Le
cronache euro-americane riportano attacchi alle scuole, a
volte con pesanti bilanci di morti e feriti – In un
distretto scolastico del Texas si è deciso di correre ai
ripari con lezioni di autodifesa affidate a specialisti
– Non più restare passivi in attesa che un aiuto
esterno risolva la situazione, ma al contrario balzare
addosso agli aggressori, bersagliarli con tutto quanto è
a portata di mano, neutralizzarli e consegnarli alla
polizia – Una ricetta che fa discutere
Finora le regole di comportamento erano prudentemente
passive. Aggressori armati si sono introdotti nella scuola e
tengono studenti e insegnanti sotto la minaccia delle armi?
Fate quello che vi ordinano e non reagite, aspettate
fiduciosi che dall’esterno arrivino polizia, esperti
psicologi capaci di indurre i violenti alla resa, tiratori
scelti pronti se necessario all’assalto risolutore. Ma
siamo sicuri che questa sia la ricetta giusta? Non ne sono
affatto sicuri i responsabili di un distretto scolastico del
Texas, quello di Burleson, un sobborgo di Fort Worth, che
amministra una decina di scuole con circa 8500 studenti di
tutte le classi d’età, dai piccoli delle primarie agli
adolescenti della high school. Da buoni texani,
probabilmente nostalgici del mito della frontiera e delle
comunità pronte a difendersi da ogni malintenzionato, non
si rassegnano all’idea di studenti e insegnanti
rannicchiati sotto i banchi e le cattedre, nell’attesa che
il peggio passi e gli energumeni siano ridotti alla ragione.
Per questo hanno deciso di affidare a uno specialista,
Robin Browne, maggiore della riserva dell’esercito
britannico, un corso di autodifesa. Un addestramento che
comprende il da farsi di fronte a qualsiasi genere di crisi,
dall’incendio al tornado fino, appunto, all’irruzione
nella scuola di uomini armati. Browne è convinto che in
quest’ultima emergenza nascondersi sotto il banco e
pregare che arrivi il soccorso della polizia non sia la
soluzione migliore. Meglio reagire immediatamente, con ogni
mezzo a disposizione. Non appena vedete spuntare la canna di
una pistola, dice l’ufficiale di sua maestà, dovete
balzare addosso a chi vi minaccia, fare tutto il rumore
possibile, scaraventargli contro tutto quello che vi capita,
prenderlo a calci e pugni, colpirlo con libri, penne,
compassi. Cinque o sei ragazzi, assicura Browne, sono più
che sufficienti per neutralizzare un uomo, per quanto
armato. E quando finalmente arriva la polizia, sarete voi
ragazzi a consegnare il violento bene impacchettato.
Questo nuova proposta sul modo di affrontare
l’emergenza fa molto discutere in America. È chiaramente
in relazione con la furibonda lotta ingaggiata dai
passeggeri del volo United Flight 93, nel drammatico 11
settembre 2001, contro i terroristi di Al Qaeda che se ne
erano impadroniti. Era il quarto aereo dirottato quel
giorno, dopo quelli scagliati contro le torri di Manhattan e
il Pentagono. L’aereo si schiantò in un campo della
Pennsylvania: ma la reazione dei passeggeri aveva impedito
ai terroristi di farlo precipitare sulla Casa Bianca di
Washington, loro probabile obiettivo di enorme portata
simbolica. Anche quel giorno fu sperimentata una tattica
nuova: infatti nel caso dei dirottamenti aerei la regola è
sempre stata quella di non cercare di fare gli eroi.
Secondo Browne è importante convincere i ragazzi che
neutralizzare un violento, grazie al numero, alla
determinazione e all’addestramento, è possibile.
L’iniziativa texana fa molto discutere in America, nei
blog e nelle lettere ai giornali. L’obiezione più
frequente è anche la più ovvia: e se durante la
colluttazione quello riesce comune e sparare, e qualcuno
viene colpito? Molti rispondono notando che è meglio
questo, piuttosto che lasciarsi massacrare inerti, come a
volte è accaduto. Altri notano che la scuola ha l’obbligo
di garantire la sicurezza, ma non può farlo coinvolgendo i
ragazzi e mettendo a repentaglio la loro incolumità. Ma
nell’emergenza di cui si parla, questa la replica,
quell’incolumità è già in pericolo.
Nel distretto coinvolto nel corso del maggiore Browne
pare che non ci siano opposizioni. I genitori concordano
dunque sul fatto che i ragazzi devono imparare a difendersi,
come singoli e come gruppo. Alcuni considerano
l’iniziativa una sorta di deterrente che dovrebbe
scoraggiare i malintenzionati: conviene forse a qualcuno
prendere d’assalto una scuola le cui classi sono
addestrate a balzare addosso all’aggressore? D’altra
parte chi si presenta in un edificio scolastico con l’arma
carica di solito è uno psicopatico, è difficile immaginare
che faccia calcoli di convenienza. L’istruttore britannico
confida probabilmente in una esemplare prova del fuoco: un
assalto vanificato dalla pronta reazione dei ragazzi, i
violenti disarmati e consegnati alla polizia, i giovanissimi
difensori dell’ordine che raccontano l’impresa ai media,
una ricetta innovativa consacrata dal successo. Ma se invece
qualcosa andasse storto?
f. s.
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