FOGLIO LAPIS - DICEMBRE '99

 

 

LA SCUOLA CHE VOGLIAMO: L'ESITO DEL SONDAGGIO LAPIS

 

RINNOVARE, CON QUALCHE RISERVA

 
Sul punto che la scuola italiana va rinnovata dalle fondamenta il consenso è praticamente unanime: ma l'esito del nostro sondaggio rivela che ci sono resistenze marginali, di tipo apparentemente conservatore, su alcuni dei punti che avevamo sottoposto all'attenzione degli interessati. In particolare sui punti che si riferiscono agli orari di scuola. Il 13,8 per cento del nostro campione non vuole un calendario scolastico meglio distribuito nel corso dell'anno: cioè con più prolungate vacanze invernali e primaverili a scapito della tradizionale sosta estiva. Questa riserva è soprattutto diffusa fra i ragazzi (15,3 per cento), mentre fra gli adulti, genitori o insegnanti che siano, viene condivisa soltanto dal 9,8 per cento. Rimane ovviamente il fatto, e questo vale anche per le altre riserve che illustriamo più avanti, che la stragrande maggioranza di coloro che hanno accettato di sottoscrivere il nostro "decalogo" concorda anche sull'opportunità di riformare il calendario.

Quanto al sabato libero da impegni scolastici, anche qui si registra una consistente quota di scettici: il 12,8 per cento di coloro che hanno accettato di sottoscrivere il nostro appello (il 13,2 per cento dei ragazzi e il 12 degli adulti) precisa infatti di non volere la "settimana corta". Da alcune annotazioni che accompagnano i formulari firmati che ci sono pervenuti è possibile individuare la causa di questa riluttanza. In margine a una scheda troviamo la seguente domanda: e se i genitori lavorano? In un'altra un'affermazione: niente scuola il sabato solo se i genitori non lavorano. E' questo un modo di considerare il problema dell'orario che risente di una concezione della scuola, certamente riduttiva ma non priva di motivazioni, come luogo di "parcheggio" per bambini e ragazzi che sarebbero altrimenti abbandonati a se stessi. Una possibile risposta a queste riserve consiste nella facoltà, che le norme sull'autonomia riconoscono ai capi d'istituto, di tenere i locali della scuola, oltre l'orario delle lezioni, a disposizione dei ragazzi come luogo d'incontro e di aggregazione. Dunque niente lezioni il sabato, ma scuola aperta per chi desideri frequentare la biblioteca, o incontrare i compagni in palestra per farvi sport, o musica, o spettacolo. Con l'immagine implicita di una scuola amica, ospitale, confidenziale.

Un terzo punto che ha suscitato significative riserve è quello che si riferisce ai compiti per le vacanze. Il 7,2 per cento del nostro campione non vuole che vengano aboliti. Comprensibilmente la percentuale è molto più ridotta fra i ragazzi (4,5 per cento), mentre fra genitori e insegnanti raggiunge il 13,8 per cento. Va da se' che questa proposta è strettamente correlata con la rivoluzione del calendario, che riducendo le vacanze estive limiterebbe le conseguenze di una troppo prolungata assenza dai banchi di scuola. Bisogna d'altra parte considerare la possibilità di trasformare i compiti per le vacanze in semplici suggerimenti: letture o viaggi o spettacoli tematicamente correlati con i programmi di studio, sui quali sia possibile costruire relazioni non necessariamente legate alla scrittura, ma anche per esempio alla fotografia, al collage, alle videoriprese. Probabilmente ha in mente qualcosa del genere colui che in margine al formulario ha scritto queste parole: da valutare esperienze integrative della didattica tradizionale.

Una reazione singolare ha prodotto la proposta contenuta nel primo punto del nostro decalogo, relativa a un'informazione periodica per tutti gli utenti della scuola da parte del Ministro della Pubblica Istruzione. Certo, anche qui la stragrande maggioranza del campione, in particolare la quasi totalità degli adulti, è d'accordo: ben venga il notiziario mensile del Ministero, che ci racconterà nell'ottica ufficiale quel che bolle nel calderone della scuola. Ma fra i ragazzi c'è una fetta abbastanza consistente, il 6,8 per cento del totale, che di quest'altro "testo" proprio non ne vuol sapere. Forse la vedono come una lettura obbligatoria, e di letture obbligatorie ne hanno abbastanza. Ma rimane certamente possibile ricondurre questa azione informativa a quella visione dei rapporti interpersonali nella scuola che uno dei nostri sottoscrittori ha riassunto con queste parole, annotate in margine alla scheda: personalizzazione, coinvolgimento di insegnanti e alunni.

Qualche riserva, soprattutto da parte dei ragazzi, si registra anche nel campo delle proposte volte a migliorare le condizioni degli insegnanti e la loro professionalità. Poco meno del cinque per cento degli alunni coinvolti nel n ostro sondaggio non condivide né l'opportunità di adeguare la retribuzione dei docenti (adeguamento che nella nostra proposta, del resto larghissimamente condivisa, si propone anche di riequilibrare il corpo insegnante a vantaggio della componente maschile), né quel tentativo di "professionalizzazione dell'insegnamento che si vorrebbe affidare a una retribuzione e a una carriera non più dipendenti soltanto dall'anzianità di servizio, ma anche dai meriti didattici.

Ci aspettavamo che il punto dei libri gratuiti per tutti, nelle classi dell'obbligo, raggiungesse una unanimità senza riserve. Non è così: una minoranza ridotta ma significativa del nostro campione, il 4,5 per cento, dichiara di non condividere questa aspirazione, che pure dovrebbe tradurre in pratica una precisa norma costituzionale. Ci permettiamo di interpretare questa posizione: probabilmente chi rifiuta di sottoscrivere la gratuità dei testi scolastici nell'istruzione dell'obbligo ritiene che chiunque abbia la possibilità di pagarli è meglio che lo faccia. Mentre le risorse pubbliche da mobilitarsi per garantire a tutti la disponibilità del materiale scolastico dovrebbero essere concentrate a vantaggio delle famiglie disagiate. Un punto di vista rispettabile, ma che presenta due aspetti inaccettabili: il primo è la lesione evidente del dettato costituzionale, il secondo la classificazione che ne deriverebbe, con negative ripercussioni psicologiche, dei ragazzi sulla base dei rispettivi redditi familiari.

 
     

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