FOGLIO LAPIS - DICEMBRE - 2006

 
 

Tanti sono nel mondo i bambini privi di istruzione – Particolarmente concentrati in Asia e Africa, la loro alternativa alle lezioni è un lavoro in condizioni di sfruttamento, quando non la prostituzione o l’arruolamento forzato nelle più disparate milizie – L’allarme di Save the Children focalizzato sulla situazione nei paesi, una trentina, in cui nel 2004 erano in corso conflitti armati – Il problema degli aiuti che non arrivano a destinazione  

 

 

L’obiettivo fissato a suo tempo dalla comunità internazionale, istruzione primaria per tutti entro il 2015, va assumendo sempre più i contorni dell’utopia. Il numero dei bambini cui la scuola è negata è infatti ancora altissimo: 115 milioni secondo le più recenti statistiche. Ciò che rende improbabile tagliare con successo il traguardo del 2015 è il fatto che in molti, in troppi paesi si trascinano croniche situazioni di conflitto, e anche quando le armi finalmente tacciono le conseguenze della guerra sull’organizzazione educativa si trascinano a lungo vanificando o almeno ritardando ogni proposito di rilancio. In un rapporto di questi giorni Save the Children analizza proprio lo stato dell’istruzione in quei paesi, una trentina, in cui nel 2004 divampavano conflitti. Si parla, per fare qualche esempio, dell’Afghanistan, della Somalia, dello Sri Lanka, del Sudan, dell’Iraq.

In molte di queste aree il sistema educativo è letteralmente sconvolto dalla guerra. Per esempio le scuole vengono spesso utilizzate dalle milizie armate come basi di operazione e alloggi per le truppe: anche per questo vengono frequentemente distrutte nei combattimenti, il che ne rende problematico il recupero e la rinnovata destinazione scolastica una volta che la guerra sia finita. Non solo: in molti di questi paesi si considera la popolazione infantile nient’altro che un facile bacino di reclutamento. Abbiamo così bambini che invece di concentrarsi sui libri imbracciano il kalashnikov e vengono addestrati a uccidere, non di rado con l’aiuto della droga. È uno dei casi estremi di quel dirottamento dei minori dalle loro naturali occupazioni scolastiche che in altre situazioni alimenta il lavoro infantile in condizioni di crudele sfruttamento, l’accattonaggio, addirittura la prostituzione.

Secondo Save the Children erano 43 milioni nel 2004 i bambini sottratti alla scuola nei paesi in conflitto. La comunità internazionale ha attivato un vasto programma di aiuti, in vista dell’obiettivo 2015, ma degli otto miliardi e mezzo di dollari disponibili soltanto una piccola parte arriva nelle aree percorse dalla guerra. Per l’utilizzazione di fondi sono infatti richieste garanzie che un paese in conflitto non è evidentemente in grado di offrire. Si arriva dunque al paradosso che l’aiuto internazionale viene a mancare proprio dove servirebbe di più. Inoltre, come si diceva, le conseguenze materiali della guerra sono destinate a trascinarsi a lungo dopo la fine delle ostilità: e questo significa che intere generazioni rimangono a rischio di analfabetismo totale.

La situazione è ulteriormente aggravata per l’infanzia femminile da pregiudizi discriminatori duri a morire. In questo caso la guerra non c’entra. In molte, troppe parti del mondo si ritiene che una bambina, destinata come donna a un ruolo subalterno nella società, della scuola possa benissimo fare a meno. Si registrano perfino, è il caso dell’Afghanistan, assalti armati a scuole femminili. Di qui un ulteriore paradosso: mentre nelle statistiche sui rendimenti scolastici le ragazze se la cavano mediamente meglio dei loro compagni, le cifre sull’analfabetismo mostrano che questa piaga colpisce più massicciamente proprio la parte femminile della società.

Un altro problema complica la situazione educativa in molte parti del mondo, la mancanza o l’insufficienza di personale docente. Non serve a molto costruire una scuola, se non ci sono maestri qualificati. Dove ci sono, difettano a volte le strutture per i necessari aggiornamenti professionali. In alcune parti dell’Africa gli organici già insufficienti sono stati ulteriormente decimati dall’imperversare dell’aids e di altre emergenze sanitarie. In alcuni casi la carenza di insegnanti e la mancanza di corsi di riqualificazione sono almeno in parte compensate dal generoso impegno di volontari stranieri. Ma non basta: se vogliamo che l’obiettivo inizialmente fissato al 2015 si possa comunque raggiungere entro una scadenza racchiusa entro il nostro orizzonte temporale, è necessario che la comunità internazionale compia altri sforzi. Accanto alla vergogna della fame, quella dei bambini senza scuola deve essere prioritariamente combattuta con ogni mezzo.

                                                                   r. f. l.

 

   


                                                  

 
 

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