FOGLIO LAPIS - DICEMBRE 2000

 

 

Ci sono troppi ragazzi sulla soglia dell'alienazione, drammaticamente tentati dalla facile scorciatoia della droga - Un problema enorme, ma forse potrebbe contribuire ad affrontarlo una scuola che non sia una prigione, che sia coinvolgente, che sappia non solo istruire ma anche addestrare e perché no divertire - Una scuola che combatta la passività e si apra sul mondo

 

Ieri ho visto due ragazzini, non più che quindicenni, "bucarsi" proprio davanti ai miei occhi, alle ore 16 in pieno centro, ed ho sofferto per la mia oggettiva momentanea impotenza di fronte all'autodistruzione dei due adolescenti. Più tardi ho letto di Eddy, il tredicenne della provincia di Padova suicida a causa di un insuccesso scolastico. Solo educando si possono veramente cambiare le cose.

In questi anni di ricerche sulle lacune della scuola di base ho molto appreso ascoltando soprattutto i diretti interessati, cioè i ragazzi. Ecco perché nel momento in cui gli esperti stanno elaborando l'attesa riforma scolastica, quella del secolo, vorrei che tutti i cittadini si sentissero direttamente responsabili di ogni giovane che si perde. Vorrei anche che qualcuno degli addetti ai lavori prendesse atto di una duplice necessità: che la riforma sia come la vorrebbero i nostri giovani, che essa sia anche un'operazione antisuicidio, antidroga, antialienazione, per una scuola "da sballo".

I ragazzi, non tutti è chiaro, a scuola in genere si annoiano mortalmente e non serve a nulla, spesso neanche all'acquisizione dei cosiddetti "saperi essenziali", tenerli forzatamente seduti per cinque o sei ore di fila. E' cambiata la realtà italiana ed anche il più derelitto dei nostri bambini, a parte la piaga fortunatamente marginale del lavoro minorile, non deve zappare quando torna a casa, e raramente può sfogarsi all'aria aperta, ma passa invece molte ore davanti al televisore in una condizione di totale passività. E' stato constatato che quanto più la famiglia è in condizioni disagiate, tanto meno il bambino fa attività. Costretti tra le mura domestiche o dell'istituzione scolastica, lontani il più possibile dalla strada per paura che possano deviarsi, ai bambini, universi in nuce di potenzialità creative, non resta per combattere questa prigione di immobilismo forzato che la disperazione e il rifugio nel sogno.

Stiamo formando una generazione con troppi disperati e loro, poveri cuccioli, si ribellano alla nostra logica nell'unica trasgressione alla loro portata e cioè nella ricerca a tutti i costi di quello che chiamano "sballo", per scappare il più lontano possibile da noi e rifugiarsi in un loro mondo di sicuro meno violento e cinico del nostro. Un mondo infatti che ha bisogno di istituire la "Carta dei diritti del fanciullo" per tutelarli dalle perversioni dei grandi, la dice tutta su che tipo di vita vivono i nostri bambini. In questi anni ho sognato l'unione sinergica di tutti i settori della società intorno ad un problema, quello dell'evasione dalla scuola dell'obbligo, fatto anche di tanti bambini che a scuola ci vanno ma come automi forzatamente e appena possono "sballano", come possono, da una educazione che non riesce minimamente a coinvolgerli. Perché il primo sacrosanto diritto dei ragazzi è quello di lasciare sbocciare la potenzialità creativa individuale, la base cioè di una morale fondata sull'economia delle future singole attitudini lavorative. L'autostima, quella che mette in grado di accettare la realtà senza volerne fuggire, non può prescindere da ciò che il ragazzo sente di saper fare empiricamente nel mondo che lo circonda, se possibile divertendosi anche.

Vorrei la realizzazione di un'educazione generale che punti essenzialmente su questo aspetto pratico e che individui nella passività l'unico vero nemico da combattere. Un'educazione di base che preveda fra i saperi essenziali la capacità di compilare un vaglia o scrivere una lettera per cercare lavoro, tutto ciò che metta in grado il ragazzo di vivere da cittadino integrato nella sua società.

