Ci
sono troppi ragazzi sulla soglia dell'alienazione, drammaticamente
tentati dalla facile scorciatoia della droga - Un problema
enorme, ma forse potrebbe contribuire ad affrontarlo una
scuola che non sia una prigione, che sia coinvolgente,
che sappia non solo istruire ma anche addestrare e perché
no divertire - Una scuola che combatta la passività e
si apra sul mondo
Ieri
ho visto due ragazzini, non più che quindicenni, "bucarsi"
proprio davanti ai miei occhi, alle ore 16 in pieno centro,
ed ho sofferto per la mia oggettiva momentanea impotenza
di fronte all'autodistruzione dei due adolescenti. Più
tardi ho letto di Eddy, il tredicenne della provincia di
Padova suicida a causa di un insuccesso scolastico. Solo
educando si possono veramente cambiare le cose.
In questi
anni di ricerche sulle lacune della scuola di base ho molto
appreso ascoltando soprattutto i diretti interessati, cioè
i ragazzi. Ecco perché nel momento in cui gli esperti stanno
elaborando l'attesa riforma scolastica, quella del secolo,
vorrei che tutti i cittadini si sentissero direttamente
responsabili di ogni giovane che si perde. Vorrei anche
che qualcuno degli addetti ai lavori prendesse atto di una
duplice necessità: che la riforma sia come la vorrebbero
i nostri giovani, che essa sia anche un'operazione antisuicidio,
antidroga, antialienazione, per una scuola "da sballo".
I
ragazzi, non tutti è chiaro, a scuola in genere si annoiano
mortalmente e non serve a nulla, spesso neanche all'acquisizione
dei cosiddetti "saperi essenziali", tenerli forzatamente
seduti per cinque o sei ore di fila. E' cambiata la realtà
italiana ed anche il più derelitto dei nostri bambini, a
parte la piaga fortunatamente marginale del lavoro minorile,
non deve zappare quando torna a casa, e raramente può sfogarsi
all'aria aperta, ma passa invece molte ore davanti al televisore
in una condizione di totale passività. E' stato constatato
che quanto più la famiglia è in condizioni disagiate, tanto
meno il bambino fa attività. Costretti tra le mura domestiche
o dell'istituzione scolastica, lontani il più possibile
dalla strada per paura che possano deviarsi, ai bambini,
universi in nuce di potenzialità creative, non resta per
combattere questa prigione di immobilismo forzato che la
disperazione e il rifugio nel sogno.
Stiamo
formando una generazione con troppi disperati e loro, poveri
cuccioli, si ribellano alla nostra logica nell'unica trasgressione
alla loro portata e cioè nella ricerca a tutti i costi di
quello che chiamano "sballo", per scappare il più lontano
possibile da noi e rifugiarsi in un loro mondo di sicuro
meno violento e cinico del nostro. Un mondo infatti che
ha bisogno di istituire la "Carta dei diritti del fanciullo"
per tutelarli dalle perversioni dei grandi, la dice tutta
su che tipo di vita vivono i nostri bambini. In questi anni
ho sognato l'unione sinergica di tutti i settori della società
intorno ad un problema, quello dell'evasione dalla scuola
dell'obbligo, fatto anche di tanti bambini che a scuola
ci vanno ma come automi forzatamente e appena possono "sballano",
come possono, da una educazione che non riesce minimamente
a coinvolgerli. Perché il primo sacrosanto diritto dei ragazzi
è quello di lasciare sbocciare la potenzialità creativa
individuale, la base cioè di una morale fondata sull'economia
delle future singole attitudini lavorative. L'autostima,
quella che mette in grado di accettare la realtà senza volerne
fuggire, non può prescindere da ciò che il ragazzo sente
di saper fare empiricamente nel mondo che lo circonda, se
possibile divertendosi anche.
Vorrei
la realizzazione di un'educazione generale che punti essenzialmente
su questo aspetto pratico e che individui nella passività
l'unico vero nemico da combattere. Un'educazione di base
che preveda fra i saperi essenziali la capacità di compilare
un vaglia o scrivere una lettera per cercare lavoro, tutto
ciò che metta in grado il ragazzo di vivere da cittadino
integrato nella sua società.
