L’attualità
pone ai docenti un arduo problema: come gestire le
curiosità degli alunni a proposito di eventi come quello
di Parigi – La questione è particolarmente delicata
nelle classi multietniche, dove gli alunni portano da casa
gli echi delle tensioni indotte dall’emergenza
terroristica – Il controverso episodio del dirigente
d’istituto che in segno di rispetto per i “diversi”
intendeva ridimensionare i festeggiamenti natalizi
Con i tragici eventi parigini sullo
sfondo accade anche questo. Un dirigente d’istituto decide
di ridimensionare nella sua scuola i festeggiamenti per le
feste natalizie, rinviando il previsto concerto e
trasformando l'evento in una “festa laica”. Lo fa,
spiega, per rispetto dei molti alunni di religione musulmana
che frequentano le sue classi. Una bordata di critiche,
politicamente concentriche, investe il preside. I difensori
della “fortezza Italia” dalla “invasione islamica”
insorgono e portano presepi alla scuola dello scandalo. La
decisione di quel capo d'istituto viene dunque caricata di
significati impropri. A nostro parere si è creato un
problema inesistente: non esiste infatti alcuna
contraddizione fra il doveroso rispetto delle altre culture
e delle altre religioni e il mantenimento di abitudini che
fanno parte della nostra storia. Il Natale è una di queste,
una festività che a suo tempo le istituzioni cristiane
trassero dalla tradizione pagana, i riti del solstizio che
celebravano il “ritorno della luce”. E che oggi, di
fatto, appartiene più al folklore commerciale che alla
religione.
In ogni caso questa ricorrenza è
profondamente radicata nella nostra cultura, e del resto non
è certo cercando etichette politicamente corrette (la
“festa laica”) che si manifesta il rispetto degli altri.
Va da sé che il festeggiamento non va imposto, chi non è
d’accordo, che sia musulmano o testimone di Geova o per
altre ragioni refrattario al Natale, è ovviamente libero di
non partecipare: esattamente come per l’ora di religione,
che non potrebbe certo essere obbligatoria. Ma sarebbe
assurdo cancellare una consuetudine cara alla maggior parte
degli alunni, in nome di un rispetto per gli altri che non
può esercitarsi escludendo il rispetto per noi stessi.
Marco Tarquinio, direttore del quotidiano cattolico Avvenire,
fa notare che “ancora una volta si prova a 'prendere in
ostaggio' il Natale... riducendolo a bandiera identitaria da
agitare contro coloro che nutrono altre fedi”. Un
osservatore disincantato come Michele Serra fa notare che
“se ho un ospite musulmano non gli offro vino né carne di
maiale, ma non nascondo le bottiglie o i salami”.
Abbiamo citato questo incidente,
purtroppo ampiamente sfruttato da certa politica come è
sciagurata abitudine nazionale, per dare un esempio dello
smarrimento che investe la nostra classe docente di fronte
alla nuova realtà delle classi multietniche. Vive ormai con
noi una moltitudine di musulmani, circa un milione e mezzo,
e dunque questa presenza investe anche la scuola. Se un
preside entra in crisi di fronte a un presepe, che dire
della sfida rappresentata per gli insegnanti dalle
inevitabile curiosità suscitate da eventi come le recenti
stragi islamiste di Parigi? Già in occasione degli
attentati dello scorso gennaio ci eravamo proposti il tema (Foglio
Lapis febbraio 2015) sottolineando l’importanza di non
evitarlo, perché anche se non si è in grado di dare delle
risposte è comunque doveroso cercarle. Ovviamente si
aspettano risposte diverse da quella di quel dirigente
scolastico che, sempre per “rispetto” ai piccoli
provenienti da famiglie di altra fede, ha annullato la
visita a una mostra di arte sacra: una mossa talmente
assurda e ridicola che non vale la pena di commentarla.
Possiamo aggiungere un altro elemento:
si tratta di evitare quelle generalizzazioni che spesso la
politica alimenta colpevolmente. Nel caso specifico della
tragedia parigina identificare, come è stato fatto a molti
livelli, il terrorismo con la religione islamica. Questo non
è soltanto lontano dalla verità, visto che proprio
l’Islam in quanto tale è la prima vittima del
fondamentalismo terrorista (lo è quello di professione
sciita, più in generale quello tollerante che s’ispira al
modello coranico di un Dio “clemente e misericordioso”),
ma è anche inopportuno, perché può avere il risultato di
regalare nuove simpatie o addirittura nuove reclute alle
bande dei fanatici assassini. Purtroppo gli esempi che
piovono dall’alto, da parte di esponenti politici e
testate giornalistiche, hanno già prodotto gravi guasti: si
parla di bambini che portando in classe i pregiudizi di casa
apostrofano come “bastardi” e “terroristi” i loro
compagni musulmani.
È proprio in questo contesto che l'abete
natalizio rischia di essere vissuto come una provocazione:
nella visione di certi energumeni che tuonano contro la
presunta ”islamizzazione” dell’Italia e dell’Europa
dobbiamo intonare i canti di Natale non perché piacciono ai
nostri bambini e fanno parte delle nostre consuetudini, né
tanto meno per slancio religioso, ma per dare una lezione
agli “invasori”. Non si fa molta strada con questa
visione del mondo, e quella che si fa non muove certo nella
direzione giusta.
- f.
s.
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