FOGLIO LAPIS - DICEMBRE - 2007

 
 

Succede ancora, nonostante gli allarmi internazionali, soprattutto in Africa e Asia – Bande di guerriglieri impegnati nelle cause più disparate non esitano ad arruolare minori, che dopo un rapido addestramento, non di rado imbottiti di droghe, vengono gettati nella mischia – Incerte le stime del fenomeno - A volte la pressione di gruppi bene intenzionati riesce a sottrarli all’incubo, e in questi casi si apre il problema di un difficilissimo recupero psicologico

 

È il caso limite nel vergognoso fenomeno dello sfruttamento dell’infanzia. Si sa dei milioni di bambini che nel mondo invece di sedersi ai banchi di scuola sono costretti a lavorare nei campi, nelle fabbriche, o a chiedere l’elemosina per strada o addirittura a vendere il proprio corpo. Ma questo è proprio il caso limite: bambini reclutati in formazioni armate, addestrati a combattere e uccidere, infine scaraventati nella mischia, a volte con il “supporto” psicologico di stupefacenti. Capita in alcuni paesi, soprattutto africani o asiatici, nei quali croniche situazioni di crisi determinano guerriglie che a volte durano da anni.

Qualche giorno fa l’Unicef, l’agenzia delle Nazioni Unite che si occupa specificamente dei problemi dell’infanzia, ha annunciato di avere ottenuto dai guerriglieri Mayi Mayi, una formazione armata ribelle che opera nel Kivu, una provincia della Repubblica democratica del Congo (è l’ex Zaire, o per andare più addietro nel tempo l’ex Congo belga) la liberazione di 232 ragazzi, età media quattordici anni, che erano inquadrati nei loro reparti combattenti. Adesso per quei piccoli reduci si apre la problematica fase del recupero psicologico e del reinserimento sociale. Subito dopo la liberazione sono stati posti in istituti temporanei, poi si cercherà di restituirli alle rispettive famiglie. Ma il loro ritorno a una vita normale si preannuncia tutt’altro che facile.

Una buona notizia, quella che arriva dal Congo, ma che una volta ancora ci pone di fronte al problema drammatico dei bambini-soldato. La stessa Unicef che è riuscita a riscattare i 232 ragazzi fa sapere che soltanto in quel paese africano, dove la guerra civile strisciante da decenni ha conosciuto di recente un inasprimento soprattutto nelle province settentrionali, si registra un aumento preoccupante dei reclutamenti di minori. Quanti siano è difficile valutare, i reclutatori hanno tutto l’interesse a tenere nascoste le cifre del fenomeno: certamente si tratta di centinaia, forse di migliaia. E aree di crisi simile a quella congolese ce ne sono molte altre, in Africa come in Asia.

Di fronte a un problema come questo, non è facile immaginare una soluzione. Si può soltanto auspicare che operazioni come quella portata a termine con successo dall’Unicef nella Repubblica democratica del Congo si possano tentare anche altrove con lo stesso esito. L’organizzazione umanitaria ha tenuto segrete le modalità della trattativa, ha soltanto precisato di avere avuto la collaborazione del gruppo Save the Children e dei caschi blu, le truppe delle Nazioni Unite che sono schierate nel paese africano in una problematica missione di pace. Il riserbo dell’Unicef alimenta la speranza che iniziative simili siano in corso con altri gruppi armati: attendiamo dunque altre liberazioni, altri bambini da strappare alla guerra e restituire alla scuola, alla vita.

 

                                                                                                                           

                                                          
                                           f. s. 
                                         

    


                                                  

 
 

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