Una
volta si chiamava Educazione civica, poi Educazione alla
convivenza civile e infine Cittadinanza e Costituzione –
Qualunque sia la denominazione, questa disciplina non ha
vita facile nella nostra scuola – Una circolare del
ministero dell’istruzione la condanna a una grama
sopravvivenza: non sarà, come era stato promesso, materia
autonoma, non avrà un orario suo ma farà parte di altri
contesti disciplinari
Nel
1958 un ministro dell’istruzione che si chiama Aldo Moro
introduce una nuova materia nei curricula della scuola media
superiore. Viene battezzata Educazione civica e si propone
di affiancare alla formazione della persona, che è compito
generale dello sforzo educativo, la formazione del
cittadino. Insegnargli i fondamenti della convivenza, a
partire da quella Costituzione della Repubblica che proprio
quell’anno compie il decimo anno di vita, rendergli
familiari non soltanto i valori sui quali si fonda il nostro
Stato e i fondamenti della legalità, ma anche i meccanismi
della sua struttura istituzionale. Purtroppo questo
insegnamento non è mai stato preso troppo sul serio:
ingolfato nei programmi di Storia, è stato generalmente
ridotto a una superficiale infarinatura. Molti anni più
tardi un altro ministro, l’attuale sindaco di Milano
Letizia Moratti, cerca di rilanciare la disciplina
rinominandola Educazione alla convivenza civile.
Si
arriva così all’agosto del 2008 quando, esattamente mezzo
secolo dopo l’innovazione di Moro che purtroppo non ha
avuto l’auspicato successo, un nuovo titolare
dell’istruzione, Maria Stella Gelmini, annuncia
l’introduzione nella scuola primaria e secondaria di una
vera e propria disciplina, che chiama Cittadinanza a
Costituzione. Avrà vita autonoma e brillerà di luce
propria: sono infatti previste trentatrè ore annuali e una
specifica valutazione. Ci sarà, insomma, un voto. Due anni
più tardi, la retromarcia. Questa idea d’insegnare la
Costituzione non è affatto condivisa in seno alla
maggioranza di governo. In pieno consiglio dei ministri i
rappresentanti del gruppo che considera con fastidio i temi
“nazionali” e addirittura sogna la secessione, fanno
sapere che quella è “roba superata, lontana dagli
interessi dei giovani”. Evidentemente a questo attacco non
corrisponde una difesa adeguata, si arriva così a una
circolare ministeriale dello scorso 27 ottobre.
Vi
si riconosce che la disciplina di cui si parla ha
“contenuti propri che devono trovare un tempo dedicato per
essere conosciuti e approfonditi”, ma al tempo stesso
l’insegnamento ne viene per così dire soffocato
all’interno di altre aree disciplinari, da quella
storico-geografica a quella storico-sociale. Dunque la
materia non ha alcuna autonomia e non prevede
l’assegnazione di un voto, non ha un proprio orario ma sarà
gestita nel monte-ore delle discipline di riferimento, del
resto anche quelle piuttosto sacrificate nella scuola dei
nostri giorni. La Storia, e tanto più la Costituzione, è
etrsnea alle tre I: non è internet, né inglese, né
impresa.
Il
sostanziale rifiuto d’includere la Costituzione della
Repubblica fra i testi da far conoscere alle nuove
generazioni non sorprende più di tanto, in un’Italia che
sembra addirittura imbarazzata dall’imminenza del suo
centocinquantesimo compleanno come Stato unitario. In
effetti è proprio l’unità dello Stato al centro delle
polemiche, sullo sfondo dell’introduzione in corso di
elementi federalisti nella struttura istituzionale. Una
correzione dell’assetto dello Stato che può essere di per
sé positiva, ma che fa discutere in relazione al
“come”: federalismo solidale, o federalismo come
autoisolamento delle parti più sviluppate del paese? Quei
“federalisti” estremi accarezzano in realtà l’idea
del distacco da quella Italia del Sud che il processo
unitario volle riunire al prospero Nord.
A parte il dibattito sui contenuti della riforma federalista, è proprio
l’attualità di questa correzione istituzionale che impone
di parlare della Carta del 1948, che come si sa contiene in
sé l’indicazione dei meccanismi per la propria modifica.
Come si può pretendere di avere dei cittadini e degli
elettori consapevoli dei propri diritti e dei propri doveri,
se si nega la conoscenza di base delle regole fondamentali
dello Stato? Per non parlare dei principi e dei valori delle
grandi organizzazioni internazionali, a cominciare
dall’Unione Europea di cui facciamo parte come soci
fondatori. Illustrare la Costituzione non significa
necessariamente celebrare un mito intoccabile: la nostra
Carta è l’istantanea dell’Italia anni Quaranta, uscita
dalla dittatura e dalla guerra, di un’Italia profondamente
diversa dall’attuale, e dunque può e deve essere
discussa, modificata, migliorata. Ma non ignorata, questo il
punto.
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a. v.
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Nota – La Lapis ha sempre avuto a cuore l’insegnamento
dei principi costituzionali. Per questo è consultabile in
rete (http://www.leggilalegge.it/)
il nostro “corso irregolare di educazione alla legalità”,
concepito per la scuola primaria ma di qualche utilità
anche per le classi successive e persino per gli adulti che
intendano rinfrescare la propria conoscenza della Carta
fondamentale.
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