FOGLIO LAPIS - DICEMBRE - 2012

 
 

La camorra non sa che farsene della sacralità della scuola – Un uomo vuole sfuggire all'esecuzione, cerca rifugio nel cortile di un asilo – Ma per i sicari il luogo non onora il suo nome: niente diritto d'asilo – E così la loro vittima muore in un lago di sangue a poca distanza dai bambini che provano i canti di Natale – Le maestre terrorizzate riescono a risparmiare lo spettacolo ai piccoli, ma il giorno dopo le aule sono praticamente deserte

 

Luigi Lucenti si vede inseguito da due uomini armati, sa perfettamente il destino che lo aspetta. Guerra fra bande: lui si era fatto le ossa nel giro malavitoso sequestrando automobili e pretendendo il riscatto, ma poi era passato al traffico di droga e aveva urtato interessi potenti. Siamo a Scampia, un quartiere fra i più degradati nella periferia nord di Napoli: da queste parti la camorra non perdona. Lucenti vede davanti a sé la possibile salvezza: è una scuola, anzi un complesso scolastico, che comprende la materna intitolata a Eugenio Montale. Forse l'uomo braccato pensa all'antica consuetudine del diritto d'asilo: un tempo bastava entrare in una chiesa, o calcare la soglia di un convento, per mettersi al riparo da esecuzioni o vendette... Pensa che i sicari non oseranno seguirlo nel recinto scolastico.

Lucenti si sbaglia, ed è il suo ultimo errore: lo crivellano di colpi nel cortile dell'asilo, cade e muore in una pozza di sangue. Davanti a lui le vetrate di una grande aula: è proprio qui che una settantina di bambini dovevano provare i canti di Natale, in vista del saggio festivo in programma nei prossimi giorni. Fortunatamente fa un freddo cane, quell'aula è male riscaldata, e dunque le maestre avevano spostato i piccoli in un'aula più interna, più riparata. É qui che cantano Tu scendi dalle stelle mentre fuori risuonano i colpi. Poi le sirene delle volanti e dell'ambulanza ormai inutile, i parenti della vittima che urlano parole di vendetta, la scuola invasa dal terrore. Le maestre riescono in modo assolutamente ammirevole a superare il panico, a padroneggiare una situazione così difficile. Distraggono i bambini, li tengono al riparo dalla tragica scena esterna, più tardi li faranno uscire da una porta secondaria.

Poco dopo Marco Rossi-Doria, l'ex “maestro di strada” napoletano che oggi è sottosegretario all'istruzione, invita a considerare nella drammatica vicenda di Scampia anche un aspetto positivo: “come hanno reagito in una scuola della Repubblica che sorge in una landa desolata dove ha ripreso a colpire l'efferatezza della violenza criminale”. Quelle maestre che hanno saputo proteggere i bambini in una situazione estrema confermano, dice Rossi-Doria, che “le nostre scuole sono un presidio di legalità e di convivenza civile”. Certo non la pensano così i killer della camorra, che non esitano a violare il recinto scolastico per portare a termine il loro compito efferato. Uccidere il concorrente, l'avversario, l'”infame”, l'uomo che il boss ha condannato a morte.

Anna Maria Cancellieri, ministro dell'interno, assicura che non si risparmieranno sforzi per garantire sicurezza agli abitanti di Scampia. Promette anche un più capillare intervento dell'esercito a presidiare le strade. Questo è naturalmente necessario, ma certo il discorso non può esaurirsi all'interno di un problema di ordine pubblico. La gente sana di Scampia è esasperata, il giorno dopo la tragedia quasi tutte le famiglie si tengono i bambini a casa. E proprio quel giorno un altro morto ammazzato insanguina le strade del quartiere, questa volta al di fuori di qualsiasi santuario. Poi le scuole di Scampia reagiscono, e le loro luci che vogliono testimoniare una presenza attiva si confondono con le luminarie del Natale. Riaccendendo così una speranza; perché la tragedia della materna intitolata al poeta degli Ossi di seppia conferma che proprio nella scuola è l'antidoto numero uno al veleno criminale. Nella scuola e in una gestione politica che sia capace, diffondendo sicurezza, di creare occupazione, e quindi di sottrarre manodopera alla criminalità.

                                                        a. v. 
                                         

  


                                                  

 
 

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