FOGLIO LAPIS - DICEMBRE - 2005

 
 

Due volumi di recente pubblicazione fanno il punto sui caratteri della scienza dell’educazione e su contenuti e problematiche della relativa storiografia – Nata come metodo di cooptazione delle nuove generazioni secondo i valori sociali dominanti, la pedagogia ha successivamente acquisito piena dignità scientifica, ma i troppi aggettivi che spesso l’accompagnano rischiano di snaturarne il senso – Di fatto, è la radice e il pilastro di ogni disciplina dell’educazione  

 

Che cos’è la pedagogia? Nata come “guida del fanciullo”, secondo la chiara etimologia greca, cioè come una funzione marginale, solitamente affidata a uno schiavo, di accompagnamento e di supporto del bambino, è poi gradualmente passata a significare il processo educativo fino all’acquisizione del carattere e della dignità di scienza. Scienza dell’educazione, appunto. In un volume recentemente uscito per le Edizioni del Cerro che porta proprio questo titolo, Scienza dell’educazione - Linguaggio, rete di ricerca e problemi sociali, Giovanni Genovesi chiarisce il rapporto di questa scienza con la pedagogia e con “le altre discipline che circolano nel settore della formazione”. Ordinario di pedagogia generale all’università di Ferrara, fra i più autorevoli specialisti in materia, Genovesi si pone innanzitutto una domanda: come mai la scienza dell’educazione è designata da un nome così poco scientifico, il nome dell’antica attività subalterna? Analizzando le possibili risposte, lo studioso ripercorre la lunga corsa a ostacoli della pedagogia verso il suo destino di scienza.

Una prima risposta riguarda il rapporto umano che si stabiliva fra il ragazzo e il pedagogo, ben più stretto e intenso di quello intrattenuto con il maestro, e soprattutto ben più rassicurante per quanto riguarda l’adeguamento dell’allievo ai valori dominanti, all’ordine costituito. Di qui la scelta minimalista di privilegiare con la pedagogia un aspetto facilmente controllabile della formazione. Altrettanto rassicurante un altro carattere della pedagogia, intesa come addestramento all’azione piuttosto che alla riflessione, come opzione non scientifica perché la scienza è un pericoloso salto nel buio. Infine la pedagogia del buon tempo antico dava priorità a una dimensione tipicamente fisica, vitale, corporea: del tutto estranea all’astrazione scientifica. Poco a poco l’antica pratica si è scrollata di dosso tutti questi limiti, si è liberata della corporeità come carattere esclusivo, è evasa dalla prigione ideologica, ha individuato nell’educazione il suo oggetto, si è collocata in una dimensione astratta e ha scoperto il rigore del linguaggio: si è fatta, in una parola, scienza.

Del resto pedagogia e scienza dell’educazione sono termini che a stretto rigore non dovrebbero essere confusi. Nella pedagogia, la scienza dell’educazione ha le sue radici storiche, ma essendo entrata nell’universo concettualizato, avendo assunto una dimensione scientifica è ormai tutt’altra cosa, è dotata di piena autonomia e brilla di luce propria. Si configura come una rete contenente tutti i campi di ricerca (le altre discipline che circolano…) tradizionalmente designati accoppiando al termine pedagogia un aggettivo o un genitivo: aggettivi e genitivi che finiscono, facendo proliferare le più svariate “pedagogie”, con lo snaturare la connotazione scientifica della disciplina.

Questa rete ha due snodi fondamentali: il primo è la didattica (che studia le modalità della ricerca educativa nella scuola), il secondo la storiografia della scienza dell’educazione (che ne studia i problemi e le prospettive attraverso l’indagine sulle radici e sull’evoluzione). Dopo avere illustrato le caratteristiche peculiari dell’educazione (citiamo fra le principali il carattere dinamico del processo, la sua integralità, la sua simultaneità), Genovesi ripropone i connotati della sua scuola ideale. A cominciare dall’autonomia e dalla laicità, e poi fra gli altri l’intenzionalità (cioè alla larga dall’improvvisazione), la primarietà del codice alfabetico, la funzione universalistica, la verificabilità, la centralità del docente.

Genovesi è fra gli studiosi che nel novembre di un anno fa parteciparono a Cassino al convegno indetto dal Cirse (Centro italiano di ricerca storico-educativa) sul tema “La storiografia dell’educazione: identità, metodi e modelli”. Le relazioni di quel convegno sono raccolte in un volume appena pubblicato dall’editore Franco Angeli nella collana Cultura scienza e società: La storiografia dell’educazione - Metodi, fonti, modelli e contenuti, a cura di Luciana Bellatalla e Paolo Russo. Questi contributi confermano l’immagine di una pedagogia ormai definitivamente riscattata, attraverso l’acquisizione di caratteri scientifici, dall’antica soggezione ancillare, di cui la storiografia, da affidarsi a storici che siano anche pedagogisti, contribuisce  a chiarire non soltanto la genesi e l’evoluzione, ma anche le problematiche disciplinari.

Nel volume si analizzano per cominciare i metodi e le fonti, da quelle parlamentari (Giovanni Gonzi) a quelle mediche (Angela Magnanini), dalla dimensione visiva (Piergiovanni Genovesi) alle metodologie della ricerca on-line (Angelo Luppi), fino alle fonti orali (Mario Grecchele). Si passa poi a considerare i modelli, da quelli esaminati nell’ottica storica (Franco Cambi, Tiziana Pironi, Hervé A. Cavallera) o attraverso il confronto internazionale (Alessandro Mariani), alla divulgazione scientifica (Elena Marescotti), ai rapporti con la psicoanalisi (Furio Pesci). La terza parte del volume è dedicata ai contenuti di ricerca: l’educazione nell’età classica (Rosella Frasca), la filologia e la fiaba (Ilaria Filograsso), la proposta pedagogica di Gaetano Filangieri (Ernesto Bosna), Herbart nella storiografia (Ignazio Volpicelli), la donna nella storia educativa (Carmela Covato), la storia dell’educazione degli adulti (Paolo Russo).

                                                 a.v.  

 

 

 
 

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