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realtà si chiamano ufficialmente classi d’inserimento -
Secondo una mozione approvata dalla camera dei
deputati dopo un animato dibattito, saranno riservate a
quegli alunni stranieri che non avranno superato un test
preliminare d’italiano per accedere alle classi normali
– Da una parte si parla d’intervento volto a
facilitare l’integrazione, dall’altra di
un’inaccettabile forma di discriminazione – La
proposta alternativa dell’opposizione: corsi aggiuntivi
di lingua, senza separare i bambini
Prima una prova d’ingresso sulla conoscenza della
lingua italiana, poi, nel caso che il bambino abbia
dimostrato di non conoscerla abbastanza per poter seguire
con profitto le lezioni, la frequenza di classi separate,
volte a colmare la lacuna. Questa novità, introdotta con
una mozione del deputato leghista Roberto Cota approvata
dalla camera dei deputati con 265 voti favorevoli e 246
contrari, ha innescato una nuova aspra polemica sulle scelte
educative. Quelle classi, che nello strumento legislativo
vengono chiamate d’inserimento e che i favorevoli
all’innovazione definiscono classi ponte, secondo gli
oppositori sono invece veri e propri ghetti. La proposta di
Cota viene criticata anche su un altro punto, quello che
vieta le iscrizioni nelle classi ordinarie oltre il 31
dicembre, interpretato come la volontà di escludere
eventuali piccoli stranieri giunti nel nostro paese
successivamente a quella data.
“Una proposta abietta, s’inserisce la discriminazione
nella scuola”, denuncia Piero Fassino, autorevole
rappresentante dell’opposizione. Altri parlano di
xenofobia, di razzismo. Rispondono lo stesso presidente del
consiglio Silvio Berlusconi: “Le classi ponte? Una scelta
di buonsenso, utile a studenti e insegnanti”; e il
ministro dell’istruzione Mariastella Gelmini: “È
sciocco parlare di razzismo”. La discussione rapidamente
s’infiamma: “Berlusconi non sa di che cosa parla”,
accusano le deputate Albertina Soliani e Sandra Zampa, che a
nome dell’opposizione hanno presentato un progetto
alternativo. È radicalmente diverso dal modello Cota:
prevede infatti che i piccoli stranieri entrino nelle classi
normali e che parallelamente alle lezioni seguano un corso
integrativo per familiarizzarsi con la nostra lingua.
Infatti, spiega la deputata Soliani, “nulla vieta di
dedicare ore aggiuntive alla full immersion linguistica”.
Sul tema scende in campo Famiglia Cristiana, il
diffusissimo settimanale cattolico, schierandosi senza
riserve contro la filosofia del sistema proposto dalla
maggioranza e appoggiando invece lo schema
dell’opposizione. “L’unione al posto della
separazione. Sappiamo per esperienza che l’italiano, come
tutte le lingue, s’impara prima se mettiamo i ragazzi
stranieri a contatto con gli italiani il prima possibile:
separando, l’apprendimento linguistico rallenta. Per i
bambini è una questione di pochi mesi”.
C’è un aspetto della questione che nella polemica
in corso si è trascurato di considerare. Chi ha mai detto
che soltanto i bambini stranieri possono avere difficoltà
con l’italiano? La verità è che lacune linguistiche
anche gravi, determinate dai contesti familiari e sociali di
provenienza, possono riguardare molti piccoli italiani. E
non soltanto i piccoli, del resto: basta seguire i
telegiornali che notare come buona parte della nostra classe
politica abbia ben poca familiarità con le regole
grammaticali e sintattiche, per esempio ignori l’uso del
congiuntivo e si permetta ogni sorta di disinvolte licenze.
Per tacere di molti giornalisti, che pure dovrebbero essere
i professionisti della parola...
È anche per questo che il modello Cota è discutibile,
visto che prende i considerazione soltanto le lacune
culturali registrabili fra gli stranieri. Che fare dunque?
Esame di lingua per tutti? In questo caso le classi ponte
ospiterebbero anche bambini italiani: ma potrebbero
ugualmente definirsi classi ghetto, e marchiare in qualche
modo chi le frequenta. Meglio, molto meglio, come
raccomandano l’opposizione parlamentare e Famiglia
Cristiana, farli stare insieme, quei bambini, nelle
stesse classi ordinarie, e impartire lezioni supplementari
di lingua a tutti quelli, stranieri o italiani, che
dimostrino di non saper manovrare con scioltezza lo
strumento principale della comunicazione.
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a. v.
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