Stavolta
vi raccontiamo la storia di una bambina che ogni sera
proprio non ne voleva sapere di andarsene a letto – Non
riusciva a sopportare che il buio fosse nero, un colore
che non le garbava affatto – Per sua fortuna il re degli
Gnomi era in ottimi rapporti con la Notte, tanto da
chiederle se non fosse possibile colorare il buio di rosa
– Presto fatto, e così Nannanò poté finalmente
riconciliarsi con il sonno, e diventare Nannasì
–
Ho la casa piena di
pulci!
–
Chi te ce l'ha messe?
–
Vogliosaperetutto.
–
Vogliosaperetutto è un
ascoltone quanto un guardone?
–
Nonlovogliosapere!...
Neanche il Tasso ha interesse a saperlo. Lui che – ho
scoperto – rovesciava il cannocchiale per vedere la gente
tornare "piccini piccini picciò" come bambini
dalla Gerusalemme liberata, in un tempo in cui i
bambini nessuno li sapeva più rappresentare.
–
Mi hai messo una pulce
nell'orecchio!... Il Tasso guardava con il cannocchiale?
– Sì!... Ma al rovescio di
Galileo, per rimpicciolire, non per ingrandire. E scoprì il
segreto del Giudizio Universale: "Gli uomini, se li
vuoi scoprire, li devi rimpicciolire".
–
Di quanto?
–
… Di quanto?... Non lo
so!... Di tanto in quando c'era Vogliosaperetutto III°...
Bisogna entrare nel mondo degli Gnomi. Cercare tra gli
Gnomi, non tra i Cognomi... Senti questa novella:
«C'era
una volta una bambina che si chiamava Nannanò perché ogni
volta che la mamma le diceva che era ora di andare a
dormire, scoppiava a piangere come un temporale. E strilli e
tuoni e lacrime a catinelle, tanto che una volta si erano
riempiti di lacrime perfino i calzini e le scarpe belle.
Piangeva, piangeva e piangeva. Sempre, pomeriggio e sera,
che fosse allegra e contenta, che stesse ballando, cantando,
ridendo, appena la mamma diceva: – È ora di andare a
dormire – si disperava. "Nannanò! Nannanò! Nannanòl"
strillava. E strillava tanto forte che un giorno la sentì
anche il re degli Gnomi. Questo re si chiamava Vogliosaperetutto
III° perché non
sopportava che accadesse qualcosa nel mondo di cui lui non
conoscesse il perché e il percome. E se non lo sapeva,
faceva di tutto per scoprirlo. Così chiamò un suo aiutante
e lo pregò di andare da Nannanò e domandarle perché si
disperava tanto.
Lo
gnomo partì. La strada era lunga così, quando arrivò
era già buio e tutta la casa era perfettamente chiusa. Ma
lui era uno gnomo furbo e conosceva molti trucchi. Siccome
era un bravo attore, si avvicinò alle finestre del salotto
e fece la faccia di uno che non era ancora arrivato, che era
anzi solo a metà strada, era stanco morto e voleva fare un
pisolino prima di continuare il viaggio. In questo modo, la
casa non si insospettì, e appena la finestra si girò
dall'altra parte, lui saltò dentro.
Ed
ecco, proprio in quel momento, la mamma che dice che è ora
di andare a dormire. "Nooooo" urla la bimba che un
attimo prima ballava – popoff – insieme a suo
fratello. "Nannanò!" e giù lacrime che si poteva
riempire la vasca da bagno. Dopo cinque minuti, Nannanò,
rabbiosissima, è nel suo lettino e lo gnomo si arrampica
fino al cuscino: "Ciao, mi manda il re Vogliosaperetutto
III°; vorrebbe sapere perché piangi tanto prima di
fare la nanna". "Piango
perché quando mi mettono a dormire e spengono la luce,
la mamma diventa nera, i miei occhi diventano neri, mio fratello, il muro, la mia giornata, tutto
diventa nero, e a me il nero non piace".
–
Che colore ti piace? –
le chiede lo gnomo.
–
Il rosa!
"Bene,
bene", dice lo gnomo mentre controlla qualcosa dentro
una taschina di cristallo che sembra piena d'acqua.
