Il
tentato suicidio di uno studente ha portato alla ribalta
una serie di problemi che complicano la vita agli universitari
francesi – Una situazione non dissimile da quella
italiana, dove contribuisce a determinare la fuga dei
cervelli - Nonostante le misure che allargano all'educazione
le provvidenze dello stato sociale, pesa l'incertezza
sul futuro
É
accaduto a Lione: uno studente di ventidue anni si siede
davanti a una sede universitaria e si dà fuoco. Lo
soccorrono, è gravissimo, ustioni su tutto il corpo,
la sua vita procede a stento in una condizione di coma farmacologico.
Poco prima del tentato suicidio ha lanciato un messaggio
su Facebook: “Accuso Macron, Hollande, Sarkozy e l'Unione
Europea di avermi ucciso creando una condizione d'incertezza
per il nostro futuro”. Il ragazzo accomuna nella critica
il presidente della repubblica in carica e i suoi due ultimi
predecessori, colpevoli di non aver saputo sanare i molti
mali della scuola, in particolare la situazione di disagio
in cui si trovano gli studenti universitari. Nella Francia
di questa fase storica, febbricitante di rivolta con le
sue aspre contestazioni dell'esistente in cui s'inseriscono
facilmente forze eversive, la scuola o per meglio dire la
politica scolastica è uno dei terreni di scontro.
Una
serie di riforme, fra le quali quella che riguarda il baccalauréat,
il fatidico esame che conclude l'istruzione secondaria superiore,
hanno mancato di risolvere certi mali come le classi mediamente
troppo affollate (possono contare fino a trentasei alunni),
la violenza e il bullismo, la mancanza di mezzi per accogliere
degnamente i ragazzi disabili. Per quanto riguarda l'istruzione
universitaria, il nodo è soprattutto quello degli
scenari occupazionali: a indurre al suicidio il ragazzo
di Lione è stata proprio una sensazione di buio profondo
riguardo alle prospettive di vita. Non solo: contribuisce
al grande malessere anche la condizione della maggior parte
degli studenti, che devono lavorare per vivere durante gli
studi.
Recentemente
un articolo del New York Times sottolineava la profonda
differenza fra i costi delle università americane,
somme annuali a cinque cifre, e quelli degli atenei francesi,
Grandes Écoles comprese, dove si pagano mediamente
170 euro l'anno, e dove il dovuto è commisurato da
molte università al reddito delle famiglie. E dove
oltre un terzo degli studenti richiede assistenza finanziaria
pubblica. Eppure, nonostante queste misure che in pratica
allargano al sistema dell'educazione i benefici di quella
creatura tipicamente europea che è lo stato sociale,
il malessere cresce, fino a manifestarsi non soltanto con
il gesto disperato del ragazzo di Lione, ma anche con la
significativa partecipazione studentesca alle proteste che
ormai da tempo dilagano nel Paese, a cominciare da quella
dei gilets jaunes.
Anche
perché sui disagi durante gli anni di studio grava
l'ombra dell'incertezza sulle prospettive, in un Paese che
registra una disoccupazione giovanile superiore al venti
per cento. É una situazione per molti versi simile
a quella italiana, la sola differenza sta nella reazione
dei giovani. In Francia animano le manifestazioni di protesta,
mentre in Italia cercano lavoro all'estero. É quella
che comunemente si chiama fuga dei cervelli, che non è
soltanto un dramma familiare, è anche un danno per
la società nel suo insieme, che vede in pratica destinato
a vantaggio di altri Paesi l'investimento sulla formazione
di molti, troppi giovani. A esaminare questo fenomeno dedicheremo
il prossimo numero di questo periodici.
r.
f. l.
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