La mia ideale scuola "da sballo" prevede dunque che molta parte dell'attuale tempo didattico formativo sia occupato dai bambini in appositi spazi entro e fuori l'istituto dedicati alla falegnameria, alla cucina, ai computer, alla musica, insomma che l'istituto diventi un grande laboratorio. Soprattutto auspico che sia lo studente stesso a decidere giorno per giorno come passare il suo tempo scolastico. I ragazzi, se responsabilizzati, sono serissimi nel mantenere gli impegni che prevedono anche lo studio vero e proprio cioè il lavoro intellettuale. Nel programma della scuola, almeno cinque ore a settimana dovrebbero essere dedicate allo sport. Gli ultimi anni della scuola dell'obbligo, poi, dovrebbero prevedere che quella parte delle ore formative, trascorse gli anni precedenti negli spazi attrezzati dell'istituto, sia utilizzata dai ragazzi in stages presso banche, botteghe artigiane, fabbriche, laboratori scientifici e dovunque essi desiderino misurarsi con le loro capacità e i loro interessi in vista di un futuro lavorativo o di studi.

La moralità, ripeto, non può prescindere dall'autostima, dal mettersi cioè in grado di provvedere al proprio sostentamento quindi da quelle solide basi economiche a cui facevo riferimento. Nella nostra scuola sempre più multietnica, questa forte componente di addestramento alle attività permetterebbe, oltre tutto, una più facile integrazione degli alunni stranieri, spesso a disagio nei banchi ma più facilmente a loro agio in palestra, o davanti alla tastiera di un computer. Non ho detto niente di nuovo, già Gandhi ed altri hanno affermato vanamente ciò che scrivo. Non vorrei che gli esperti perdessero il loro tempo prezioso cercando di ricondurre le mie conclusioni a questa o quella corrente educativa: inglese, americana, cinese, perché anche se ho tratto spunto dallo studio di queste l'unica molla che mi spinge ad agire urgentemente è la realtà di quei due ragazzini che ho visto bucarsi e del bambino che ha preferito volar via dalla finestra della sua aula piuttosto che restare in quella che considerava una prigione.

Pensiamo infatti che una scuola "dell'obbligo" correttamente organizzata e gestita sia l'unica carta in mano alla società per prevenire simili drammi. Siccome una volta persi i ragazzi non si recuperano più, questa è "l'Occasione", la scommessa vitale che non possiamo più permetterci il lusso di perdere. Ecco perché in questa scuola di base, oltre ai professionisti di categoria per i laboratori, dovrebbero insegnare pochi sceltissimi docenti, molto motivati, con grado di preparazione alto e con stipendi manageriali. Esattamente, purtroppo, il contrario di come è attualmente.

Bisogna mettersi in testa che se l'intero ciclo dell'istruzione è importante, il percorso davvero formativo, dunque essenziale, è quello che comincia sui banchi della prima elementare e si conclude al compimento dell'"obbligo". E' lì che si decidono molti destini.

Di questo indispensabile salto di qualità dovrebbero occuparsi non solo le istituzioni scolastiche, ma secondo quello che è il chiodo fisso della Lapis tutti gli attori sociali, gli imprenditori, i pensionati di categoria, tutti coloro che mettendo a disposizione le loro risorse, le loro conoscenze, la loro esperienza vogliano contribuire alla realizzazione della nostra idea per salvare il salvabile e togliere dalla disperazione quelli fra i nostri ragazzi, e sono tanti purtroppo, che si affacciano su quel pauroso baratro esistenziale. Il progetto di scuola che abbiamo in mente non è così impossibile da realizzare se localmente i vari enti cominceranno ad investire sulla felicità dei bambini che abitano la zona. E non è neanche vero che mancano le risorse, vanno soltanto indirizzate giustamente.

 

Marilena Farruggia Venturi

 

 

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