FOGLIO LAPIS - DICEMBRE 2000

 

 

Due atroci episodi, una fabbrica tessile del Bangladesh distrutta da un incendio e un attentato in Israele, ripropongono il tema dell'uso strumentale dell'infanzia - Infatti nello stabilimento bengalese lavoravano soprattutto bambini, e l'azione di guerriglia in Medio Oriente ha preso di mira uno scuolabus - Storie di mondi diversi, anche riguardo la condizione infantile, eppure apparentati dallo stesso disprezzo per i diritti dei bambini

 

Prima le immagini sconvolgenti da Israele: con un terrificante salto di qualità il terrorismo islamico prende di mira uno scuolabus. L'esplosione lacerante della bomba inchioda il mezzo ben distante dalla scuola che doveva raggiungere: fra il fumo e le fiamme gemiti e urla di bambini feriti. Due i morti, entrambi adulti, e tanti piccoli irreparabilmente segnati dall'attentato. Una foto ci mostra una madre che bacia la sua bambina distesa sulla lettiga, la piccola sorride e forse non sa che ha perduto un piede.

Un reportage dalla regione, sconvolta da mesi di manifestazioni violente cui fa riscontro un'altrettanto violenta risposta militare, ci rivela che molti bambini, quando ogni mattina salgono sui mezzi diretti alle scuole, sono ben consapevoli del pericolo. Per non pensarci durante il tragitto si tuffano nei videogiochi, e infatti ci sono anche frammenti di videogiochi, fra i rottami fumanti dello scuolabus assaltato.

Pochi giorni più tardi, l'orrore viene dal Bangladesh. Questa volta sono poche le immagini, abbondano soltanto parole. Quel remoto e poverissimo paese asiatico non interessa più di tanto alla stampa internazionale, certo meno della fiammeggiante Palestina dove i fotoreporter sono in agguato ogni giorno. In una cittadina bengalese di nome Shibpur, dunque, una località sperduta nella parte orientale del paese, una fabbrica tessile è andata a fuoco nella notte.

Questa volta non c'è l'intento omicida del terrorismo, l'incendio è accidentale, lo ha innescato la scintilla di un corto circuito. Ma in quello stabilimento lavorano centinaia di bambini, e quando sono divampate le fiamme proprio i bambini erano la maggioranza fra i novecento lavoratori del turno di notte. La maggioranza, purtroppo, anche fra i cinquanta morti che poche ore più tardi sono stati allineati all'esterno della fabbrica, meta del disperato pellegrinaggio di madri alla ricerca dei propri figli. I dettagli sono intollerabili: non tutti quei poveri resti sono carbonizzati, infatti alcuni ragazzi sono sfuggiti alle fiamme. Ma lo hanno fatto buttandosi nel vuoto dal quarto piano, e sfracellandosi al suolo.

La strage di Shibpur ha almeno il merito di sollevare il velo sulla vergogna del lavoro minorile. Veniamo così a sapere cose già note: nel Bangladesh ci sono duemila stabilimenti tessili che impegnano un milione e mezzo di lavoratori, in buona parte bambini. Generalmente lavorano, si noti, su commissione delle grandi industrie occidentali dell'abbigliamento. Questa vergogna asiatica non è che parte locale di un fenomeno che riguarda il mondo intero e coinvolge 250 milioni di bambini. Il mondo intero, Europa compresa. E' recente l'indagine della Cgil dalla quale risulta che in Italia, in piena patria del diritto, ci sono 400 mila bambini lavoratori.

Confrontato con l'episodio dello scuolabus israeliano, quello dell'incendio bengalese appartiene a un mondo completamente diverso. Quei bambini che nel paese asiatico vengono impiegati in fabbrica, nello stato ebraico affollano invece le scuole. E non a caso è stato proprio sulla via della scuola che sono stati colpiti. L'essere lontani dalla pietosa condizione del lavoro al posto dell'istruzione, l'essere, rispetto ai loro coetanei bengalesi, dei privilegiati, non gli ha garantito l'immunità. Il disegno che sta dietro questa azione è di una orripilante chiarezza. Pareva che il processo di pace fra Israele e l'Autorità palestinese, nonostante la durissima prova degli scontri che hanno già fatto oltre duecento morti, stesse per ripartire. I tenaci sostenitori della necessità, della fatalità di un'intesa non si sono mai dati per vinti, e i loro sforzi parevano a un passo dal fermare la violenza, dal ritorno del dialogo.

Una prospettiva che riempie di speranza molti cuori, ma che certamente non piace a tutti. Infatti l'estremismo islamico, non dissimile in questo dall'estremismo israeliano, di accordi di pace non vuole nemmeno sentir parlare. Sembra paradossale, ma accanto ai molti che temono la guerra ci sono anche i non pochi che temono la pace. Secondo costoro quel conflitto che è insieme di israeliani contro palestinesi, di ebrei contro arabi e di israeliti contro musulmani, che è insomma un triplice scontro di stati, di culture, di religioni, deve continuare. E quale miglior modo di garantirne la continuazione che una strage di innocenti, capace di rinfocolare l'odio, tenere vivo l'impulso della vendetta, alimentare la spirale delle rappresaglie? Una bomba sullo scuolabus, ecco la geniale trovata.

 

r.f.l.

 

 

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