La
mia ideale scuola "da sballo" prevede dunque che molta parte
dell'attuale tempo didattico formativo sia occupato dai
bambini in appositi spazi entro e fuori l'istituto dedicati
alla falegnameria, alla cucina, ai computer, alla musica,
insomma che l'istituto diventi un grande laboratorio. Soprattutto
auspico che sia lo studente stesso a decidere giorno per
giorno come passare il suo tempo scolastico. I ragazzi,
se responsabilizzati, sono serissimi nel mantenere gli impegni
che prevedono anche lo studio vero e proprio cioè il lavoro
intellettuale. Nel programma della scuola, almeno cinque
ore a settimana dovrebbero essere dedicate allo sport. Gli
ultimi anni della scuola dell'obbligo, poi, dovrebbero prevedere
che quella parte delle ore formative, trascorse gli anni
precedenti negli spazi attrezzati dell'istituto, sia utilizzata
dai ragazzi in stages presso banche, botteghe artigiane,
fabbriche, laboratori scientifici e dovunque essi desiderino
misurarsi con le loro capacità e i loro interessi in vista
di un futuro lavorativo o di studi.
La
moralità, ripeto, non può prescindere dall'autostima, dal
mettersi cioè in grado di provvedere al proprio sostentamento
quindi da quelle solide basi economiche a cui facevo riferimento.
Nella nostra scuola sempre più multietnica, questa forte
componente di addestramento alle attività permetterebbe,
oltre tutto, una più facile integrazione degli alunni stranieri,
spesso a disagio nei banchi ma più facilmente a loro agio
in palestra, o davanti alla tastiera di un computer. Non
ho detto niente di nuovo, già Gandhi ed altri hanno affermato
vanamente ciò che scrivo. Non vorrei che gli esperti perdessero
il loro tempo prezioso cercando di ricondurre le mie conclusioni
a questa o quella corrente educativa: inglese, americana,
cinese, perché anche se ho tratto spunto dallo studio di
queste l'unica molla che mi spinge ad agire urgentemente
è la realtà di quei due ragazzini che ho visto bucarsi e
del bambino che ha preferito volar via dalla finestra della
sua aula piuttosto che restare in quella che considerava
una prigione.
Pensiamo
infatti che una scuola "dell'obbligo" correttamente organizzata
e gestita sia l'unica carta in mano alla società per prevenire
simili drammi. Siccome una volta persi i ragazzi non si
recuperano più, questa è "l'Occasione", la scommessa vitale
che non possiamo più permetterci il lusso di perdere. Ecco
perché in questa scuola di base, oltre ai professionisti
di categoria per i laboratori, dovrebbero insegnare pochi
sceltissimi docenti, molto motivati, con grado di preparazione
alto e con stipendi manageriali. Esattamente, purtroppo,
il contrario di come è attualmente.
Bisogna
mettersi in testa che se l'intero ciclo dell'istruzione
è importante, il percorso davvero formativo, dunque essenziale,
è quello che comincia sui banchi della prima elementare
e si conclude al compimento dell'"obbligo". E' lì che si
decidono molti destini.
Di
questo indispensabile salto di qualità dovrebbero occuparsi
non solo le istituzioni scolastiche, ma secondo quello che
è il chiodo fisso della Lapis tutti gli attori sociali,
gli imprenditori, i pensionati di categoria, tutti coloro
che mettendo a disposizione le loro risorse, le loro conoscenze,
la loro esperienza vogliano contribuire alla realizzazione
della nostra idea per salvare il salvabile e togliere dalla
disperazione quelli fra i nostri ragazzi, e sono tanti purtroppo,
che si affacciano su quel pauroso baratro esistenziale.
Il progetto di scuola che abbiamo in mente non è così impossibile
da realizzare se localmente i vari enti cominceranno ad
investire sulla felicità dei bambini che abitano la zona.
E non è neanche vero che mancano le risorse, vanno soltanto
indirizzate giustamente.
Marilena
Farruggia Venturi
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