Due
volumi di recente pubblicazione fanno il punto sui
caratteri della scienza dell’educazione e su contenuti e
problematiche della relativa storiografia – Nata come
metodo di cooptazione delle nuove generazioni secondo i
valori sociali dominanti, la pedagogia ha successivamente
acquisito piena dignità scientifica, ma i troppi
aggettivi che spesso l’accompagnano rischiano di
snaturarne il senso – Di fatto, è la radice e il
pilastro di ogni disciplina dell’educazione
Che
cos’è la pedagogia? Nata come “guida del fanciullo”,
secondo la chiara etimologia greca, cioè come una funzione
marginale, solitamente affidata a uno schiavo, di
accompagnamento e di supporto del bambino, è poi
gradualmente passata a significare il processo educativo
fino all’acquisizione del carattere e della dignità di
scienza. Scienza dell’educazione, appunto. In un volume
recentemente uscito per le Edizioni del Cerro che porta
proprio questo titolo, Scienza dell’educazione -
Linguaggio, rete di ricerca e problemi sociali, Giovanni
Genovesi chiarisce il rapporto di questa scienza con la
pedagogia e con “le altre discipline che circolano nel
settore della formazione”. Ordinario di pedagogia generale
all’università di Ferrara, fra i più autorevoli
specialisti in materia, Genovesi si pone innanzitutto una
domanda: come mai la scienza dell’educazione è designata
da un nome così poco scientifico, il nome dell’antica
attività subalterna? Analizzando le possibili risposte, lo
studioso ripercorre la lunga corsa a ostacoli della
pedagogia verso il suo destino di scienza.
Una prima risposta riguarda il rapporto umano che si
stabiliva fra il ragazzo e il pedagogo, ben più stretto e
intenso di quello intrattenuto con il maestro, e soprattutto
ben più rassicurante per quanto riguarda l’adeguamento
dell’allievo ai valori dominanti, all’ordine costituito.
Di qui la scelta minimalista di privilegiare con la
pedagogia un aspetto facilmente controllabile della
formazione. Altrettanto rassicurante un altro carattere
della pedagogia, intesa come addestramento all’azione
piuttosto che alla riflessione, come opzione non scientifica
perché la scienza è un pericoloso salto nel buio. Infine
la pedagogia del buon tempo antico dava priorità a una
dimensione tipicamente fisica, vitale, corporea: del tutto
estranea all’astrazione scientifica. Poco a poco
l’antica pratica si è scrollata di dosso tutti questi
limiti, si è liberata della corporeità come carattere
esclusivo, è evasa dalla prigione ideologica, ha
individuato nell’educazione il suo oggetto, si è
collocata in una dimensione astratta e ha scoperto il rigore
del linguaggio: si è fatta, in una parola, scienza.
Del resto pedagogia e scienza dell’educazione sono
termini che a stretto rigore non dovrebbero essere confusi.
Nella pedagogia, la scienza dell’educazione ha le sue
radici storiche, ma essendo entrata nell’universo
concettualizato, avendo assunto una dimensione scientifica
è ormai tutt’altra cosa, è dotata di piena autonomia e
brilla di luce propria. Si configura come una rete
contenente tutti i campi di ricerca (le altre discipline che
circolano…) tradizionalmente designati accoppiando al
termine pedagogia un aggettivo o un genitivo: aggettivi e
genitivi che finiscono, facendo proliferare le più svariate
“pedagogie”, con lo snaturare la connotazione
scientifica della disciplina.
Questa
rete ha due snodi fondamentali: il primo è la didattica
(che studia le modalità della ricerca educativa nella
scuola), il secondo la storiografia della scienza
dell’educazione (che ne studia i problemi e le prospettive
attraverso l’indagine sulle radici e sull’evoluzione).
Dopo avere illustrato le caratteristiche peculiari
dell’educazione (citiamo fra le principali il carattere
dinamico del processo, la sua integralità, la sua
simultaneità), Genovesi ripropone i connotati della sua
scuola ideale. A cominciare dall’autonomia e dalla laicità,
e poi fra gli altri l’intenzionalità (cioè alla larga
dall’improvvisazione), la primarietà del codice
alfabetico, la funzione universalistica, la verificabilità,
la centralità del docente.
Genovesi è fra gli studiosi che nel novembre di un
anno fa parteciparono a Cassino al convegno indetto dal
Cirse (Centro italiano di ricerca storico-educativa) sul
tema “La storiografia dell’educazione: identità, metodi
e modelli”. Le relazioni di quel convegno sono raccolte in
un volume appena pubblicato dall’editore Franco Angeli
nella collana Cultura scienza e società: La storiografia
dell’educazione - Metodi, fonti, modelli e
contenuti, a cura di Luciana Bellatalla e Paolo Russo.
Questi contributi confermano l’immagine di una pedagogia
ormai definitivamente riscattata, attraverso
l’acquisizione di caratteri scientifici, dall’antica
soggezione ancillare, di cui la storiografia, da affidarsi a
storici che siano anche pedagogisti, contribuisce
a chiarire non soltanto la genesi e l’evoluzione,
ma anche le problematiche disciplinari.
Nel volume si analizzano per cominciare i metodi e le
fonti, da quelle parlamentari (Giovanni Gonzi) a quelle
mediche (Angela Magnanini), dalla dimensione visiva
(Piergiovanni Genovesi) alle metodologie della ricerca
on-line (Angelo Luppi), fino alle fonti orali (Mario
Grecchele). Si passa poi a considerare i modelli, da quelli
esaminati nell’ottica storica (Franco Cambi, Tiziana
Pironi, Hervé A. Cavallera) o attraverso il confronto
internazionale (Alessandro Mariani), alla divulgazione
scientifica (Elena Marescotti), ai rapporti con la
psicoanalisi (Furio Pesci). La terza parte del volume è
dedicata ai contenuti di ricerca: l’educazione nell’età
classica (Rosella Frasca), la filologia e la fiaba (Ilaria
Filograsso), la proposta pedagogica di Gaetano Filangieri
(Ernesto Bosna), Herbart nella storiografia (Ignazio
Volpicelli), la donna nella storia educativa (Carmela
Covato), la storia dell’educazione degli adulti (Paolo
Russo).
a.v.
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