FOGLIO LAPIS - DICEMBRE - 2015

 
 

L’attualità pone ai docenti un arduo problema: come gestire le curiosità degli alunni a proposito di eventi come quello di Parigi – La questione è particolarmente delicata nelle classi multietniche, dove gli alunni portano da casa gli echi delle tensioni indotte dall’emergenza terroristica – Il controverso episodio del dirigente d’istituto che in segno di rispetto per i “diversi” intendeva ridimensionare i festeggiamenti natalizi

 

Con i tragici eventi parigini sullo sfondo accade anche questo. Un dirigente d’istituto decide di ridimensionare nella sua scuola i festeggiamenti per le feste natalizie, rinviando il previsto concerto e trasformando l'evento in una “festa laica”. Lo fa, spiega, per rispetto dei molti alunni di religione musulmana che frequentano le sue classi. Una bordata di critiche, politicamente concentriche, investe il preside. I difensori della “fortezza Italia” dalla “invasione islamica” insorgono e portano presepi alla scuola dello scandalo. La decisione di quel capo d'istituto viene dunque caricata di significati impropri. A nostro parere si è creato un problema inesistente: non esiste infatti alcuna contraddizione fra il doveroso rispetto delle altre culture e delle altre religioni e il mantenimento di abitudini che fanno parte della nostra storia. Il Natale è una di queste, una festività che a suo tempo le istituzioni cristiane trassero dalla tradizione pagana, i riti del solstizio che celebravano il “ritorno della luce”. E che oggi, di fatto, appartiene più al folklore commerciale che alla religione.

In ogni caso questa ricorrenza è profondamente radicata nella nostra cultura, e del resto non è certo cercando etichette politicamente corrette (la “festa laica”) che si manifesta il rispetto degli altri. Va da sé che il festeggiamento non va imposto, chi non è d’accordo, che sia musulmano o testimone di Geova o per altre ragioni refrattario al Natale, è ovviamente libero di non partecipare: esattamente come per l’ora di religione, che non potrebbe certo essere obbligatoria. Ma sarebbe assurdo cancellare una consuetudine cara alla maggior parte degli alunni, in nome di un rispetto per gli altri che non può esercitarsi escludendo il rispetto per noi stessi. Marco Tarquinio, direttore del quotidiano cattolico Avvenire, fa notare che “ancora una volta si prova a 'prendere in ostaggio' il Natale... riducendolo a bandiera identitaria da agitare contro coloro che nutrono altre fedi”. Un osservatore disincantato come Michele Serra fa notare che “se ho un ospite musulmano non gli offro vino né carne di maiale, ma non nascondo le bottiglie o i salami”.

Abbiamo citato questo incidente, purtroppo ampiamente sfruttato da certa politica come è sciagurata abitudine nazionale, per dare un esempio dello smarrimento che investe la nostra classe docente di fronte alla nuova realtà delle classi multietniche. Vive ormai con noi una moltitudine di musulmani, circa un milione e mezzo, e dunque questa presenza investe anche la scuola. Se un preside entra in crisi di fronte a un presepe, che dire della sfida rappresentata per gli insegnanti dalle inevitabile curiosità suscitate da eventi come le recenti stragi islamiste di Parigi? Già in occasione degli attentati dello scorso gennaio ci eravamo proposti il tema (Foglio Lapis febbraio 2015) sottolineando l’importanza di non evitarlo, perché anche se non si è in grado di dare delle risposte è comunque doveroso cercarle. Ovviamente si aspettano risposte diverse da quella di quel dirigente scolastico che, sempre per “rispetto” ai piccoli provenienti da famiglie di altra fede, ha annullato la visita a una mostra di arte sacra: una mossa talmente assurda e ridicola che non vale la pena di commentarla.

Possiamo aggiungere un altro elemento: si tratta di evitare quelle generalizzazioni che spesso la politica alimenta colpevolmente. Nel caso specifico della tragedia parigina identificare, come è stato fatto a molti livelli, il terrorismo con la religione islamica. Questo non è soltanto lontano dalla verità, visto che proprio l’Islam in quanto tale è la prima vittima del fondamentalismo terrorista (lo è quello di professione sciita, più in generale quello tollerante che s’ispira al modello coranico di un Dio “clemente e misericordioso”), ma è anche inopportuno, perché può avere il risultato di regalare nuove simpatie o addirittura nuove reclute alle bande dei fanatici assassini. Purtroppo gli esempi che piovono dall’alto, da parte di esponenti politici e testate giornalistiche, hanno già prodotto gravi guasti: si parla di bambini che portando in classe i pregiudizi di casa apostrofano come “bastardi” e “terroristi” i loro compagni musulmani.

È proprio in questo contesto che l'abete natalizio rischia di essere vissuto come una provocazione: nella visione di certi energumeni che tuonano contro la presunta ”islamizzazione” dell’Italia e dell’Europa dobbiamo intonare i canti di Natale non perché piacciono ai nostri bambini e fanno parte delle nostre consuetudini, né tanto meno per slancio religioso, ma per dare una lezione agli “invasori”. Non si fa molta strada con questa visione del mondo, e quella che si fa non muove certo nella direzione giusta.

                                                        f. s. 
                                         

  


                                                  

 
 

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