Una
verità emersa per caso dal caos: anche le parole, come i
concetti, hanno bisogno del loro opposto per funzionare
– La riva del mare, che magnifico strumento: per
suonarlo, basta percorrerlo a piedi – E poi gli si
possono affiancare altre note: per esempio quelle di una
banda di flauti, fischietti, trombette nei quali sprecare
utilmente il fiato – Un banchetto d’addio sulla
spiaggia dove per poco, per la differenza di una sola
lettera, non è finito arrosto l’artista!
Dice
Jeffrey:
“Dio è molto religioso”. Dico io: “Sì. Dio
è molto religioso. Ma ha poco senso critico, perché,
ogni cosa che fa, dice che la fa buona”.
Così
inizia l’ora di ricreazione fra me, Nibbizai Filipparla,
e Jeffrey, un ragazzino ebreo americano di San Francisco
in California. Velo presento ma ve lo velo, come è giusto
in ogni rivelazione.
Ecco
Jeffrey ritratto durante la sua prima ricreazione,
bell’e pronto per congegnare la Fantastica:
Era
estate; finite le scuole, suggerisco a Nancy, la mamma di
Jeffrey, di appoggiare il ragazzo al campo solare di
Scarlino presso Follonica. E lì vado a congegnare con lui
e altri ragazzini la Fantastica.
La
prima volta, tanto per iniziare, si generò subito fra me
e i ragazzini, che correvano, scappavano, e non si
ritrovavano, un grande caos. Io li chiamavo e loro si
riperdevano. Disse la maestra: “È fiato sprecato!”.
Ebbi un’idea geniale, scrissi ”caos” sulla spiaggia,
proprio vicino al mare, e feci anagrammare la parola a uno
di loro, che scrisse “caso”, esattamente, proprio in
quel caso. Fu un caso fortunato. I ragazzini mangiavano e
ridevano… Alla fine si disposero tutti in cerchio,
saltando gioiosamente intorno a una parola. In realtà, le
parole erano due: “caos” e “caso”. “In realtà,
non basta un polo elettrico a suscitare una scintilla, ce
ne vogliono due”, direbbe Gianni Rodari: “La parola
singola agisce solo quando ne incontra una seconda che la
provoca, la costringe a uscire dai binari
dell’abitudine, a scoprirsi nuove capacità di
significare. Non c’è vita, dove non c’è lotta”.
Dissi:
“Non c’è vita dove non c’è caos… Non è un
caso!”. La maestra mi seguiva sbalordita. Io la presi,
l’abbracciai, la baciai, le dissi: “La coppia, il
paio, sono anteriori all’elemento isolato”.
Il
giorno dopo, io e la maestra portavamo insieme i ragazzini
a Cala Violina, che si chiama così perché lì la sabbia
del mare è cristallina e, camminandoci sopra, è come
suonare una violina coi diti dei piedi. Diventammo
musicisti facilmente. Camminavamo e Cala Violina emetteva
il suono provocato dai nostri piedi che lasciavano le
impronte sulla sabbia… Eravamo nel Paradiso Terrestre?
Spirò un vento leggero intorno a noi. Quel Vento Leggero
era la presenza di Dio incamminato con noi? Lo feci notare
ai ragazzi. Ci ricordammo del caos del giorno avanti,
della paura della maestra… Pareva, il giorno prima, che
tra me e lei, ci fosse stata una grande opposizione. “Sì”,
dissi alla maestra e ai ragazzini: “In principio era
l’opposizione”. Dissi: “È dello stesso parere anche
Paul Klee quando scrive, nella sua Teoria della forma e
della figurazione, che un concetto è impossibile
senza il suo opposto. Non esistono concetti a sé stanti,
ma di regola binomi di concetti, un concetto in
opposizione con l’altro”…
-
“Chi sono io?”, chiesi alla maestra.
-
-
“Un artista”, rispose la maestra. E i
ragazzini ridevano, ripensando che l’avevo baciata.
E tra sera e mattina si compì un giorno.
Il
giorno dopo, mi presentai al campo solare con una gruccia
di legno a forma di “t” dove avevo scritto
“arista”.
-
“Cosa c’è scritto?”, chiesi ai
ragazzini.
-
“Arista”, risposero loro.
-
“Artista”, rispose la maestra…
-
“Arista o artista?”, insistevo: “Chi
sono?”
-
“Arista!” gridavano i ragazzini.
-
“Artista!” insisteva la maestra.
-
“… È a forma di t!” esclamò un
ragazzino indicando la gruccia di legno.
-
“Allora?…” dissi io.
-
“È un artista buono come l’arista!”
disse la maestra.
E
i ragazzi ridevano ridevano ridevano…
“Che banda!” disse un uomo che passava in quel
momento.
Ci
dette l’idea di formare la “Banda dei fiati
sprecati”.
“… Devono essere tutti strumenti a fiato,
naturalmente…” disse la maestra ai ragazzini che le
chiedevano come si facevano a fare “i fiati sprecati”.
Formando
una banda di flauti traversi di canna, fischietti,
trombette di latta, si tornò tutti i giorni a Cala
Violina.
L’ultimo
giorno di campo solare, andammo alla Cala portandoci
dietro un bellissimo pezzo d’arista di maiale che la
maestra aveva acquistato a Follonica. Accendemmo un fuoco
e la cucinammo. Era molto buona. Facemmo comunione con
quella.
Nancy,
che era venuta a riprendere senza sgridarlo mai Jeffrey,
si unì a noi. Vide che ci volevamo bene.
“… Per il mio Jeffrey siete stati la manna!”,
esclamò: “Parola di mamma”.
Filippo Nibbi
|