FOGLIO LAPIS - DICEMBRE 2002

 
 

Una verità emersa per caso dal caos: anche le parole, come i concetti, hanno bisogno del loro opposto per funzionare – La riva del mare, che magnifico strumento: per suonarlo, basta percorrerlo a piedi – E poi gli si possono affiancare altre note: per esempio quelle di una banda di flauti, fischietti, trombette nei quali sprecare utilmente il fiato – Un banchetto d’addio sulla spiaggia dove per poco, per la differenza di una sola lettera, non è finito arrosto l’artista!

 

Dice Jeffrey:

     “Dio è molto religioso”. Dico io: “Sì. Dio è molto religioso. Ma ha poco senso critico, perché, ogni cosa che fa, dice che la fa buona”.

Così inizia l’ora di ricreazione fra me, Nibbizai Filipparla, e Jeffrey, un ragazzino ebreo americano di San Francisco in California. Velo presento ma ve lo velo, come è giusto in ogni rivelazione.

Ecco Jeffrey ritratto durante la sua prima ricreazione, bell’e pronto per congegnare la Fantastica:

 

 

Era estate; finite le scuole, suggerisco a Nancy, la mamma di Jeffrey, di appoggiare il ragazzo al campo solare di Scarlino presso Follonica. E lì vado a congegnare con lui e altri ragazzini la Fantastica.

La prima volta, tanto per iniziare, si generò subito fra me e i ragazzini, che correvano, scappavano, e non si ritrovavano, un grande caos. Io li chiamavo e loro si riperdevano. Disse la maestra: “È fiato sprecato!”. Ebbi un’idea geniale, scrissi ”caos” sulla spiaggia, proprio vicino al mare, e feci anagrammare la parola a uno di loro, che scrisse “caso”, esattamente, proprio in quel caso. Fu un caso fortunato. I ragazzini mangiavano e ridevano… Alla fine si disposero tutti in cerchio, saltando gioiosamente intorno a una parola. In realtà, le parole erano due: “caos” e “caso”. “In realtà, non basta un polo elettrico a suscitare una scintilla, ce ne vogliono due”, direbbe Gianni Rodari: “La parola singola agisce solo quando ne incontra una seconda che la provoca, la costringe a uscire dai binari dell’abitudine, a scoprirsi nuove capacità di significare. Non c’è vita, dove non c’è lotta”.

Dissi: “Non c’è vita dove non c’è caos… Non è un caso!”. La maestra mi seguiva sbalordita. Io la presi, l’abbracciai, la baciai, le dissi: “La coppia, il paio, sono anteriori all’elemento isolato”.

Il giorno dopo, io e la maestra portavamo insieme i ragazzini a Cala Violina, che si chiama così perché lì la sabbia del mare è cristallina e, camminandoci sopra, è come suonare una violina coi diti dei piedi. Diventammo musicisti facilmente. Camminavamo e Cala Violina emetteva il suono provocato dai nostri piedi che lasciavano le impronte sulla sabbia… Eravamo nel Paradiso Terrestre? Spirò un vento leggero intorno a noi. Quel Vento Leggero era la presenza di Dio incamminato con noi? Lo feci notare ai ragazzi. Ci ricordammo del caos del giorno avanti, della paura della maestra… Pareva, il giorno prima, che tra me e lei, ci fosse stata una grande opposizione. “Sì”, dissi alla maestra e ai ragazzini: “In principio era l’opposizione”. Dissi: “È dello stesso parere anche Paul Klee quando scrive, nella sua Teoria della forma e della figurazione, che un concetto è impossibile senza il suo opposto. Non esistono concetti a sé stanti, ma di regola binomi di concetti, un concetto in opposizione con l’altro”…

     “Chi sono io?”, chiesi alla maestra.
 
     “Un artista”, rispose la maestra. E i ragazzini ridevano, ripensando che l’avevo baciata. E tra sera e mattina si compì un giorno.

Il giorno dopo, mi presentai al campo solare con una gruccia di legno a forma di “t” dove avevo scritto “arista”.

     “Cosa c’è scritto?”, chiesi ai ragazzini.
      “Arista”, risposero loro.
      “Artista”, rispose la maestra…
      “Arista o artista?”, insistevo: “Chi sono?”
      “Arista!” gridavano i ragazzini.
      “Artista!” insisteva la maestra.
      “… È a forma di t!” esclamò un ragazzino indicando la gruccia di legno.
      “Allora?…” dissi io.
      “È un artista buono come l’arista!” disse la maestra.

E i ragazzi ridevano ridevano ridevano…

     “Che banda!” disse un uomo che passava in quel momento.

Ci dette l’idea di formare la “Banda dei fiati sprecati”.

      “… Devono essere tutti strumenti a fiato, naturalmente…” disse la maestra ai ragazzini che le chiedevano come si facevano a fare “i fiati sprecati”.

Formando una banda di flauti traversi di canna, fischietti, trombette di latta, si tornò tutti i giorni a Cala Violina.

L’ultimo giorno di campo solare, andammo alla Cala portandoci dietro un bellissimo pezzo d’arista di maiale che la maestra aveva acquistato a Follonica. Accendemmo un fuoco e la cucinammo. Era molto buona. Facemmo comunione con quella.

Nancy, che era venuta a riprendere senza sgridarlo mai Jeffrey, si unì a noi. Vide che ci volevamo bene.

      “… Per il mio Jeffrey siete stati la manna!”, esclamò: “Parola di mamma”.

 

                                Filippo Nibbi

 

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