FOGLIO LAPIS - DICEMBRE - 2001

 
 

A Campogialli, fra le colline del Valdarno aretino, un presepe costruito con bottiglie e cocci di bottiglie – Lo si deve a Nelio Barchi, un artista recentemente scomparso che ha individuato nel vetro un materiale di alto valore espressivo – Barchi è anche l’autore di Le avventure di Vetrocchio: la storia di un burattino di vetro (il suo Geppetto è un oste del Chianti) che si affianca al secolare Pinocchio

 

Sulle prime fa pensare a Montale e ai suoi cocci aguzzi di bottiglia. Poi l’eleganza e il valore originale della composizione si impongono di per sé: ecco una Natività ricostruita per il tramite di un materiale, il vetro, che si rivela capace di una resa insospettabile. Per delineare i personaggi della tradizione evangelica l’autore, Nelio Barchi, ha pescato nelle cantine: bottiglie, fiaschi e damigiane, pezzi interi e frammenti che ha trattato con tocchi di colore o di bulino, e rivestito di paglia. L’effetto è di notevole efficacia, di tenera suggestione. Questo presepe ha viaggiato, è stato ammirato, ha ottenuto riconoscimenti e plausi, ha guadagnato al suo creatore onori e medaglie. Ha avuto anche il privilegio di una udienza pontificia. Ora è e resterà visibile a Campogialli, un pugno di case fra le colline del Valdarno aretino dove Barchi si era ritirato e dove è vissuto fino a poche settimane fa, quando un morbo crudele se l’è portato via.

Persona di straordinaria umanità e disarmante semplicità, Barchi non era uno di quegli artisti che si chiudono nella propria singolarità rifugiandosi nella torre d’avorio, isolandosi dal mondo e dai suoi problemi. Al contrario, si sentiva personalmente coinvolto e dove il tessuto consunto della convivenza e della tolleranza mostrava la corda voleva esserci, si sentiva obbligato a offrire il contributo di un pensiero positivo e mai rassegnato, di un ottimismo candido e tenace. Così lo si è visto per esempio pedalare di gran lena verso Assisi, a settant’anni suonati, perché Assisi è città consacrata alla pace. Trainava su una specie di carretto uno dei suoi magici vetri, una Crocifissione alta due metri, e un grande cartello che illustrava il senso della sua visione del mondo: Con le bottiglie non si fanno solo molotov.

L’artista di Campogialli (ma fiorentino di nascita, di cultura, di carattere e di professione: sapeva dosare i colori e le forme ma anche i sapori ed è stato a lungo il cuoco della squadra di calcio della sua città) non ci lasciato soltanto i dipinti, i disegni, la folla incantata delle sue creature di vetro. Ci ha lasciato anche un libro, Le avventure di Vetrocchio, pubblicato una ventina di anni fa (Edizioni It-Comm, Firenze). In un mondo editoriale e giornalistico superficiale e distratto come il nostro un libro come questo doveva necessariamente passare inosservato, o quasi: e così puntualmente è stato. Ma la fatica letteraria di Barchi meritava e merita ben altro.

Vetrocchio è un burattino di vetro che sgorga dalla fantasiosa inventiva toscana cent’anni dopo il suo celeberrimo fratello di legno. Viene al mondo proprio per festeggiare quell’anniversario secolare. Nel materiale stanno il destino e l’arcano delle origini: se il ligneo Pinocchio fu opera di un falegname, il Geppetto di Vetrocchio è invece un taverniere del Chianti che dalle sue parti chiamano Oste beone, uno che “beve per mandare giù bocconi amari” e che disegna, dipinge, lavora il vetro, costruisce presepi... “Io son come lui, mi piace bere e son nato già col naso rosso. Se dico le bugie non mi si allunga, ma cambia di colore”.  

La creatura dell’oste dunque, con il suo corpo fatto di fiaschetti, fiale e bottiglie che suonano quando li attraversa il vento, e le articolazioni naturalmente di sughero, contrappone la sua disordinata voglia di vivere e la sua sete di avventure a un Pinocchio che l’esperienza centenaria ha reso assennato e prudente. Fra l’altro “non sapeva più dire le bugie, cent’anni sono tanti e qualcosa aveva imparato”. Fatto sta che il burattino di vetro convince il fratello di legno a volare con una mongolfiera, che l’oste aveva allestito per una festa di bambini.

Quel volo è l’inizio di una fantastica avventura, un percorso esistenziale che a Pinocchio fa ripercorrere le dure lezioni della sua vicenda, mentre per Vetrocchio rappresenta il viaggio di formazione, l’iniziazione alle responsabilità, la scoperta del suo ruolo nel mondo. Sospesi fra allegria e tristezza, fra entusiasmo e paura, i due burattini incontrano i pericoli della vita, conoscono l’avidità e il disinteresse, la simpatia e la perfidia, la generosità e il tradimento. La fuga in mongolfiera li ha resi famosi, e così vengono rapiti a scopo di estorsione e finiscono in gattabuia: “peggio della pancia della balena”, ricorda Pinocchio.

Intanto Oste beone attende il loro ritorno, si macera, vende i suoi quadri per pagare il riscatto, per riavere l’adorata sua creatura. Ma quale beone: l’angoscia è tale da farlo rinunciare al vino. Momentaneamente, si capisce: siamo o non siamo in Chianti? Finisce con la beffa ai carcerieri, un trionfale ritorno e una regale festa della vendemmia, dopo che lo storico burattino di legno ha accompagnato a scuola il fratellino di vetro, appesantito da quella gran borsa gonfia di libri, quaderni, colori e matite. “Al mio primo giorno di scuola” ricorda Pinocchio “avevo soltanto l’abbecedario”. Vetrocchio gli è amico, e così non gli chiede che fine abbia fatto quel libro… Addio, Nelio Barchi. E grazie.

                                                                                                                            r.f.l.

 

                                                                                             

 

 

 

                                                                                        

 

 
 

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