FOGLIO LAPIS - DICEMBRE - 2007

 
 

Il programma di valutazione ha preso in esame i ragazzi di cinquantasette paesi: il nostro si è classificato al trentatreesimo posto per capacità di lettura, al trentaseiesimo per competenze scientifiche, al trentottesimo per familiarità con la matematica – Ma questo non significa, come hanno titolato i giornali, che i nostri quindicenni sono “somari”: infatti i criteri dell’indagine penalizzano una scuola come l’italiana, geneticamente svincolata dal reale

 

Molti lo ricorderanno: il primo trauma è datato 2000, l’anno in cui per la prima volta l’Ocse (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico) realizzò il Pisa (Programme for International Student Assessment). Si trattava di intervistare un vasto campione di ragazzi di quindici anni, chiamati a rispondere per iscritto a una serie di domande relative alle competenze individuali in materia di lettura nella propria lingua nazionale, matematica e scienze naturali. Lo scopo era quello di valutare non tanto l’avvenuta acquisizione di nozioni, quanto la capacità di applicare le conoscenze maturate a scuola alla soluzione di problemi nella vita reale. Si voleva insomma stabilire se i ragazzi fossero in grado di usare concretamente ciò che avevano imparato. I risultati furono sconfortanti per l’Italia, irrimediabilmente classificata ai piani bassi della graduatoria. Svettavano al contrario alcuni paesi del Nord Europa e altri dell’Asia orientale. Il nostro non fu il solo paese a dover fare i conti con una realtà mortificante: la pessima posizione della Germania, spietatamente rivelata dal Pisa 2000, provocò in quel paese indignazione, polemiche, dibattiti, voglia di correre ai ripari.

A sei anni di distanza dal primo esperimento, oggi il Pisa è arrivato alla sua terza edizione. Nel corso del 2006 sono stati interpellati 400 mila studenti in 57 paesi. I risultati confermano nella sostanza la situazione del 2000, ma con alcuni spostamenti significativi. La Finlandia si conferma al vertice sia per la lettura, sia per le scienze e la matematica: così la Corea del Sud e Hong Kong, mentre il Giappone, forte in matematica e scienze naturali, occupa una posizione vicina alla media quanto a capacità di lettura. Mentre la Germania, con le misure adottate in seguito al salutare scossone di sei anni or sono, ha potuto scalare qualche gradino in classifica (e lo stesso ha fatto il Canada, che del resto già si trovava al di sopra della media), Gran Bretagna e Francia sono scivolate indietro. Ma non fino al punto di precipitare accanto all’Italia, che rispetto a un 2000 già deludente ha perduto altre posizioni. L’impressione complessiva, oggi come nelle due precedenti rilevazioni del 2000 e del 2003, è il ruolo dell’omogeneità sociale nel determinare risultati positivi. Vediamo infatti ai vertici società compatte, mentre i paesi a forte eterogeneità nazionale, come gli Stati Uniti, navigano al di sotto della media.

Naturalmente non si tratta soltanto di questo. La caratteristica dei sondaggi Pisa, volti non a stabilire l’accumulo di conoscenze ma piuttosto la capacità di servirsene, offre una facile chiave di lettura del disagio che affligge la scuola italiana. Essa viene punita non perché sia incapace di trasmettere conoscenze, ma perché le conoscenze che trasmette tendono a essere astratte, teoriche, svincolate dalla realtà. S’insegna a leggere ma non a amare né a scegliere le letture, s’insegnano le scienze con pochissime attività sperimentali di laboratorio, s’insegna la matematica come se fosse nient’altro che un insieme di regole astruse, senza farne capire e apprezzare la capacità di lettura e interpretazione del mondo. Al centro di queste lacune, e del grande malessere che ne consegue, c’è un corpo docente mal pagato e peggio motivato.

Scorporando il dato italiano nelle sua articolazioni, si può vedere che le cose vanno un poco meglio al Nord rispetto al Sud, un poco meglio nei licei rispetto agli istituti tecnici. Ma la strada da fare è lunga, in tutto il territorio nazionale e in tutti gli ordini di scuole.  La si potrà percorrere puntando su un’accurata selezione degli insegnanti, sulla loro formazione permanente, sul recupero da parte loro di un ruolo sociale e di un livello di trattamento economico che renda appetibile questa professione, troppo spesso considerata come un ripiego. Bisogna ostinarsi a pretendere una scuola che sappia essere contemporaneamente vicina all’elaborazione scientifica, che nel nostro paese offre livelli assai elevati, e alle concrete esigenze della società.

                                                          a. v. 
                                         

    


                                                  

 
 

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