Rachida Dati, ministro
della giustizia nel governo di Parigi, propone di fissare
a dodici anni l’età minima per la responsabilità
penale, implicante sanzioni che possono arrivare fino
all’incarcerazione – Ma è stata prontamente zittita
dal primo ministro François Fillon, che esclude la
possibilità di adottare una simile misura
– Parziale marcia indietro: la possibilità della
sanzione penale non implica necessariamente il carcere,
che avrebbe comunque un carattere eccezionale
Il
governo francese sta lavorando all’ennesima riforma della
giustizia minorile, attraverso una commissione presieduta
dal penalista André Varinard. Il testo dovrebbe essere
presentato il prossimo marzo alla discussione parlamentare.
Ma un aspro dibattito è già in corso, da quando Rachida
Dati, ministro della giustizia, ha fatto sapere che fra le
proposte allo studio c’è anche quella di abbassare l’età
minima richiesta per la responsabilità penale, secondo lei
una “misura di buonsenso”. Si vorrebbe portarla dagli
attuali tredici anni ai dodici. L’innovazione implica
evidentemente che bambini di questa età potrebbero essere
perseguiti e in caso di condanna incarcerati.
Immediate le
reazioni sul fronte sindacale e soprattutto su quello
educativo e da parte di chi s’impegna per la tutela dei
diritti umani. Si fa notare come la misura, evidentemente
scaturita dall’allarme sociale dovuto al crescere della
criminalità minorile, soprattutto dalle recenti rivolte
giovanili nelle banlieues metropolitane che hanno
determinato da parte di vasti strati dell’opinione
pubblica richieste di linea dura e tolleranza zero, sia
comunque in controtendenza rispetto all’evoluzione della
coscienza giuridica, che punta alla depenalizzazione, alla
mediazione, alla più drastica limitazione possibile del
ricorso al carcere.
Del resto la
proposta del ministro della giustizia non piace nemmeno al
governo di cui la signora Dati fa parte. È toccato allo
stesso primo ministro François Fillon il compito di fare
chiarezza. “Sono totalmente ostile”, ha detto,
“all’idea di mettere in prigione dei bambini di dodici
anni, e posso assicurare che il governo non ha alcuna
intenzione di modificare la legislazione in questo senso”.
“Ci sono altre soluzioni”, ha detto ancora il capo del
governo, “per affrontare la delinquenza minorile, compresi
i casi di violenza estrema eventualmente commessi da bambini
di dodici anni”.
Così rudemente
sconfessata dal governo, la signora Dati ha subito corretto
il tiro. Ecco un comunicato del ministero della giustizia in
cui si precisa che “il ministro aveva chiaramente indicato
che la possibilità di una sanzione penale a dodici anni non
implicava l’incarcerazione”. Nel documento si richiama
la dichiarazione originaria: “una sanzione penale a dodici
anni mi sembra corrispondere al buonsenso”, ma
“sanzionare non significa evidentemente imprigionare, i
giudici minorili devono avere a disposizione un ventaglio di
risposte adatte a tutti i casi”. La stessa Dati aveva
precisato che questo ventaglio può arrivare fino
all’incarcerazione, ma che quest’ultima deve rivestire
“un carattere eccezionale”.
La polemica ha
comunque rilanciato il tema della giustizia penale per i
minori: e già da molte parti si sottolinea come anche i
limiti previsti dall’ordinamento vigente - tredici anni
per la responsabilità penale, quattordici per il carcere -
siano troppo bassi. In fondo la questione è molto semplice:
la giustizia modernamente intesa deve tendere al recupero
della persona, ma come si fa a recuperare un ragazzo deviato
autore di atti di violenza, se non si sa immaginare nessun
altro provvedimento che sbatterlo in galera senza tanti
complimenti?
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r. f. l.
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