In
questa stagione di crisi si registra un pericoloso
cortocircuito fra immigrati
e periferie disagiate – Una coesistenza resa
ancor più difficile da chi cerca di trarne vantaggi
politici – Come sempre, anche in questa emergenza la
scuola si rivela specchio fedele della società – Lo si
è visto attraverso il recente episodio in una borgata
romana, dove agli alunni provenienti da un campo nomadi è
stato impedito di andare a scuola – Le cifre delle
classi multietniche
Torrevecchia
è una disadorna periferia romana, dove problemi sociali
come la mancanza di alloggi e di lavoro sono particolarmente
gravi, manifestandosi fra l'altro con traffici di droga e
prostituzione a cielo aperto. Proprio da quelle parti c'è
da una trentina d'anni un campo nomadi dal quale ogni
mattina escono i ragazzi, una novantina fra i piccoli della
primaria e gli adolescenti della secondaria, per andare a
scuola. Ma un giorno di fine novembre questo non è stato
possibile. Era stata sparsa una diceria, un'aggressione da
parte di un giovane straniero, ed ecco materializzarsi un
corteo di circa cinquecento manifestanti provenienti da quel
Blocco studentesco che è la propaggine scolastica dei
circoli di estrema destra Casa Pound. Inalberano un grande
striscione: “Stop alla violenza dei rom – Alcuni
italiani non si arrendono”. Urla, slogan ostili
all'indirizzo dei nomadi. Non è un assalto in senso
stretto, ma una intimidazione che ha pieno successo: gli
alunni presi di mira rientrano nel campo nomadi. Hanno
pagato il loro tributo, rinunciando a un'ora di scuola, al
clima d'intolleranza che va crescendo in Italia, dove
s'individua proprio negli stranieri un comodo capro
espiatorio del malessere sociale determinato dalla crisi.
Era
inevitabile che dopo gli assalti alle case di accoglienza e
ai campi nomadi, registrati in varie parti del Paese, questo
fenomeno investisse anche la scuola. Specchio fedele della
società che la esprime, la scuola italiana è sempre più
interetnica e interculturale. Sono circa ottocentomila gli
alunni stranieri, rappresentano quasi il dieci per cento
nella scuola dell'infanzia, il nove nella primaria, il 9,6
nella secondaria di primo grado, il 6,6 nella secondaria
superiore. All'interno di queste cifre, soprattutto fra i più
piccoli è sempre più significativa la componente
“seconda generazione”, cioè la condizione di stranieri
nati in Italia: il novanta per cento nella scuola
dell'infanzia, il sessanta nella primaria. Per circa la metà
sono di origine europea (e metà di questa metà proviene da
altri paesi dell'Unione), il 24 per cento viene dall'Africa,
oltre il sedici dall'Asia, il nove dall'America. Romania,
Albania e Marocco i paesi d'origine più rappresentati:
seguono Cina, Filippine, India, Pakistan, Bangladesh,
Moldavia, Ucraina, Macedonia, Tunisia, Egitto, Ecuador, Perù.
Un
discorso a parte meritano gli zingari. Usiamo questo termine
che non ci sembra affatto oltraggioso come qualcuno
sostiene: nelle statistiche ufficiali si parla di tre
distinte comunità: rom, sinti e camminanti. Le cifre in
materia sono assai approssimative, ma si calcola che queste
comunità nel loro insieme contino circa 140 mila persone.
Soltanto per metà sono stranieri (provenienti per lo più
dagli stati eredi della ex Jugoslavia e dalla Romania, in
misura minore da Bulgaria e Polonia): l'altra metà è
costituita, anche se i militanti di Casa Pound non lo sanno
o non lo vogliono sapere, da cittadini italiani a tutti gli
effetti. Circa settantamila, fra zingari italiani e
stranieri, sono i minori, trentamila quelli soggetti
all'obbligo scolastico. Poiché la progressiva scomparsa dei
tradizionali mestieri nomadi produce una crescente
stabilizzazione delle famiglie, mentre la necessità di
affacciarsi sul mercato del lavoro impone un adeguamento
formativo, le nostre scuole sono sempre più chiamate a
occuparsi anche di questa frangia della popolazione.
É un'opportunità da non lasciarsi sfuggire: proprio
l'integrazione scolastica può essere la chiave per
coinvolgere anche i “figli del vento”, come amano
chiamarsi, nel sistema di valori che dovrebbe caratterizzare
la nostra società. E al tempo stesso per provare a superare
i pregiudizi nei confronti degli zingari, certo non tutti
campati in aria ma quasi sempre determinati da comportamenti
che scaturiscono dalle precarie condizioni di vita, che sono
così tenacemente radicati nell'immaginario popolare.
Purtroppo il contesto sociale di oggi non aiuta: né il
fatto che molti campi nomadi, abitati da un'umanità alle
prese con una difficile sopravvivenza e dunque tentata dal
vivere di espedienti, sono spesso a contatto di gomito con
comunità altrettanto disagiate, e per questo colme di
frustrazioni, rancori, paure. Proprio in questi casi scatta
il cortocircuito, una tigre cinicamente cavalcata da chi
fruga tra queste miserie alla ricerca di vantaggi politici.
- Alfredo
Venturi
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