La
convenzione sui diritti dell’infanzia e
dell’adolescenza ha compiuto 26 anni, ma il bilancio è
sconfortante – In troppe parti del pianeta le guerre, la
povertà, le malattie impediscono a centinaia di milioni
di bambini di vivere in un contesto adatto alla crescita
– Il grave problema dei minori privati del diritto
all’istruzione: il loro riscatto passa attraverso il
recupero della dimensione scolastica – I progressi fatti
e le incerte previsioni per il futuro
Nell’ultimo rapporto UNICEF sulla
condizione dell’infanzia e dell’adolescenza nel mondo,
pubblicato lo scorso 20 novembre in occasione della giornata
celebrativa dei 26 anni della convenzione ONU sui diritti
dei minori, lancia un grido d’allarme. La convenzione,
ratificata da duecento Stati, fu approvata a New York
dall’assemblea generale il 20 novembre 1989. Una data
storicamente assai significativa: undici giorni prima era
crollato del Muro di Berlino e ora si registrava la caduta
di un’altra barriera, quella che divideva la realtà
troppo spesso drammatica di un’infanzia sostanzialmente
negata dalla pubblica presa d’atto del problema. Come
sempre accade in occasioni simili, il varo della convenzione
suscitò molte speranze: ora che il mondo era consapevole
del problema si
sarebbero finalmente cercate le soluzioni. In effetti il
bilancio è tutt’altro che positivo, a oltre un quarto di
secolo di distanza la condizione dei bambini e degli
adolescenti in troppe parti del mondo è del tutto precaria.
Bambini sottonutriti, bambini che muoiono di fame, bambini
che non possono andare a scuola, bambini vittime di abusi
sessuali e di sfruttamento attraverso il lavoro, bambini
arruolati da milizie armate e addestrati a uccidere.
In un quadro così negativo spiccano
alcune note parzialmente positive: qualche progresso è
stato fatto rispetto alla situazione passata, ma non
abbastanza da trasformare in realtà il titolo del rapporto
UNICEF: “Per ogni bambino la giusta opportunità”. Per
esempio è vero che il numero dei piccoli malnutriti è
relativamente diminuito, ma sono pur sempre duecento
milioni. A volte i passi avanti vengono di fatto
neutralizzati da condizioni di emergenza: è il caso della
Siria travolta dalla guerra civile, dove sono proprio i
bambini i più colpiti dalla scomparsa dei servizi pubblici,
in particolare della scuola, e persino da certe tragiche
peripezie della fuga: intollerabile che tanti di loro
trovino addirittura la morte nel tentativo di raggiungere
luoghi dove sia possibile vivere. Si calcola che lo scorso
anno trenta milioni di bambini abbiano dovuto abbandonare le
loro case per sfuggire alla guerra. Questo specifico dato
mostra addirittura una tendenza al peggioramento: nel 2013 i
bambini profughi per ragioni belliche erano “soltanto”
26 milioni.
Le statistiche elaborate dall’UNICEF
mostrano con estrema chiarezza lo stretto rapporto fra
istruzione e superamento della povertà. Si calcola infatti
che in media la frequenza di un anno di scuola corrisponda a
un dieci per cento in più di reddito pro-capite. È dunque
evidente la necessità di un doppio investimento:
l’infanzia del mondo ha bisogno di cibo per il corpo e di
cibo per la mente, insomma di aiuti alimentari e di
investimenti in campo educativo. Si tratta di sconfiggere
una povertà che impedisce la fruizione del diritto
all’istruzione e mette a rischio la vita dei bambini:
quelli provenienti dalle famiglie più disagiate infatti
hanno una probabilità doppia di non raggiungere i cinque
anni di età.
E che dire di situazioni come quella del Brasile, dove
la prima causa di morte dei minori fra i dieci e i
diciannove anni è l’omicidio? O del Sud Sudan, dove la
guerra civile ha strappato alla scuola quasi mezzo milione
di bambini mentre il colera ne ha colpiti seimila? Si
confida che queste situazioni estreme siano destinate a
migliorare, ma non c’è da farsi troppe illusioni: in
questo mondo inquieto, flagellato da troppe calamità umane
e fisiche, la strada verso il recupero di una soddisfacente
condizione infantile è ancora lunghissima.
- r.
f. l.
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