L'attualità dell'autore di Lettera a una professoressa mezzo secolo dopo la morte – Il maestro di Barbiana voleva una scuola che prima di tutto colmasse le differenze sociali, quelle stesse che ancora oggi penalizzano i più deboli – Il problema è rendere compatibile questa esigenza, che corrisponde a un adempimento costituzionale, con quella di un'istruzione che stimoli l'apprendimento premiando il merito
Sono passati cinquant'anni dalla morte di Lorenzo Milani e dalla pubblicazione della sua celebre creatura letteraria e pedagogica, Lettera a una professoressa, e la figura di quel prete ribelle, di quel maestro controcorrente, ha sempre continuato a far parlare di sé. L'esperienza della scuola di Barbiana, la visione di un sistema educativo che prima di tutto di preoccupi di colmare le diseguaglianze sociali dando voce, dignità e prospettive di vita e lavoro ai ragazzi meno favoriti dal contesto familiare, vengono una volta ancora messi a confronto con le problematiche della scuola di oggi, tendenzialmente proiettata piuttosto, almeno in teoria, verso la consacrazione del merito. Il problema, ovviamente, consiste nell'opportunità di conciliare i due elementi, di organizzare una scuola che sappia garantire l'inclusione sociale ai ragazzi più svantaggiati e al tempo stesso stimolare l'apprendimento premiando il merito.
É del resto l'insieme dell'esperienza umana di don Milani al centro dell'attenzione. Si riparla del dissidio di questo prete scomodo con le gerarchie ecclesiastiche che accusava di dimenticare la collocazione evangelica fra i poveri in nome delle liturgie e degli accomodamenti con il potere, la sua difesa dell'obiezione di coscienza, dunque del rifiuto del servizio militare, che lo portò a una condanna per apologia di reato. Sul primo punto si ricorda la reazione di un intellettuale laico come Indro Montanelli, che nel 1958, dopo avere letto l'altra significativa opera di Lorenzo Milani, le Esperienze pastorali, gli scrisse queste parole: “Io sono con metà di me stesso (la migliore, temo) dalla sua parte. E con l'altra, col Sant'Uffizio”. Quanto alla sentenza di condanna, nell'occasione del mezzo secolo dalla morte alcuni gruppi di estimatori del maestro di Barbiana hanno sollecitato il presidente della Repubblica Sergio Mattarella perché ne riabiliti la memoria.
Questa misura renderebbe più efficace, fra l'altro, il messaggio già di per sé evidentemente molto attuale che l'autore della Lettera ci ha lasciato. Siamo di fronte a un adempimento costituzionale tuttora largamente irrisolto a ottant'anni dal varo della Carta. Il secondo comma dell'art. 3 della nostra legge fondamentale è chiarissimo: “É compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese.” La scuola, ovviamente, dovrebbe essere uno degli strumenti, forse il principale, per raggiungere l'obiettivo costituzionale dell'eguaglianza: di fatto non lo è, al contrario le statistiche dimostrano che addirittura amplifica le diseguaglianze. Infatti i ragazzi provenienti da contesti familiari e sociali disagiati registrano un rendimento scolastico inferiore alla media, abbandonano più facilmente gli studi ancora incompiuti, restano lontani dalle competenze dei loro compagni più fortunati in materia di lettura e comprensione dei testi.
Certo tutto questo non deve far dimenticare che dai tempi di don Milani la situazione è decisamente migliorata: ma l'obiettivo dell'eguaglianza non è stato ancora raggiunto. Come dimostrano i frequenti pellegrinaggi a Barbiana nel Mugello, le visite alla chiesa di Sant'Andrea dove quel prete fuori dagli schemi esercitava la funzione di priore e alla piccola scuola adiacente dove realizzava la sua pedagogia innovativa a vantaggio degli “ultimi”, la Lettera a una professoressa è ancora di stretta attualità. Ha cinquant'anni ma non li dimostra.
r. f. l.
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