FOGLIO LAPIS - DICEMBRE - 2006

 
 

Le cronache euro-americane riportano attacchi alle scuole, a volte con pesanti bilanci di morti e feriti – In un distretto scolastico del Texas si è deciso di correre ai ripari con lezioni di autodifesa affidate a specialisti – Non più restare passivi in attesa che un aiuto esterno risolva la situazione, ma al contrario balzare addosso agli aggressori, bersagliarli con tutto quanto è a portata di mano, neutralizzarli e consegnarli alla polizia – Una ricetta che fa discutere  

 

 

Finora le regole di comportamento erano prudentemente passive. Aggressori armati si sono introdotti nella scuola e tengono studenti e insegnanti sotto la minaccia delle armi? Fate quello che vi ordinano e non reagite, aspettate fiduciosi che dall’esterno arrivino polizia, esperti psicologi capaci di indurre i violenti alla resa, tiratori scelti pronti se necessario all’assalto risolutore. Ma siamo sicuri che questa sia la ricetta giusta? Non ne sono affatto sicuri i responsabili di un distretto scolastico del Texas, quello di Burleson, un sobborgo di Fort Worth, che amministra una decina di scuole con circa 8500 studenti di tutte le classi d’età, dai piccoli delle primarie agli adolescenti della high school. Da buoni texani, probabilmente nostalgici del mito della frontiera e delle comunità pronte a difendersi da ogni malintenzionato, non si rassegnano all’idea di studenti e insegnanti rannicchiati sotto i banchi e le cattedre, nell’attesa che il peggio passi e gli energumeni siano ridotti alla ragione.

Per questo hanno deciso di affidare a uno specialista, Robin Browne, maggiore della riserva dell’esercito britannico, un corso di autodifesa. Un addestramento che comprende il da farsi di fronte a qualsiasi genere di crisi, dall’incendio al tornado fino, appunto, all’irruzione nella scuola di uomini armati. Browne è convinto che in quest’ultima emergenza nascondersi sotto il banco e pregare che arrivi il soccorso della polizia non sia la soluzione migliore. Meglio reagire immediatamente, con ogni mezzo a disposizione. Non appena vedete spuntare la canna di una pistola, dice l’ufficiale di sua maestà, dovete balzare addosso a chi vi minaccia, fare tutto il rumore possibile, scaraventargli contro tutto quello che vi capita, prenderlo a calci e pugni, colpirlo con libri, penne, compassi. Cinque o sei ragazzi, assicura Browne, sono più che sufficienti per neutralizzare un uomo, per quanto armato. E quando finalmente arriva la polizia, sarete voi ragazzi a consegnare il violento bene impacchettato.

Questo nuova proposta sul modo di affrontare l’emergenza fa molto discutere in America. È chiaramente in relazione con la furibonda lotta ingaggiata dai passeggeri del volo United Flight 93, nel drammatico 11 settembre 2001, contro i terroristi di Al Qaeda che se ne erano impadroniti. Era il quarto aereo dirottato quel giorno, dopo quelli scagliati contro le torri di Manhattan e il Pentagono. L’aereo si schiantò in un campo della Pennsylvania: ma la reazione dei passeggeri aveva impedito ai terroristi di farlo precipitare sulla Casa Bianca di Washington, loro probabile obiettivo di enorme portata simbolica. Anche quel giorno fu sperimentata una tattica nuova: infatti nel caso dei dirottamenti aerei la regola è sempre stata quella di non cercare di fare gli eroi.

Secondo Browne è importante convincere i ragazzi che neutralizzare un violento, grazie al numero, alla determinazione e all’addestramento, è possibile. L’iniziativa texana fa molto discutere in America, nei blog e nelle lettere ai giornali. L’obiezione più frequente è anche la più ovvia: e se durante la colluttazione quello riesce comune e sparare, e qualcuno viene colpito? Molti rispondono notando che è meglio questo, piuttosto che lasciarsi massacrare inerti, come a volte è accaduto. Altri notano che la scuola ha l’obbligo di garantire la sicurezza, ma non può farlo coinvolgendo i ragazzi e mettendo a repentaglio la loro incolumità. Ma nell’emergenza di cui si parla, questa la replica, quell’incolumità è già in pericolo.

Nel distretto coinvolto nel corso del maggiore Browne pare che non ci siano opposizioni. I genitori concordano dunque sul fatto che i ragazzi devono imparare a difendersi, come singoli e come gruppo. Alcuni considerano l’iniziativa una sorta di deterrente che dovrebbe scoraggiare i malintenzionati: conviene forse a qualcuno prendere d’assalto una scuola le cui classi sono addestrate a balzare addosso all’aggressore? D’altra parte chi si presenta in un edificio scolastico con l’arma carica di solito è uno psicopatico, è difficile immaginare che faccia calcoli di convenienza. L’istruttore britannico confida probabilmente in una esemplare prova del fuoco: un assalto vanificato dalla pronta reazione dei ragazzi, i violenti disarmati e consegnati alla polizia, i giovanissimi difensori dell’ordine che raccontano l’impresa ai media, una ricetta innovativa consacrata dal successo. Ma se invece qualcosa andasse storto?

                                                                   f. s. 

 

   


                                                  

 
 

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