–
Che cos'è? – domanda
Nannanò.
–
È la tasca del sapere:
finché non è piena fino all'orlo, non posso
andare via.
–
Posso
berne un po'? –
domanda Nannanò.
–
Se vuoi te ne do una
goccia. Ma guarda che poi domattina saprai
una cosa in più.
–
Va bene, voglio provare.
Detto
fatto, si mette una goccina d'acqua di sapere sulla lingua.
–
Che sapore aveva? –
domanda lo gnomo.
–
Di pera schiacciata.
–
Ah! Allora matematica.
Dimmi un po': quanto fa 300 più 300?
–
Seicento! – dice
Nannanò, che non ha ancora tre anni e fino a un minuto
prima non sapeva nemmeno contarli tutte e tre.
–
Bene, bene ridacchia lo
gnomo: – Adesso devo proprio andare: vuoi vedere come
faccio a uscire da una casa tutta chiusa?
– Sì
– dice Nannanò tenendo il fiato.
Lo
gnomo le fa "ciao, ciao", si avvicina al muro,
bussa e dice: "Matto, mattone, diventa un
portone", e subito vicino al lettino si apre un
passaggio e lo gnomo esce nel buio.
Appena
fuori, fa un fischio. Si sente il rumore di quattro
zoccolini: arriva il suo cavallo, è lungo poco più di un
ago ma è veloce come una zeta, e infatti si chiama Zip.
Galoppa,
galoppa, finalmente arriva nel paese degli Gnomi. Le case
sono tutte perfettamente in fila: di notte passa un ordinista
che se le trova in disordine, magari per il vento, mentre
gli Gnomi dormono, le rimette in filissima come matite
colorate dentro alla scatola. La prima è quella di Vogliosaperetutto
III°. Sopra al portone la casa del re ha un grande
stemma con scolpite queste tre parole: "Perché?
Quando? Dove?". La porta è sempre aperta, anche di
notte, perché tutti quelli che passano, se ne hanno voglia,
possono entrare, presentarsi davanti al re e dargli una
risposta, una qualsiasi, che si sono portati da casa:
"Perché mi è caduto in testa un martello",
"Perché mio fratello è più bello", "Perché
fra un gatto e una poltrona è più importante il
gatto", e così via.
Il
re è contento, si diverte, ascolta e poi si mette lì
concentratissimo a cercare di immaginare la domanda giusta
per ogni risposta. Perché Vogliosaperetutto III°
non si accontenta come suo padre Vogliosaperetutto II°
e suo nonno Vogliosaperetutto I° di sapere tutte le
risposte, lui vuole conoscere anche le domande. "Ma le
domande sono tantissime! Sono infinite!" hanno gridato
allarmati i suoi consiglieri: "Vi stancherete! Vi
ammalerete, vi perderete come una nave nel mare. Lasciate
perdere le domande!". Ma Vogliosaperetutto III°
non gli ha dato retta e di notte, di nascosto, dietro gli
angoli, corre dietro a ogni domanda che passa.
La
casa del re si trovava proprio all'incrocio fra il presente
e il futuro, fra il chiaro e lo scuro, fra il forse e il
perché e si affacciava su un bellissimo lago di tè. In
quella casa le porte comandavano sopra le stanze, perché il
re degli Gnomi considerava molto più importante il poter
passare da qualche parte piuttosto che il restarci.
Naturalmente, ogni porta aveva la sua stanza, ma la porta
era la padrona e la stanza la sua serva. I corridoi erano più
liberi. Molti non facevano nulla dalla mattina alla sera
perché non portavano da nessuna parte, magari finivano in
un bel ricciolo e ciao.
La
casa non era sempre grande uguale: come il nostro cuore si
espandeva e si rimpiccoliva a seconda di come andava la
vita. Un giorno che il re era molto triste perché la sua
mamma lo aveva sgridato, aprendo la finestra al mattino vide
un gigantesco occhio: era quello di un passerotto. Il
palazzo era diventato così piccino che era più piccolo di
un uccellino.
Nella
casa c'erano domande e risposte dappertutto. Sulla porta
della biblioteca c'era un cartello con scritto a lettere
d'oro "Dove è finita la papera?". Nel pavimento
del salone con delle piccole pietre colorate era formata la
frase "Perché abbiamo solo due mani?". E in
bagno, sopra lo specchio del lavandino,
invece di una domanda, c'era una bellissima risposta:
"Perché
ti voglio bene".
