FOGLIO LAPIS - DICEMBRE- 2019

 

Il tentato suicidio di uno studente ha portato alla ribalta una serie di problemi che complicano la vita agli universitari francesi – Una situazione non dissimile da quella italiana, dove contribuisce a determinare la fuga dei cervelli - Nonostante le misure che allargano all'educazione le provvidenze dello stato sociale, pesa l'incertezza sul futuro

 

É accaduto a Lione: uno studente di ventidue anni si siede davanti a una sede universitaria e si dà fuoco. Lo soccorrono, è gravissimo, ustioni su tutto il corpo, la sua vita procede a stento in una condizione di coma farmacologico. Poco prima del tentato suicidio ha lanciato un messaggio su Facebook: “Accuso Macron, Hollande, Sarkozy e l'Unione Europea di avermi ucciso creando una condizione d'incertezza per il nostro futuro”. Il ragazzo accomuna nella critica il presidente della repubblica in carica e i suoi due ultimi predecessori, colpevoli di non aver saputo sanare i molti mali della scuola, in particolare la situazione di disagio in cui si trovano gli studenti universitari. Nella Francia di questa fase storica, febbricitante di rivolta con le sue aspre contestazioni dell'esistente in cui s'inseriscono facilmente forze eversive, la scuola o per meglio dire la politica scolastica è uno dei terreni di scontro.

Una serie di riforme, fra le quali quella che riguarda il baccalauréat, il fatidico esame che conclude l'istruzione secondaria superiore, hanno mancato di risolvere certi mali come le classi mediamente troppo affollate (possono contare fino a trentasei alunni), la violenza e il bullismo, la mancanza di mezzi per accogliere degnamente i ragazzi disabili. Per quanto riguarda l'istruzione universitaria, il nodo è soprattutto quello degli scenari occupazionali: a indurre al suicidio il ragazzo di Lione è stata proprio una sensazione di buio profondo riguardo alle prospettive di vita. Non solo: contribuisce al grande malessere anche la condizione della maggior parte degli studenti, che devono lavorare per vivere durante gli studi.

Recentemente un articolo del New York Times sottolineava la profonda differenza fra i costi delle università americane, somme annuali a cinque cifre, e quelli degli atenei francesi, Grandes Écoles comprese, dove si pagano mediamente 170 euro l'anno, e dove il dovuto è commisurato da molte università al reddito delle famiglie. E dove oltre un terzo degli studenti richiede assistenza finanziaria pubblica. Eppure, nonostante queste misure che in pratica allargano al sistema dell'educazione i benefici di quella creatura tipicamente europea che è lo stato sociale, il malessere cresce, fino a manifestarsi non soltanto con il gesto disperato del ragazzo di Lione, ma anche con la significativa partecipazione studentesca alle proteste che ormai da tempo dilagano nel Paese, a cominciare da quella dei gilets jaunes.

Anche perché sui disagi durante gli anni di studio grava l'ombra dell'incertezza sulle prospettive, in un Paese che registra una disoccupazione giovanile superiore al venti per cento. É una situazione per molti versi simile a quella italiana, la sola differenza sta nella reazione dei giovani. In Francia animano le manifestazioni di protesta, mentre in Italia cercano lavoro all'estero. É quella che comunemente si chiama fuga dei cervelli, che non è soltanto un dramma familiare, è anche un danno per la società nel suo insieme, che vede in pratica destinato a vantaggio di altri Paesi l'investimento sulla formazione di molti, troppi giovani. A esaminare questo fenomeno dedicheremo il prossimo numero di questo periodici.

 

                                                                 r. f. l.  

 

 


                                                  

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