FOGLIO LAPIS - DICEMBRE - 2016

 
 

Secondo alcuni sono indispensabili per abituare gli alunni a organizzarsi senza la presenza dell'insegnante – Altri trovano inopportuno che la scuola rinunci a completare al proprio interno l'attività educativa – C'è poi il problema del tempo libero, diritto sacrosanto per gli adulti che in pratica viene negato ai bambini – Inoltre questa appendice domestica della scuola accentua la discriminazione implicita nelle disparità culturali delle famiglie

 

Il sistema scolastico italiano è tra quelli che maggiormente ricorrono ai compiti a casa, sia durante le settimane di frequenza, sia nei periodi di vacanza. Da sempre il dibattito è aperto intorno all'utilità e all'opportunità di questo sovraccarico di lavoro. I critici sostengono che i compiti a casa non servono a nulla, perché i ragazzi i affrontano in condizioni fisiche e mentali tutt'altro che ottimali. Inoltre accusano la scuola di rinunciare, con questa delega di responsabilità, al completamento della sua funzione didattica, che dovrebbe svolgersi interamente all'interno delle aule.

Inoltre ci si dimentica spesso che anche i ragazzi, non diversamente dagli adulti, hanno diritto al tempo libero, che non dovrebbe essere espropriato per coprire le manchevolezze della scuola. Infine i compiti a casa nascondono il rischio di una sorta di discriminazione: infatti non tutte le famiglie sino in grado di assistere i loro figli, e dunque i ragazzi con genitori e parenti meno acculturati si trovano alle prese con uno svantaggio che la scuola dovrebbe preoccuparsi di colmare.

I fautori del sistema tradizionale controbattono facendo notare che il lavoro scolastico in assenza del docente addestra i ragazzi al lavoro individuale, è dunque indirettamente educativo proprio nel senso della loro maturazione psicologica. Per quanto riguarda i compiti per i periodi di vacanza, soprattutto per la lunga interruzione estiva, servono anche ad evitare che la prolungata assenza dalle aule precipiti nell'oblio le acquisizioni dell'anno scolastico.

Ma non sarebbe meglio che al posto degli esercizi si impartissero ai ragazzi del semplici consigli di lettura? Meglio ancora, invitarli a scegliere un tema di proprio interesse e a svilupparlo attraverso ricerche e letture affidate alla loro sensibilità e alla loro capacità di organizzarsi. In questo modo si contrasterebbe oltre tutto il fenomeno della scarsissima propensione alla lettura che l'esperienza scolastica lascia ai nostri ragazzi. Le cifre sono impietose: quasi metà degli italiani compresi fra i sei e i diciassette anni non ha letto alcun libro se non quelli scolastici.

    

É vero d'altra parte che secondo le statistiche internazionali la pratica dei compiti a casa non incide affatto sull'efficienza del percorso educativo. Si dividono infatti i primi posti nella classifica del rendimento Paesi come la Finlandia, che non assegnano appendici di lavoro domestico, e il Giappone, dove al contrario gli alunni devono dedicare buona parte del loro tempo libero a questo supplemento di attività scolastica. Il dibattito rimane dunque aperto, con una possibile soluzione del problema che potrebbe passar attraverso una decisa personalizzazione del fenomeno: compiti a casa sì, ma tagliati su misura per le esigenze individuali, e soprattutto tali da lasciare alla libera scelta del singolo una giusta quantità di tempo libero.          

    

 

                                                        l. v. 
                                         

  


                                                  

 
 

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