E
la gente andava continuamente a lavarsi le mani per
leggerla. E poi altre domande erano sparse dappertutto:
"Tende bianche o tende nere?", "Perché i
cuccioli delle pulci non si chiamano pulcini?",
"Chi è stato a pestarmi un piede?", "Perché
questa storia non va avanti?".
Nei
giorni d'estate il lago di tè diventava bollente e tutti
correvano con i biscotti a fare colazione.
Un
giorno però, purtroppo, capitò al villaggio una malattia
delle case. Arrivarono tutti i dottori del paese, si
agitarono di qua e di là con le mani nei capelli, non ci
capivano niente. "Hanno mal di pancia", diceva la
gente: "Non vedete come sono diventate grige?".
"Dov'è la pancia delle case?", gridavano i
dottori che non sapevano da che parte cominciare.
"Chiamate i muratori", disse una bimba che si
chiamava Angelica. "Brava, sì,
i muratori", dissero. E vennero i muratori, e
sapevano tutto: La pancia della casa della Rosina è in
cucina, la pancia della casa in cima alla stradina è in
cantina, la pancia della casa di messer Cicciotto è in
salotto, nella casa di messer Piccino è sotto il camino e
in quella di messer Grandone è dietro al portone. Adesso
che tutto era chiaro, in quattro e quattr'otto, curarono
tutte le case.
E
la pancia della casa del re? "È sotto il
parquet!", urlò il muratore e, per trovarla, si
dovette scavare un gran buco in salotto.
Finito
di curare la casa, tutti dissero: "È un peccato però
rifare il pavimento. Era così bello quel gran vuoto. Perché
non lo lasciamo cosi?". "Va bene", disse il
re, che era simpaticissimo e diceva sempre di sì. Detto
fatto: il buco al centro del salotto del re fu lasciato lì
e in certe giornate, quando non avevano molto da fare, si
sedevano tutti a guardarci dentro. "Bello, sembra un
mare senz'acqua". "A me sembra una montagna
rovesciata". "Chissà se sotto c'è un altro
buco"... "Ma va!.... Un buco non può appoggiare
sopra un altro buco. Cadrebbe". "Perché?... È
vuoto. Non pesa niente. Perciò è come se volasse, e due
buchi, possono volare insieme. Guarda gli uccellini"...
"Ma cosa c'entra? Un uccellino non è un buco!"...
"Sì, però, è leggero come un vuoto"... e "Ah,
sì... questo, sì"... E così via, continuavano
finché, qualche volta, interveniva il re e diceva:
"Però, state attenti a non sporgervi troppo, che ci
cascate dentro così"... E per farli ridere, si
sporgeva finché – pluff – volava giù gridando
"Aiuto!". Ma si era fatto legare intorno alla vita
un elastico stretto stretto e così poi l'elastico lo
ritirava su (segue la seguente proposta di gioco: fare un
re di cartone con l'elastico e il bimbo che legge lo butta
nel buco del libro).
E
questa storia finisce così. Finisce qui perché è caduta
anche lei nel grande buco del salotto del re e così il
finale non c’è.
Intanto,
lo gnomo attore racconta a Vogliosaperetutto III°
quello che ha scoperto da Nannanò. Il re ascolta attento
poi prende un grande foglio nero, una penna nera e scrive
delle parole nere. Chiude la busta e chiama lo gnomo
paziente: "Parti", gli dice, "porta questa
lettera alla Notte". Lo gnomo si avvia di buon passo.
"Vai piano!", gli grida il re: "È inutile
stancarsi: lo sanno tutti che a qualunque velocità si vada,
che si prenda la strada lunga o la scorciatoia, per arrivare
alla casa della Notte, il viaggio dura un giorno
intero". Alla sera, lo gnomo paziente si siede su una
pietra a riposare e, dopo un'oretta, puntuale, la Notte
arriva. È tutta nera: i vestiti, i capelli, gli occhi, il
sorriso, i suoi gesti, il respiro, anche l'aria che la
circonda come un mantello è nera. Prende la lettera nera.
