In
vista dell’Expo che incombe come una greve ineluttabile
minaccia, breve discorso sull’antimateria di Milano,
sugli spazi circoscritti dalle sue architetture, su quei
blocchi d’aria nei quali si può immaginare il meglio
– In uno di quei vuoti, una gabbia sistemata in un
androne, ecco la storia triste della portinaia di via
Nazari, una donna segnata da una vita di servaggio – Si
va su Marte, ma per quel corpo così provato pare che non
ci sia nulla da fare
Gli
Amministratori di Milano lo sanno su quali malesseri
personali stanno disegnando EXPO per il 2015, exponendo
la città in maniera exponenziale
al tragico cimento cementerio nazionale? Sul piano
camorristico, strettamente personale, a Napoli come a Milano
ci sono persone
chiuse in se stesse
incarcerate
nella propria mente
E in quella
cella
i loro pensieri
sono così neri
così armati
così
incombenti
così duri
che non c’è
stato bisogno di costruire i muri
Dell'architettura di Milano
mi affascina ciò che non è stato disegnato,
la parte di foglio bianco del progetto,
il cielo che si inarca spinto via dal tetto.
Il vento che fa sbattere le non costruite finestre,
i passi che riempiranno il vuoto delle porte,
le strade che porteranno a quella casa tutte
contorte.
Mi affascina l'aria curva sotto i ponti,
gli spigoli,
il blocco di aria bianca che resterà imprigionato
nella stanza.
Mi affascinano gli androni, i pizzi delle ringhiere,
la promessa delle scale.
Mi piace il vuoto tra le colonne del balcone,
mi piacerebbe di sapere quanto è costato
e se davvero è gratis quel delizioso vuoto
modellato.
Mi piace lo spazio fra i vetri e le tende
che nessuna agenzia immobiliare inspiegabilmente
ti fa sovrapagare.
Mi irritano la stabilità, la tenuta in caso di
terremoti
dato
che nessuno conta mai quanto è devastante
l'urto
dei miei vuoti
Tubi, fili, tutti gli impianti a norma
e nessuno che posi pietre chiare in corridoio
per guidare il mio passo dentro la sua orma
Il calcolo delle distanze da muro a muro
da soffitto a pavimento
e nessuno che conti mai
quanto è lontano il cuore dal suo lamento
E sempre il basso in basso
e l'alto in alto
e mai un guizzo!
uno spazio raggiungibile solo con un salto,
mai una discesa
visibile solo con una candela accesa.
E sempre vetri al dritto per guardare fuori
e mai vetri al contrario per guardare al centro
o perché il fuori possa guardare dentro
E poi progetti approssimati, approssimativi,
superficiali, sciatti... omesso, ho messo:
"Ama l'approssimato tuo come te stesso"…
Progetti, per dire, di case senza gatti
camere senza l'eco
guardaroba senza profumo degli armadi,
niente favole sparse a piene mani,
locali aperti
solo sul domani.
Nessuna vita lenta,
niente foglie nell'arredamento,
nessun buco per nascondersi nel pavimento
E poi mai mai nel progetto le vere fondamenta:
una porta socchiusa su una camera bianca
e di là una madre, serena, che canta...
Cosa succede laggiù, a quella donna chiusa in quella
gabbia
di legno minacciata da un pericolo a cui si è
volontariamente esposta? Sarà poi per noi una morta bianca?...
Volontariamente? Beh, proprio volontariamente no,
diciamo
che una vita grama l'ha spinta qui a Milano,
ventenne già vecchia, a fare da serva-portinaia
ai condòmini di via
Nazari 3,
tutti professionisti,
ingegneri avvocati giornalisti.
Tutti, soprattutto
stronzi laureati gelminati dalla Mariastella di
Natale...
Gabbia di legno? Il suo casotto tre metri per tre
dove
smistava la posta, lanciava occhiute occhiate a chi
passava,
ninnava la figlia, curava il marito col cancro, era
a tutti gli effetti una gabbia...
Esposta a un pericolo? I pericoli in realtà sono
tanti,
ma quello principale è la stronzaggine dei condòmini...
Io condomina non ero, ero in affitto,
magari stronza un po' anch'io,
ma non con lei. Perché a me la Giannina Strada –
nomen omen
– sposata Brancaleone poi prestissimo
vedova e quindi rimasta solo Strada
sulla strada a spazzare e guardiolare,
mi ha sempre fatto pena...
"Gioàna, senta, la po’ mica darme una mano
con questo vaso,
che non riesco a piegarme?... Mi scusi, sa!" ...
La schiena se l'è rotta da bambina. A sei anni
l'hanno
mandata a lavorare in una famiglia di siori.
Gente ricca,
professionisti. Stronzi laureati anche quelli. La
facevano
lavorare dall'alba fino a che non crollava di sonno,
a tenere i bambini/bambine tènere… "E sa, Gioàna,
prendine in braccio uno, tirane su un altro
e spazza stira e portali so e zo dalle scale
mi è venuta una scoliosi che avevo dei dolori
così tremendi che un giorno sono svenuta
e ghe s'era un
amico dei siori che era medico
e ga dito che
non dovevan farme più lavorare così
pesante, ma
ormai era fatta, la schiena si era stortata
per sempre e so
io i dolori che passo
che non li
auguro al mio peggior nemico" ...
I condòmini laureati intanto le facevano la guerra.
Niente contributi, tanto per dire, così
dopo 42 anni di lavoro adesso prende la minima,
500 euro al mese. Una volta, rientrando, l'ho
trovata,
china, che puliva una merda di cane
dalla scarpa della signora Pennella.
"Ma no, Giannina, non deve, non è tenuta"
ho protestato, dopo.
"Come, no?... Ma me l’ha chiesto.
Non
potevo dirghe de no".
Porta uno scialle, la Giannina. E sulle spalle,
sotto allo scialle, porta tutte le sue umiliazioni;
nelle gambe gonfie sono accumulati anni di privazioni
e di mangiare male. Da bambina
andava con la madre all'alba a spigolare.
"Cosa vuol dire?" ho chiesto io
che non ero ancora condòmina e parlavo con lei.
È scoppiata a ridere:
"Vuol dire che si raccoglievano le spighe
sfuggite alla falce e al forcone,
si staccavano i chicchi di grano
e si portavano a casa per avere
un po' di farina e mangiare"…
La Giannina sa tutto. Sa dove sono le chiavi della
caldaia.
Sa che nel 1930 in piazzale Susa passava il treno,
c'erano i prati e le mucche che pascolavano.
Io l'ho vista anche quasi nuda una volta
che l'ho accompagnata dall'agopuntore
per regalarle dieci sedute.
Aveva dei dolori così forti alla schiena
che con gli occhi da pazza, ha detto
"Urbi et
orbi"
nell'androne del palazzo che lei,
un’altra notte così, e si buttava dalla finestra.
Un male continuo, feroce.
Dal dottor Chen si è tolta la camicetta,
la gonna marrone, e sotto c'era il suo corpo.
Un corpo arato, spaventoso, grigio,
pieno di pieghe innaturali,
di gobbe, di frane. Io non ero ancora condòmina,
ero ancora giovane, non ero pronta,
mi è mancato il respiro.
L'ho portata da uno specialista:
"… Si potrà operarla, 'sta schiena no?...
Oramai fate tutto con la neurochirurgia,
con il laser... Andiamo su Marte, per dio!...
Si potrà operarla 'sta schiena, no?"...
"No", ha detto il primario: "Questa
schiena
è come un muro crollato".
Filippo Nibbi, Giovanna De
Carli
Milano,
dicembre 2008
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