FOGLIO LAPIS - DICEMBRE - 2003

 
 

L’iniziativa della Commissione europea, che ha dedicato il 2003 alle persone disabili, ha il merito di far riflettere su un problema che investe particolarmente l’organizzazione scolastica – Il nodo dei docenti di sostegno, indispensabile supporto per una buona fruizione della scuola da parte di chi deve superare uno svantaggio che può essere fisico ma anche psichico – Alla classificazione degli handicap ne andrebbe aggiunto uno di speciale attualità: quello che riguarda gli alunni stranieri  

 

Tutti a bordo! È davvero indovinato, lo slogan della campagna che la Commissione di Bruxelles ha lanciato proclamando il 2003 anno europeo delle persone disabili. Tutti a bordo, perché non può essere certo la presenza di uno svantaggio personale, di qualunque natura esso sia, a limitare il diritto di ognuno di noi a una partecipazione la più completa possibile a tutti gli aspetti della vita di relazione. Poiché lo svantaggio, l’handicap come lo si chiama prendendo in prestito una parola che a suo tempo designava un gioco (hand in cap, mano nel cappello, da dove si estraeva a sorte…), può anche essere irreversibile: ma le sue conseguenze su una soddisfacente fruizione dell’esistenza no, su quelle si può intervenire. Dunque si deve intervenire. Si è molto parlato delle barriere architettoniche, per esempio, che sono i meccanismi attraverso i quali la disabilità fisica passa per così dire dalla potenza all’atto, realizza cioè il suo contenuto implicito. Rimuovere le barriere significa eliminare l’atto, confinare l’handicap alla sua dimensione potenziale. Significa tutti a bordo, senza eccezioni.

Se c’è un’imbarcazione, per restare nella metafora scelta a simbolo dell’iniziativa europea, che davvero non può permettersi di lasciare qualcuno fuori bordo, questa è sicuramente la scuola: luogo per eccellenza in cui tutte le provenienze individuali dovrebbero confrontarsi alla pari, indipendentemente non solo dalle condizioni economiche e sociali ma anche dai problemi personali rappresentati dalla disabilità, o dalla diversa abilità, come anche si chiama. A questo proposito la questione cruciale in Italia è quella degli insegnanti di sostegno, che rappresentano l’indispensabile supporto per chi altrimenti si trova svantaggiato rispetto agli altri sia nell’apprendimento, sia nell’altrettanto necessario processo di socializzazione. La scarsità di questi docenti, legata all’insufficienza delle deroghe rispetto a un rapporto insegnanti/alunni notoriamente troppo basso, è uno dei temi della grande protesta in corso, per esempio della manifestazione del 29 novembre che ha visto centomila persone, studenti, insegnanti, genitori, personale non docente, sfilare nelle strade di Roma per iniziativa dei sindacati. La soluzione che si profila, declassificare gli handicap di tipo psicologico o legati alla provenienza sociale, ai quali verrebbero negati gli interventi di sostegno, non sembra certo tale da risolvere granché, a parte qualche buco di bilancio.

Soprattutto questo grossolano stratagemma, che pretende di risolvere il problema cancellandolo, e confinando arbitrariamente la disabilità al solo ambito fisico, non ci sembra affatto in linea con lo spirito che anima l’anno europeo della persona disabile. Non è lecito risparmiare risorse proprio sulla pelle di chi attende, da una società che voglia considerarsi civile, l’eliminazione di difficoltà derivate da un particolare deficit personale, che altrimenti impediscono al singolo di sviluppare appieno la sua personalità e il suo contributoAnno europeo del disabile alla vita della comunità. Un altro problema riguarda l’ambiente di accoglienza, non sempre adeguato allo spirito di solidarietà che dovrebbe animare la scuola. Troppo spesso ci tocca registrare le reazioni di rigetto di chi rifiuta l’inserimento in classe del disabile: nel timore che questo possa portare pregiudizio agli altri, ai normodotati, e al buon funzionamento didattico. Niente di più sbagliato, e proprio dal punto di vista didattico, per cominciare: poiché al contrario le presenze dei “diversamente abili” sono spesso fattori di stimolo, e di identificazione della classe in una frazione fedele della società.

Quando si parla di handicap, disabilità, disagio bisognerebbe includere in questa tematica, a nostro parere, una categoria con cui la scuola italiana sempre più massicciamente sta facendo i conti. È la categoria degli alunni stranieri, in costante aumento da vent’anni a questa parte a causa del sempre più consistente fenomeno immigratorio. I ragazzi stranieri sono ormai più di 270 mila e si avvicinano al tre per cento della popolazione scolastica. Secondo stime ministeriali potranno superare il mezzo milione entro il 2010 e i 700 mila nel 2017. Perché li consideriamo nel contesto della disabilità? Perché sono portatori di profondi disagi, che vanno dalla conoscenza spesso imperfetta e a volte approssimativa della lingua italiana fino all’emarginazione cui spesso si vedono costretti, quando la classe propone il riflesso speculare dei contrasti che in materia di immigrazione agitano la società italiana. Per queste ragioni quei ragazzi rischiano spesso di finire fuori bordo.

Eppure proprio la scuola è il luogo in cui, per appianare quei contrasti e affrontare la grande sfida interculturale che sarà tipica di questo secolo agli inizi, è possibile lavorare a fondo. Certo, non ci si può nascondere che quelle presenze implicano problemi di adeguamento e strategie specifiche. Per esempio andrebbe correttamente gestita la distribuzione degli alunni stranieri nei vari istituti e nelle varie sezioni, in modo da evitare per quanto possibile concentrazioni eccessive. Ma come spesso capita il problema è anche risorsa, e la risorsa va impiegata a vantaggio di tutti. Sappiamo che in molte scuole già lo si fa, grazie a genitori tolleranti e insegnanti illuminati che hanno scoperto, accanto alle necessità particolari, soprattutto linguistiche, di quei ragazzi, la grande ricchezza che possono portare in classe. Anche loro sono “diversamente abili”, perché in cambio dell’attenzione che meritano sono in grado di offrire le testimonianze del loro mondo, della loro cultura, e perché no, della loro religione. Insomma grazie a loro la scuola italiana può rigenerare l’atmosfera asfittica che tradizionalmente la soffoca, aprendo le sue finestre sul vasto mondo.

 

                                                  Alfredo Venturi  

 

 

 
 

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