A
Campogialli, fra le colline del Valdarno aretino, un
presepe costruito con bottiglie e cocci di bottiglie –
Lo si deve a Nelio Barchi, un artista recentemente
scomparso che ha individuato nel vetro un materiale di
alto valore espressivo – Barchi è anche l’autore di Le
avventure di Vetrocchio: la storia di un burattino di
vetro (il suo Geppetto è un oste del Chianti) che si
affianca al secolare Pinocchio
Sulle prime fa
pensare a Montale e ai suoi cocci aguzzi di bottiglia. Poi
l’eleganza e il valore originale della composizione si
impongono di per sé: ecco una Natività ricostruita per il
tramite di un materiale, il vetro, che si rivela capace di
una resa insospettabile. Per delineare i personaggi della
tradizione evangelica l’autore, Nelio Barchi, ha pescato
nelle cantine: bottiglie, fiaschi e damigiane, pezzi interi
e frammenti che ha trattato con tocchi di colore o di
bulino, e rivestito di paglia. L’effetto è di notevole
efficacia, di tenera suggestione. Questo presepe ha
viaggiato, è stato ammirato, ha ottenuto riconoscimenti e
plausi, ha guadagnato al suo creatore onori e medaglie. Ha
avuto anche il privilegio di una udienza pontificia. Ora è
e resterà visibile a Campogialli, un pugno di case fra le
colline del Valdarno aretino dove Barchi si era ritirato e
dove è vissuto fino a poche settimane fa, quando un morbo
crudele se l’è portato via.
Persona
di straordinaria umanità e disarmante semplicità, Barchi
non era uno di quegli artisti che si chiudono nella propria
singolarità rifugiandosi nella torre d’avorio, isolandosi
dal mondo e dai suoi problemi. Al contrario, si sentiva
personalmente coinvolto e dove il tessuto consunto della
convivenza e della tolleranza mostrava la corda voleva
esserci, si sentiva obbligato a offrire il contributo di un
pensiero positivo e mai rassegnato, di un ottimismo candido
e tenace. Così lo si è visto per esempio pedalare di gran
lena verso Assisi, a settant’anni suonati, perché Assisi
è città consacrata alla pace. Trainava su una specie di
carretto uno dei suoi magici vetri, una Crocifissione alta
due metri, e un grande cartello che illustrava il senso
della sua visione del mondo: Con le bottiglie non si
fanno solo molotov.
L’artista
di Campogialli (ma fiorentino di nascita, di cultura, di
carattere e di professione: sapeva dosare i colori e le
forme ma anche i sapori ed è stato a lungo il cuoco della
squadra di calcio della sua città) non ci lasciato soltanto
i dipinti, i disegni, la folla incantata delle sue creature
di vetro. Ci ha lasciato anche un libro, Le avventure di
Vetrocchio, pubblicato una ventina di anni fa (Edizioni
It-Comm, Firenze). In un mondo editoriale e giornalistico
superficiale e distratto come il nostro un libro come questo
doveva necessariamente passare inosservato, o quasi: e così
puntualmente è stato. Ma la fatica letteraria di Barchi
meritava e merita ben altro.
Vetrocchio
è un burattino di vetro che sgorga dalla fantasiosa
inventiva toscana cent’anni dopo il suo celeberrimo
fratello di legno. Viene al mondo proprio per festeggiare
quell’anniversario secolare. Nel materiale stanno il
destino e l’arcano delle origini: se il ligneo Pinocchio
fu opera di un falegname, il Geppetto di Vetrocchio è
invece un taverniere del Chianti che dalle sue parti
chiamano Oste beone, uno che “beve per mandare giù
bocconi amari” e che disegna, dipinge, lavora il vetro,
costruisce presepi... “Io son come lui, mi piace bere e
son nato già col naso rosso. Se dico le bugie non mi si
allunga, ma cambia di colore”.
La
creatura dell’oste dunque, con il suo corpo fatto di
fiaschetti, fiale e bottiglie che suonano quando li
attraversa il vento, e le articolazioni naturalmente di
sughero, contrappone la sua disordinata voglia di vivere e
la sua sete di avventure a un Pinocchio che l’esperienza
centenaria ha reso assennato e prudente. Fra l’altro
“non sapeva più dire le bugie, cent’anni sono tanti e
qualcosa aveva imparato”. Fatto sta che il burattino di
vetro convince il fratello di legno a volare con una
mongolfiera, che l’oste aveva allestito per una festa di
bambini.
Quel
volo è l’inizio di una fantastica avventura, un percorso
esistenziale che a Pinocchio fa ripercorrere le dure lezioni
della sua vicenda, mentre per Vetrocchio rappresenta il
viaggio di formazione, l’iniziazione alle responsabilità,
la scoperta del suo ruolo nel mondo. Sospesi fra allegria e
tristezza, fra entusiasmo e paura, i due burattini
incontrano i pericoli della vita, conoscono l’avidità e
il disinteresse, la simpatia e la perfidia, la generosità e
il tradimento. La fuga in mongolfiera li ha resi famosi, e
così vengono rapiti a scopo di estorsione e finiscono in
gattabuia: “peggio della pancia della balena”, ricorda
Pinocchio.
Intanto
Oste beone attende il loro ritorno, si macera, vende i suoi
quadri per pagare il riscatto, per riavere l’adorata sua
creatura. Ma quale beone: l’angoscia è tale da farlo
rinunciare al vino. Momentaneamente, si capisce: siamo o non
siamo in Chianti? Finisce con la beffa ai carcerieri, un
trionfale ritorno e una regale festa della vendemmia, dopo
che lo storico burattino di legno ha accompagnato a scuola
il fratellino di vetro, appesantito da quella gran borsa
gonfia di libri, quaderni, colori e matite. “Al mio primo
giorno di scuola” ricorda Pinocchio “avevo soltanto
l’abbecedario”. Vetrocchio gli è amico, e così non gli
chiede che fine abbia fatto quel libro… Addio, Nelio
Barchi. E grazie.
r.f.l.
|