Alcuni
recenti episodi di cronaca hanno riaperto la discussione a
proposito dell'opportunità dei viaggi scolastici
d'istruzione – In realtà si dovrebbe discutere
piuttosto sulle misure e gli accorgimenti necessari per
fare di queste esperienze un utile supporto didattico, in
condizioni di sicurezza – Un problema accessorio è
rappresentato dalla riluttanza di molti docenti, che
preferiscono evitare le “grane” connesse al ruolo di
accompagnatori
La
morte di un ragazzo, precipitato dal balcone di un albergo
milanese durante il viaggio d'istruzione della sua classe
all'Expo, ha riaperto un tema che periodicamente si pone
al centro dell'attenzione: i viaggi scolastici
d'istruzione, le gite scolastiche come sono comunemente
chiamati. Del resto questa caratteristica istituzione
della scuola italiana viene presa di mira non soltanto in
occasione di eventi luttuosi: da tempo si critica una
consuetudine che sembra avere smarrito il suo contenuto
didattico per approdare a una sorta di folklore
giovanilistico, la gita scolastica come valvola di sfogo
degli umori troppo spesso repressi dei nostri adolescenti.
Si parla di notti brave, di bravate, di avventure erotiche
e alcoliche.
Infine,
un dato per così dire tecnico-organizzativo: è sempre più
difficile trovare docenti disposti al ruolo di
accompagnatori. Troppa la responsabilità di fronte
all'incontenibile esuberanza dei ragazzi, troppa la
delusione di fronte alla loro cronica indifferenza agli
aspetti più propriamente culturali del viaggio. É un
vero peccato, perché la tanto vilipesa gita scolastica è
una delle rarissime occasioni in cui si fa o si dovrebbe
fare un'esperienza didattica di squadra. In un sistema
educativo che tende a individualizzare all'estremo
l'istruzione, potrebbe essere un'opportunità da cogliere
al volo. Sarebbe grave dovervi rinunciare.
Che
fare dunque, per restituire smalto al viaggio
d'istruzione? Prima di tutto è essenziale la scelta del
tema, che non dovrebbe essere troppo generico ma
individuare un elemento specifico sul quale focalizzare
l'interesse della classe. Tanto per fare un esempio: non
si va in gita a Parigi, per quanto l'idea possa essere
piacevole. Si fa invece a vedere la Gioconda, e attraverso
la Gioconda a studiare Leonardo, la sua esperienza
francese, l'irraggiamento mondiale della sua arte e della
sua scienza. E si invitano i ragazzi a considerare, dalla
tribuna privilegiata del Louvre, i problemi della
conservazione museale e quelli dei capolavori “esuli”,
come le molte opere strappate dagli archeologi in aree
sottomesse nell'epoca coloniale, di cui i paesi d'origine
pretendono la restituzione.
Quanto
al problema degli accompagnatori, non si può che
ricorrere a compensi adeguati e a formule assicurative che
garantiscano sia gli allievi e le loro famiglie sia i
docenti, sia infine gli albergatori che troppo spesso
lamentano danni alle loro strutture. Gli autori di questi
danni dovrebbero essere individuati e chiamati a
risponderne, superando vecchi intollerabili schemi come la
tradizionale omertà delle famiglie. Tutto questo per
salvare un'istituzione che potrebbe essere didatticamente
utilissima, se solo venisse ricondotta alle sue finalità
originarie. Del resto la ministra dell'istruzione Stefania
Giannini ha messo a tacere il fronte abolizionista: “Le
gite scolastiche” ha detto “ non sono in
discussione”.