Le nuove
risposte che ci sono pervenute dopo che nello
scorso numero del Foglio Lapis (dicembre 1999)
avevamo illustrato le prime risultanze del
sondaggio, non mutano se non in misura marginale
le tendenze delineatesi allora. Sul punto che la
scuola italiana va rinnovata dalle fondamenta il
consenso è praticamente unanime: ma l'esito del
sondaggio rivela che ci sono resistenze
minoritarie, di tipo apparentemente conservatore,
su alcuni dei punti che avevamo sottoposto all'attenzione
degli interessati. In particolare sui punti che
si riferiscono ai tempi della scuola. Il 18 per
cento del nostro campione non vuole un calendario
scolastico meglio distribuito nel corso dell'anno:
cioè con più prolungate vacanze invernali e
primaverili a scapito della tradizionale sosta
estiva. Questa riserva è soprattutto diffusa fra
i ragazzi (19,8 per cento, in pratica uno ogni
cinque), mentre fra gli adulti, genitori o
insegnanti che siano, viene condivisa soltanto
dall'11,7 per cento. Rimane ovviamente il fatto,
e questo vale anche per le altre riserve
illustrate più avanti, che la stragrande
maggioranza di coloro che hanno accettato di
sottoscrivere il nostro "decalogo"
concorda anche sull'opportunità di riformare il
calendario. E' infatti perentorio un responso
condiviso dai quattro quinti del campione. Quanto al
sabato libero da impegni scolastici, anche qui si
registra una consistente quota di scettici: il 10,9
per cento di coloro che hanno accettato di
sottoscrivere il nostro appello (il 9,5 per cento
dei ragazzi e l'11,7 degli adulti) precisa
infatti di non volere la "settimana corta".
Da alcune annotazioni che accompagnano i
formulari firmati che ci sono pervenuti è
possibile individuare la causa di questa
riluttanza. In margine a una scheda troviamo la
seguente domanda: "e se i genitori lavorano?"
In un'altra un'affermazione: "niente scuola
il sabato solo se i genitori non lavorano".
E' questo un modo di considerare il problema dell'orario
che risente di una concezione della scuola,
certamente riduttiva ma non priva di motivazioni,
come luogo di "parcheggio" per bambini
e ragazzi che sarebbero altrimenti abbandonati a
se stessi. Una possibile risposta a queste
riserve consiste nella facoltà, che le norme
sull'autonomia riconoscono ai capi d'istituto, di
tenere i locali della scuola, oltre l'orario
delle lezioni, a disposizione dei ragazzi come
luogo d'incontro e di aggregazione. Dunque niente
lezioni il sabato, ma scuola aperta per chi
desideri frequentare la biblioteca, o incontrare
i compagni in palestra per farvi sport, o musica,
o spettacolo. Con l'immagine implicita di una
scuola amica, ospitale, confidenziale.
Un terzo
punto che ha suscitato significative riserve è
quello che si riferisce ai compiti per le vacanze.
Il 7,8 per cento del nostro campione non vuole
che vengano aboliti. Comprensibilmente la
percentuale è più ridotta fra i ragazzi (6,1
per cento), mentre fra genitori e insegnanti
raggiunge il 13,5 per cento. Va da se' che questa
proposta è strettamente correlata con la
rivoluzione del calendario, che riducendo le
vacanze estive limiterebbe le conseguenze di una
troppo prolungata assenza dai banchi di scuola.
Bisogna d'altra parte considerare la possibilità
di trasformare i compiti per le vacanze in
semplici suggerimenti: letture o viaggi o
spettacoli tematicamente correlati con i
programmi di studio, sui quali sia possibile
costruire relazioni non necessariamente legate
alla scrittura, ma anche per esempio alla
fotografia, al collage, alle videoriprese.
Probabilmente ha in mente qualcosa del genere
colui che in margine al formulario ha scritto
queste parole: "da valutare esperienze
integrative della didattica tradizionale".
Una reazione
singolare ha prodotto la proposta contenuta nel
primo punto del nostro decalogo, relativa a un'informazione
periodica per tutti gli utenti della scuola da
parte del Ministro della Pubblica Istruzione.
Certo, anche qui la stragrande maggioranza del
campione, in particolare la quasi totalità degli
adulti, è d'accordo: ben venga il notiziario
mensile del Ministero, che ci racconterà nell'ottica
ufficiale quel che bolle nel calderone della
scuola. Ma fra i ragazzi c'è una fetta
abbastanza significativa, il 4,9 per cento del
totale, che di quest'altro "testo"
proprio non ne vuol sapere. Forse la vedono come
una lettura obbligatoria, e di letture
obbligatorie ne hanno abbastanza. Ma rimane
certamente possibile ricondurre questa azione
informativa a quella visione dei rapporti
interpersonali nella scuola che uno dei nostri
sottoscrittori ha riassunto con queste parole,
annotate in margine alla scheda:
personalizzazione, coinvolgimento di insegnanti e
alunni.
Qualche
riserva, soprattutto da parte dei ragazzi, si
registra anche nel campo delle proposte volte a
migliorare le condizioni degli insegnanti e la
loro professionalità. Fra il cinque e il dieci
per cento degli alunni coinvolti nel nostro
sondaggio non condivide l'opportunità di
adeguare la retribuzione dei docenti (adeguamento
che nella nostra proposta, del resto
larghissimamente condivisa, si propone anche di
riequilibrare il corpo insegnante a vantaggio
della componente maschile), né quel tentativo di
"professionalizzazione" dell'insegnamento
che si vorrebbe affidare a una retribuzione e a
una carriera non più dipendenti soltanto dall'anzianità
di servizio, ma anche dai meriti didattici.
Ci
aspettavamo che il punto dei libri gratuiti per
tutti, nelle classi dell'obbligo, raggiungesse
una unanimità senza riserve. Non è così: una
minoranza ridotta ma significativa del nostro
campione, il 3,5 per cento, dichiara di non
condividere questa aspirazione, che pure dovrebbe
tradurre in pratica una precisa norma
costituzionale. Ci permettiamo di interpretare
questa posizione: probabilmente chi rifiuta di
sottoscrivere la gratuità dei testi scolastici
nell'istruzione dell'obbligo ritiene che chiunque
abbia la possibilità di pagarli è meglio che lo
faccia. Mentre le risorse pubbliche da
mobilitarsi per garantire a tutti la disponibilità
del materiale scolastico dovrebbero essere
concentrate a vantaggio delle famiglie disagiate.
Un punto di vista rispettabile, ma che presenta
due aspetti inaccettabili: il primo è la lesione
evidente del dettato costituzionale, il secondo
la classificazione di fatto dei ragazzi che ne
deriverebbe, con tutte le possibili ripercussioni
psicologiche del caso, sulla base dei rispettivi
redditi familiari.
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