Due
atroci episodi, una fabbrica tessile del Bangladesh distrutta
da un incendio e un attentato in Israele, ripropongono
il tema dell'uso strumentale dell'infanzia - Infatti nello
stabilimento bengalese lavoravano soprattutto bambini,
e l'azione di guerriglia in Medio Oriente ha preso di
mira uno scuolabus - Storie di mondi diversi, anche riguardo
la condizione infantile, eppure apparentati dallo stesso
disprezzo per i diritti dei bambini
Prima
le immagini sconvolgenti da Israele: con un terrificante
salto di qualità il terrorismo islamico prende di mira uno
scuolabus. L'esplosione lacerante della bomba inchioda il
mezzo ben distante dalla scuola che doveva raggiungere:
fra il fumo e le fiamme gemiti e urla di bambini feriti.
Due i morti, entrambi adulti, e tanti piccoli irreparabilmente
segnati dall'attentato. Una foto ci mostra una madre che
bacia la sua bambina distesa sulla lettiga, la piccola sorride
e forse non sa che ha perduto un piede.
Un
reportage dalla regione, sconvolta da mesi di manifestazioni
violente cui fa riscontro un'altrettanto violenta risposta
militare, ci rivela che molti bambini, quando ogni mattina
salgono sui mezzi diretti alle scuole, sono ben consapevoli
del pericolo. Per non pensarci durante il tragitto si tuffano
nei videogiochi, e infatti ci sono anche frammenti di videogiochi,
fra i rottami fumanti dello scuolabus assaltato.
Pochi
giorni più tardi, l'orrore viene dal Bangladesh. Questa
volta sono poche le immagini, abbondano soltanto parole.
Quel remoto e poverissimo paese asiatico non interessa più
di tanto alla stampa internazionale, certo meno della fiammeggiante
Palestina dove i fotoreporter sono in agguato ogni giorno.
In una cittadina bengalese di nome Shibpur, dunque, una
località sperduta nella parte orientale del paese, una fabbrica
tessile è andata a fuoco nella notte.
Questa
volta non c'è l'intento omicida del terrorismo, l'incendio
è accidentale, lo ha innescato la scintilla di un corto
circuito. Ma in quello stabilimento lavorano centinaia di
bambini, e quando sono divampate le fiamme proprio i bambini
erano la maggioranza fra i novecento lavoratori del turno
di notte. La maggioranza, purtroppo, anche fra i cinquanta
morti che poche ore più tardi sono stati allineati all'esterno
della fabbrica, meta del disperato pellegrinaggio di madri
alla ricerca dei propri figli. I dettagli sono intollerabili:
non tutti quei poveri resti sono carbonizzati, infatti alcuni
ragazzi sono sfuggiti alle fiamme. Ma lo hanno fatto buttandosi
nel vuoto dal quarto piano, e sfracellandosi al suolo.
La strage di Shibpur
ha almeno il merito di sollevare il velo sulla vergogna
del lavoro minorile. Veniamo così a sapere cose già note:
nel Bangladesh ci sono duemila stabilimenti tessili che
impegnano un milione e mezzo di lavoratori, in buona parte
bambini. Generalmente lavorano, si noti, su commissione
delle grandi industrie occidentali dell'abbigliamento. Questa
vergogna asiatica non è che parte locale di un fenomeno
che riguarda il mondo intero e coinvolge 250 milioni di
bambini. Il mondo intero, Europa compresa. E' recente l'indagine
della Cgil dalla quale risulta che in Italia, in piena patria
del diritto, ci sono 400 mila bambini lavoratori.
Confrontato
con l'episodio dello scuolabus israeliano, quello dell'incendio
bengalese appartiene a un mondo completamente diverso. Quei
bambini che nel paese asiatico vengono impiegati in fabbrica,
nello stato ebraico affollano invece le scuole. E non a
caso è stato proprio sulla via della scuola che sono stati
colpiti. L'essere lontani dalla pietosa condizione del lavoro
al posto dell'istruzione, l'essere, rispetto ai loro coetanei
bengalesi, dei privilegiati, non gli ha garantito l'immunità.
Il disegno che sta dietro questa azione è di una orripilante
chiarezza. Pareva che il processo di pace fra Israele e
l'Autorità palestinese, nonostante la durissima prova degli
scontri che hanno già fatto oltre duecento morti, stesse
per ripartire. I tenaci sostenitori della necessità, della
fatalità di un'intesa non si sono mai dati per vinti, e
i loro sforzi parevano a un passo dal fermare la violenza,
dal ritorno del dialogo.
Una prospettiva che
riempie di speranza molti cuori, ma che certamente non piace
a tutti. Infatti l'estremismo islamico, non dissimile in
questo dall'estremismo israeliano, di accordi di pace non
vuole nemmeno sentir parlare. Sembra paradossale, ma accanto
ai molti che temono la guerra ci sono anche i non pochi
che temono la pace. Secondo costoro quel conflitto che è
insieme di israeliani contro palestinesi, di ebrei contro
arabi e di israeliti contro musulmani, che è insomma un
triplice scontro di stati, di culture, di religioni, deve
continuare. E quale miglior modo di garantirne la continuazione
che una strage di innocenti, capace di rinfocolare l'odio,
tenere vivo l'impulso della vendetta, alimentare la spirale
delle rappresaglie? Una bomba sullo scuolabus, ecco la geniale
trovata.
r.f.l.
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