FOGLIO LAPIS - DICEMBRE - 2018

 
 

Emise i primi vagiti poco meno di un secolo fa, in Italia rimane il principale mezzo di comunicazione, ma non sempre attraverso il tradizionale apparecchio – Molti utenti, soprattutto giovani, preferiscono seguire i programmi sui loro strumenti prediletti: computer, tablet, smartphone – Uno studio sullo stato dell'informazione e della comunicazione

 

Forse il 25 marzo 1925 il giovane ingegnere scozzese John Logie Baird non pensava di presentare, presso il centro commerciale Selfridges di Londra, lo strumento che, nel giro di pochi anni, avrebbe rivoluzionato la vita quotidiana di milioni di persone: la televisione. Aveva largamente attinto agli studi del tedesco Paul Gottlieb Nipkow che, nel 1885, aveva brevettato uno dispositivo elettromeccanico capace di suddividere l’immagine in unità più piccole capaci di essere trattenute e trasmesse separatamente. Il successo fu immediato, basti pensare che pochi mesi dopo avvenne la prima trasmissione televisiva da laboratorio e, dopo solo due anni, il primo collegamento televisivo fra città lontane ben 700 km, Londra e Glasgow. A questo punto il dado era tratto e la Germania nel 1935 inaugurò le prime trasmissioni su scala nazionale e fu possibile seguire sul piccolo schermo le Olimpiadi di Berlino del ’36. In Italia, invece, occorrerà attendere il 3 gennaio 1954.

Ora, a quasi cento anni dalla sua nascita quello strumento, nato come naturale estensione della radio e battezzato da Constantin Persky con l’appellativo che tutti noi conosciamo, sembra non temere affatto gli acciacchi della vecchiaia. Per anni è stato lo strumento di comunicazione più diffuso, capace di condizionare ed influenzare, nel bene e nel male, usi e costumi dell’opinione pubblica.

E’ ormai uno sbiadito ricordo l’odore di tutta la famiglia riunita davanti al televisore per assistere, attenta e concentrata, ai programmi della rete nazionale. Oggi i canali attraverso cui le notizie e le informazioni arrivano al pubblico sono tanti e di vario genere; utilizzano supporti tecnologici sempre più accessibili, viviamo in una società fluida e siamo letteralmente sommersi da notizie e informazioni di ogni tipo. Tuttavia, per gli italiani, la televisione è ancora il mezzo di comunicazione più utilizzato. E’ quanto emerge da una recente ricerca intitolata Come si informano gli italiani. Pubblici, media, prodotti culturali, svolta dall’Osservatorio News-Italia  del Laboratorio di Ricerca sulla Comunicazione Avanzata  dell’Università  degli Studi di Urbino Carlo Bo  e  presentata all’ edizione del 2018 del Festival del giornalismo culturale che annualmente a Urbino Pesaro e Fano fa il punto sulla situazione dell’informazione e della comunicazione culturale.

La foto che emerge è la seguente: l’88% degli italiani continua a seguire, per informarsi, il notiziario nazionale, mentre, invece, diminuisce l’interesse per i giornali quotidiani, sia nazionali che locali. La novità è che, però,  i programmi televisivi non sempre, o sempre meno, passano attraverso il tradizionale televisore.  L’apparecchio resta nelle case, ma è diminuito il tempo che le persone trascorrono davanti allo schermo, soprattutto tra la fascia giovane del campione. E’ sempre più diffusa  e in costante crescita, l’abitudine a connettersi via Internet tramite computer, tablet e smartphone anche alle reti nazionali per seguire il telegiornale o altri programmi del palinsesto televisivo (film o serie tv), ma in modo più libero e discontinuo: le moderne connessioni informatiche, infatti, consentono di scegliere i tempi per seguire una trasmissione e anche di frammentarne la visione a seconda delle proprie esigenze, spesso giustapponendo, in modo anche personale, sequenze di diversi programmi.  Così è lo spettatore a comporsi il suo quadro informativo, e più generalmente culturale, collegando e confrontando anche fonti diverse: una metamorfosi dei comportamenti e delle abitudini di cui i professionisti dell’informazione e della cultura, anche in periodi di fake news, devono sempre più prendere coscienza e tenere conto.

 

                                               Clemente Porreca                                   

    


                                                  

 
 

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