Quello
che è accaduto allo scientifico Darwin di Rivoli, nei
pressi di Torino, dove il crollo di un controsoffitto ha
ucciso uno studente ferendone alcuni altri, non è
soltanto una tragedia, è anche un episodio che illustra
in modo esemplare i mali della nostra scuola – I tecnici
avvertono che sono migliaia gli edifici scolastici
bisognosi d’interventi di consolidamento: ma per questa
fondamentale funzione i fondi non bastano – E così il
dramma sottolinea una volta ancora il paradosso delle
priorità
Era
la mattina dello scorso 22 novembre. Una normale giornata di
lezioni nel liceo scientifico di Rivoli, nei pressi di
Torino, intitolato a Charles Darwin. Fuori, un vento di
tempesta, un vento così forte che nella notte ha abbattuto
un albero nel giardino della scuola. Nell’aula della
quarta G accade tutto durante l’intervallo: uno
scricchiolio, poi uno schianto, e una parte del
controsoffitto si abbatte sui banchi e sui ragazzi. Vito
Scafidi, diciassette anni, rimane ucciso. Altri, una
ventina, quasi l’intera classe, rimangono feriti, uno in
particolare in modo grave. Sgomento, disperazione. E,
naturalmente, polemiche.
“Una
tragedia incomprensibile, non è possibile che un ragazzo
perda la vita a scuola”, dice il ministro
dell’istruzione Mariastella Gelmini, profondamente scossa.
Uno dei sindacati della scuola attacca: “questo tragico
episodio conferma ulteriormente la necessità d’investire
maggiormente nel sistema scolastico, a partire dagli aspetti
infrastrutturali e della sicurezza, anziché ridurre le
risorse stanziate per la scuola italiana bisogna invertire
la tendenza e tornare a investire quanto necessario per
rendere possibile la modernizzazione degli edifici
scolastici”.
Parole
sante, anche se poi la discussione imbocca la solita strada
della contrapposizione politica. Come se esistesse uno
schieramento, fra quelli che si sono avvicendati al potere,
che abbia preso davvero sul serio la formidabile scommessa
di mettere in sicurezza la nostra edilizia scolastica.
Saltano fuori statistiche impressionanti. Lo scorso anno
scolastico, nelle scuole italiane ci sono stati tredicimila
incidenti con più di novantamila feriti. Sconcertanti
valutazioni tecniche c’informano che sei edifici
scolastici su dieci sono a rischio. Altri arrivano a
definire insicuro il settantacinque per cento delle nostre
scuole.
Intanto
la preside del liceo Darwin, Maria Torelli, dice che il suo
istituto era sotto controllo. “Venti giorni fa c’è
stata un’ispezione… Abbiamo controllato tutto, gli
impianti elettrici, il sistema antincendio, perfino le
plafoniere. Su quel soffitto crollato non c’erano segni
d’obsolescenza che ci potessero mettere in allarme”. Ma
i ragazzi non ci stanno, e nemmeno i loro genitori: c’è
una manifestazione, c’è un’irruzione al Film festival
di Torino. Manifestazioni anche in altre città, bandiere a
mezz’asta in molte scuole. A Torino c’è uno striscione
insieme assurdo e doppiamente amaro, perché collega questo
problema al dramma delle vittime sul lavoro: “Come
facciamo a crepare in fabbrica se ci ammazzate prima?”.
Interviene
lo stesso presidente del consiglio. “È stata una tragica
fatalità”, dice Silvio Berlusconi, e assicura che scatterà
un programma di controlli. “Non è fatalità, ma
responsabilità di tutti”, dice Rosy Bindi
dell’opposizione parlamentare. “Una fatalità e una
disgrazia”, dice Valentina Aprea, presidente della
commissione cultura alla camera dei deputati, “ma certe
fatalità e certe disgrazie accadono troppo spesso”.
Mentre
la maggioranza invita a “non strumentalizzare”, il
sindacalista Francesco Scrima afferma che “la priorità
delle infrastrutture non deve essere il ponte sullo Stretto
di Messina ma la messa in sicurezza degli edifici
scolastici, perché una buona scuola deve essere
innanzitutto una scuola sicura”. L’associazione dei
consumatori Codacons preannuncia la richiesta di chiusura o
di sequestro, e successivamente di affidamento ai sindaci
per i lavori di consolidamento, delle strutture
particolarmente a rischio.
Poi
mette tutti a tacere la madre di Vito, il ragazzo morto
sotto quel maledetto soffitto. Riversa in una rete
televisiva tutto il suo dolore e la sua rabbia: “Perché i
nostri figli non li mandano a scuola nei comuni? Perché si
fanno i comuni nuovi, ristrutturati, perfetti, mentre i
nostri figli li mandiamo a morire?…” È il vecchio,
vecchissimo problema delle priorità della spesa pubblica:
meglio consolidare le scuole o mandare i soldati a fare le
belle statuine nelle piazze delle nostre città?
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f. s.
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