo Stato a farsi carico è quello di garantire a tutti l'accesso fisico alle strutture scolastiche.

Fin qui la legge di istruzione nazionale del 2006. Ma ai doveri che questa normativa assegna allo Stato bisognerebbe aggiungerne un altro. Infatti non deriva soltanto da disabilità fisiche o psichiche la difficoltà di avere un efficace rapporto con il sistema educativo: in Argentina esiste anche quella che si potrebbe chiamare una sorta di disabilità etnica, dovuta per esempio al fatto che i ragazzi provenienti dalle minoranze a volte non padroneggiano la lingua spagnola. Nel numero precedente di questo periodico (http://www.fogliolapis.it/ottobre2021.htm) abbiamo raccontato la storia di Maximiliano Sanchez, un ragazzo della comunità wichi che ha realizzato un'applicazione per tradurre in spagnolo, anzi castellano come viene definita la lingua nazionale, la parlata della sua gente. Bisognerebbe che iniziative come questa non fossero limitate a intuizioni private, ma che lo Stato se ne occupasse direttamente su scala nazionale.

 

                                                                 r. f.  l.

 

 


                                                  

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