Lo
State Board of Education, l'ente che decide le
politiche scolastiche del Texas, ha fatto la sua scelta. E
ancora una volta è una scelta che ha suscitato polemiche
da un capo all'altro degli Stati Uniti. Si trattava dei
libri di testo sui quali nelle scuole texane s'imposterà
l'insegnamento della storia. Bisogna ricordare che nel
sistema federale americano la materia scolastica è fra
quelle in cui più nettamente si esprime l'autonomia dei
singoli stati. Esiste, è vero, un common core, una
sorta di modello educativo interstatale, ma si limita a
indicare i livelli di conoscenza che i ragazzi dovrebbero
raggiungere al termine di ogni ciclo di studi: senza
specificare i mezzi con i quali realizzare queste finalità.
E del resto il Texas, così come l'Oklahoma, la Virginia e
il South Carolina, non ha ritenuto di fare propri questi
standard. Il popoloso stato centro-meridionale preferisce
fare da sé.
Riunito
a Austin, la capitale dello stato, il board ha
dunque fatto la sua scelta. Dei quindici componenti, dieci
hanno votato a favore, cinque contro, divisi da un crinale
tipicamente politico: da una parte i repubblicani,
maggioritari in questo stato di prevalente tradizione
conservatrice, dall'altra la minoranza democratica. Si
tratta di una novantina fra libri e testi digitali,
destinati a essere usati per i prossimi dieci anni dai
cinque milioni di ragazzi che frequentano le scuole
pubbliche del Texas, del tutto in linea nella loro
impostazione con le linee di un curriculum votato
nel 2010 dallo stesso organismo. Già allora l'opinione più
liberale (più a sinistra, per usare il linguaggio
politico europeo) aveva protestato, accusando quelle linee
guida di esagerare, per esempio, l'influenza della legge
mosaica sui padri fondatori della democrazia americana, di
esaltare in modo acritico il sistema del libero mercato,
di tratteggiare negativamente le caratteristiche del mondo
musulmano.
Paradossalmente,
critiche di segno diametralmente opposto hanno investito
le stesse linee guida e i testi che ne sono scaturiti. Per
esempio c'è chi trova che l'Islam non solo non vi è
demonizzato, ma è trattato addirittura con troppa
simpatia. A proposito del lascito politico di Ronald
Reagan, il presidente conservatore degli anni Ottanta, c'è
chi sostiene che le sue realizzazioni sono sottostimate,
chi al contrario trova che quei libri le esaltano anche
troppo. É ben noto che l'obiettività assoluta, così
come la perfezione, non esiste se non nell'immateriale
trascendenza: concretamente è solo una direzione nella
quale sarebbe auspicabile procedere. Ma quando si legge un
testo, soprattutto in una materia sensibile come la storia
contemporanea, attraverso le lenti della propria posizione
politica, è facile perdere di vista sia la meta, sia la
strada per arrivarci. Altrettanto deviante il contesto
dell'attualità: come nel caso dei giudizi sul mondo
islamico nell'America ancora scossa dal tremendo ricordo
dell'Undici Settembre. Non è facile, tredici anni dopo
quegli eventi, invitare gli americani a saper distinguere
fra musulmani e terroristi musulmani.
Il
caso dei libri di storia fa discutere anche per
l'oggettiva influenza che il Texas, secondo stato
dell'Unione per popolazione con i suoi ventisette milioni
di abitanti, esercita sull'insieme degli Stati Uniti. Se
non altro perché la risposta editoriale alle scelte del board
educativo, cioè l'irruzione sul mercato dei libri
destinati alle scuole texane, costituisce una pressione
commerciale capace di valicare facilmente le frontiere
amministrative e coinvolgere gli altri stati. Bisogna
aggiungere del resto che l'indicazione delle autorità di
Austin non è coercitiva: secondo una legge del 2011 i
singoli distretti scolastici sono liberi di scegliere
anche libri non compresi nella lista, che ha dunque il
carattere di una semplice raccomandazione. Che si presenta
carica di enfasi ideologica ma non proprio attentamente
ponderata, almeno stando a quanto dice la portavoce di un
gruppo texano di tendenze liberali: alcuni membri del board,
accusa, quei libri non li hanno nemmeno letti.