"Come farà a leggerla in tutto quel buio?", pensa
lo gnomo. E la Notte gli risponde perché è così abituata
al buio che quello che a noi sembra segreto, invisibile,
come i pensieri, a lei appare chiarissimo: "Mi
fanno luce i sogni. I sogni brillano come lampadine". E
legge la lettera del re: "Cara Notte", dice,
"hai un buio rosa per una bambina mia amica?"...
"Un buio rosa"... La Notte ci pensa su...
"Non mi pare", borbotta fra sé e sé... "Però
posso andare a vedere nella buioteca. Nella sua casa
tutte le pareti sono coperte di mobili neri pieni di
cassetti che arrivano fino al soffitto e, in ogni cassetto,
c'è un buio diverso: Buio nero, buio nerissimo, buio
spaventoso, buio ululante, buio ventoso, buio con una
stella, buio con una voce che chiama, buio tonante, buio di
foresta, buio sotto le coperte, buio vicino al mattino, buio
in giardino. E poi tutte le sfumature: buio verde, buio blu,
buio rossastro, ma il buio rosa non c'è.
"Pazienza", dice la Notte: "lo farò
io". Apre un cassettino pieno di colori e pennelli
tutti impolverati – era tanto tempo che nessuno le
chiedeva un altro buio! – mescola, toglie, aggiunge: un
po' di rosso, un po' di petali, il ricordo di una luce,
polvere di bacini e, alla fine, schiaccia con un po' di
ribrezzo il tubetto del bianco. Ed ecco un magnifico buio
rosa! Soffice, tenero, morbido, tranquillo, proprio un buio
perfetto per una bimba piccolina. La Notte lo impluffa, lo
arrotola, gli lega un cordino ricordino per non farlo volare
via e poi lo porta allo gnomo paziente. "Tieni, ma non
farlo vedere a nessuno: non è un buio tanto regolare".
E lo gnomo paziente riparte. Il viaggio di ritorno è sempre
più lento perché fra gli Gnomi, che sono tipi molto
precisi, c'è la regola che per andare, si cammina in avanti
ma, per tornare, si deve camminare all'indietro. Infatti,
cammina all'indietro cammina all'indietro cammina
all'indietro, finalmente arriva da Nannanò. La casa è
sbarrata. Tutte le porte e le finestre sono attentissime,
perché si sono accorte che per colpa loro qualcuno è
entrato di notte nella casa e fanno la guardia come
sentinelle. I mattoni sono immobili, tutti fermissimi al
loro posto perché la mamma, che si è accorta di tutto, ha
fatto una contromagia. "Mattoni attenti!" ha
gridato: "Ne prenderete un sacco e una sporta, se vi
trasformerete ancora in una porta!". E così anche dai
muri non si passa.
Ma
gli Gnomi sono furbissimi entratori e così lo gnomo
paziente si infila nell'antenna della televisione e
canticchiando per fare finta di niente, scivola dentro il
cartone animato che Nannanò sta guardando.
"Ciao", le fa con la manina, "ciao Nannanò,
ho un regalo per te". Nannanò si domanda perché quel
cartone animato sappia il suo nome, ma ecco che, proprio in
quel momento, entra la mamma. Tappandosi le orecchie con le
mani, dice: "È ora di andare a letto". "Nooooooo...
nannanò! nannanò!" comincia a piangere Nannanò.
Scoppia una gran confusione, e così nessuno vede lo gnomo
che salta fuori dalla televisione e corre nella camera dei
bambini. Zitto zitto apre la porta e apre il suo soffice
pacco: subito tutto il buio rosa si riversa nella stanza
come il latte quando si rovescia la tazza, come il vento che
entra dalle finestre, come la musica che si appoggia sul
cuore. E Nannanò va a letto come tutte le sere in lacrime,
arrabbiata. Ma quando la mamma spegne la luce, tutto diventa
rosa: un bellissimo buio le sorride, un buio delicato,
consolante, che non fa paura. "Grazie", dice
Nannanò, e si addormenta.
E
la storia finisce così. Finisce qui perché da quella sera
Nannanò è diventata Nannasì».
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Filippo Nibbi, Giovanna De Carli
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