Buongiorno
a tutti e grazie a chi ha organizzato queste due giornate,
soprattutto all’associazione Lapis e a chi ha aiutato
fattivamente. Era una sfida che si proponeva anche la
presidente e devo dire che la prima parte è stata veramente
ricca perché la prima parte di queste due giornate ci
richiama tutti a dire che la Provincia è in ascolto di
quello che verrà dibattuto in queste due giornate, di cosa
può essere il percorso anche da sperimentare in piccolo
nelle nostre comunità. Come tutti gli appuntamenti
importanti, devono avere questo iter, una preparazione, un
momento di riflessione e poi veramente anche se pur minima
per vedere l’efficacia e testare ciò di cui abbiamo
discusso. Sicuramente molte cose sono già state dette
quindi io non ripeterò ciò che ho sentito, con cui
concordo. Ci sono due drammi che si confrontano nelle nostre
riflessioni, il dramma di Abele e il dramma di Caino. Le
aspettative di Abele e le aspettative di Caino. Poi questi
ruoli si possono anche… talvolta è molto difficile capire
chi è Abele, chi Caino, però la questione fondamentale è
proprio questa: capire queste aspettative, questi drammi,
qual è la ricostruzione della persona e di conseguenza la
ricostruzione di un tessuto sociale. Questo per quanto
riguarda chi è reo oppure vittima, e avendo questo tipo di
attenzione, la stessa attenzione che veramente delinea dei
percorsi paralleli ma che devono raggiungere un unico
obiettivo, che è quello della ricomposizione di una società
che vive nella paura, che vive nel disagio, e poi, la
criminalità è legata al disagio? Solo al disagio? Faccio
un esempio che in questi giorni sentiamo tutti, il bullismo
e altre cose, sono legate al disagio? Io dico di sì,
disagio personale, fragilità, solitudine, incomprensione,
forse un agio esagerato, più che disagio, forse i mass
media… ne potremmo fare di considerazioni.
É
vero, nella nostra provincia ad esempio aumenta l’indice
di immigrazione: è indice di aumento di criminalità? Però
nella percezione della sicurezza sicuramente è questa
percezione della diversità che poi la paura crea, anche se
alzare i muri e non vedere ciò che vi fa paura in realtà
tampona ma non risolve la paura. Questo vuol dire eliminare
il sistema carcerario? Io su questo non concordo, ma
certamente abbiamo necessità di cambiarlo notevolmente,
molti passi sono stati fatti. Sicuramente dobbiamo tornare a
quello che è il tentativo così bene espresso nella
Costituzione e che ancora non è stato attualizzato in
realtà, che è quello di avere la certezza della
pena e una giustizia giusta, giusta per tutti, il che vuol
dire dalla parte del reo e dalla parte della vittima. Dopo
di che ci sono i delitti odiosi, i crimini di mafia, della
‘ndrangheta, il terrorismo, la pedofilia, ce ne sono
tantissimi, e che dire poi di chi ha degli squilibri
psichici. Qual è il futuro di una persona che ha questa
tipologia? Qual’è la forma che rassicura una società
sconvolta al pensare che nella nostra mente – questo è
ancora più insidioso – si nasconde questa potenzialità?
Quindi io credo che l’unica nostra rassicurazione,
l’unica nostra forza per affrontare queste sfide – che
sono sfide vecchie, e sfide nuove, ma le domande sono sempre
le solite: come io persona ho un futuro? Che tenga conto del
mio passato ma che qualcuno mi dica che cosa posso fare
perché io diventi diverso e sia uno tra gli altri che si
reinserisce, non mi viene offerta soltanto un’assistenza,
ma mi viene offerta un’opportunità, una chance.
Questa
è veramente la grande sfida. Gli strumenti si possono
cambiare ma l’obiettivo finale da raggiungere è sempre
quello, lo era ieri con mezzi diversi, lo è oggi, lo sarà
domani. Con un’attenzione, questa la nostra difficoltà,
di avere mezzi flessibili, intelligenti, che captano il
disagio quando c’è disagio, e lo fanno diventare invece
un reato quando esiste il reato. Noi stiamo a rincorrere
sempre l’emergenza. L’azione dell’indulto in realtà
che cosa ha prodotto? Ha prodotto un reinserimento sociale?
Magari. Ha prodotto che cosa? E’ stato un tamponare
un’emergenza, non è certo una strategia che guarda al
medio e lungo termine. Le due giornate di studio hanno
questa valenza forte: di identificare delle vie, delle
strategie, anche da sperimentare, in piccolo e in grande, e
capire quali sono i nuovi strumenti da affilare pienamente
per raggiungere l’obiettivo, di rassicurazione per chi è
stato vittima che la giustizia c’è, che c’è una
giustizia giusta, che c’è una protezione sociale che
avvolge la vittima e non la fa diventare vendicativa con la
voglia di farsi giustizia da sola.
Dall’altra
parte della medaglia, la solita medaglia, di cui facciamo
parte, è chi ha commesso il reato, che sicuramente avrà in
cuor suo, magari in ascolto sepolto, quello di essere una
persona, e di essere considerato ciò che magari nessuno ha
mai considerato. Io credo che sia la rete tra di noi, tra
soggetti diversi, che va da chi si occupa di ordine pubblico
a quello istituzionale, a quello delle associazioni a quello
dei familiari delle vittime, a quello dei familiari di chi
ha veramente – questi due drammi anche familiari si
assomigliano molto – ascoltando sia i familiari della
vittima sia i familiari di chi ha commesso il reato. La
mamma di chi ha commesso il reato e la mamma di una vittima:
non ha niente a che vedere col perdono personale, io sto
parlando di una dinamica di aspettative che sono al di là
del perdono e della strada della catarsi personale che uno
fa per raggiungere un bene maggiore. Io su questo ringrazio
l’associazione: credo che questo sia un momento cui ne
seguiranno altri, e la nostra sfida in piccolo – ma
guardiamo anche a quello che succederà a livello nazionale,
a livello europeo, a livello mondiale, perché questa è una
sfida per ogni paese… c’è chi ancora è legato alla
pena di morte, e ormai si sa che ad una lettura approfondita
dei dati non è il deterrente – riemerge quanto cresce
l’insicurezza, la voglia di punire, “facciamola finita
una volta per tutte” e quindi la sicurezza che si
riguadagna alzando muri. Ringrazio ancora gli organizzatori,
ringrazio i relatori e soprattutto ringrazio chi
quotidianamente opera in questa direzione di ascolto
profondo della vittima e del reo.
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Mirella Ricci
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