Superando
ogni frontiera internet ha trasformato in relazioni sociali
quelle che un tempo erano interazioni territoriali. Si
tratta di un fenomeno virtuale, generatore di ansie e
fobie. Addirittura c'è chi parla di “demenza
digitale”
Il
sociologo e psicoanalista tedesco Erich Fromm, in Anatomia
della distruttività umana del 1973, affermava che
“l'uomo ha bisogno di trovare nuovi legami con i suoi
simili; ne dipende la sua stessa salute mentale. Senza forti
legami affettivi col mondo, soffrirebbe di un profondo isolamento
e smarrimento. Ma per creare rapporti con gli altri, ha
vari modi accertabili”. Non immaginava ancora che
l’avvento, di lì a poco, di internet avrebbe
trasformato le interazioni territoriali in relazioni sociali,
accentuando il divario fra luogo e socialità. L’appartenenza
al territorio in cui si vive avrebbe lasciato il posto alla
comunità virtuale, ad un insieme di individui accomunati
dalla condivisione di valori ed interessi e capace di trascendere
i confini fisici ed il contesto all’interno del quale
avviene l’interazione.
Anche se il concetto
di “rete sociale” nasce a fine ‘800, è
con l’avvento del digitale che ha assunto le forme
e le dimensioni che tutti conosciamo, soprattutto tramite
la diffusione dei social network. La loro nascita, o meglio
le prime orme, sono da ricercare nel lavoro dello statunitense
Andrew Weinreich che nel 1997 lancia il sito SixDegrees.com
con l’obiettivo di creare relazioni fra persone, ed
in particolare facilitare incontri amorosi senza correre
il rischio di imbattersi in false identità o in malintenzionati.
Diversa la missione di Ryze, fondato da Adrian Scott nel
2001, che si proponeva di mettere in contatto fra di loro
i professionisti aziendali, soprattutto i nuovi imprenditori.
Ed è del 2003 Friendster di Jonathan Abrams il primo
social capace di mostrare le foto degli utenti ed il loro
vero nome facilitando, in questo modo, la ricerca delle
persone e la possibilità di accedere al relativo
profilo prima di collegarsi alla loro rete. Da questi, negli
immediati anni successivi, i social che tutti conosciamo
quali Twitter, Facebook, Youtube, etc. solo per citarne
alcuni.
Se
vogliamo, e soltanto a livello didattico-esplicativo, possiamo
individuare tre momenti di sviluppo: origini (creazione
ed esplorazione di reti sociali chiuse accessibili solo
su invito), maturazione (le reti sociali da chiuse diventano
aperte con iscrizione libera ed accessibile a tutti), espressiva
(sono le reti odierne che permettono di gestire i diversi
aspetti dell’esperienza personale sia a livello relazionale
che di manifestazione della propria persona).
Naturalmente
il dibattito è ancora aperto fra quanti ritengono
che l’uso di internet favorisca la creazione di una
realtà virtuale con relativo isolamento dal mondo
tangibile e quanti vedono nel digitale un prolungamento
della vita concreta capace di costruire interazioni simili
per modi e caratteristiche a quelle reali.
Così
come è un dato di fatto che la proliferazione e la
diffusione dei social media sono state capaci di rendere
le persone sempre connesse fra di loro. Se ciò da
un verso ha degli indubbi lati positivi, dall’altro
è la causa dell’insorgenza di nuove forme di
fobie caratterizzate da stati di ansia che generano paura
immotivata ed irrazionale. Una di queste è stata
studiata, nel 2013, da Andrew Przybylski, ricercatore della
Oxford University, e prende il nome di Fear of missing out
(FOMO). Essa è caratterizzata dall’ansia di
essere assenti a presunte esperienze piacevoli che altri
stanno vivendo in un dato momento e dal persistente desiderio
di essere sempre connessi con l’esterno tramite l’ausilio
dei social network. Allo stato attuale non è una
malattia riconosciuta, ma si tratta di una vera e propria
forma di ansia sociale che implica il continuo confronto
con gli altri.
I
soggetti affetti da FoMo vivono in una sorta di circolo
vizioso: la solitudine è riempita dall’apparente
compagnia dei social che li induce a vivere in uno stato
di solitudine ancora maggiore che cercano di colmare sempre
tramite l’ausilio dei social. Secondo lo psicologo
John Grohol per gli affetti da FoMo comunicare è
più importante della vita stessa, ed ancora, la comunicazione
potenziale diventa più importante della comunicazione
in corso. Interessante è riflettere sul fatto che
in Sud Corea, il paese più cablato al mondo, l’internet
addiction è considerata un’emergenza per la
salute pubblica tanto da aver preso in seria considerazione
il fenomeno della “demenza digitale”.
C’è
da chiedersi, a questo punto, se non sia il caso di imboccare
la strada indicata da Eckart von Hirschhausen denominata
JOMO (Joy of missing out), ossia la gioia di perdersi qualcosa.
Idea che potrebbe essere declinata con la necessità
di prendersi del tempo per sé per migliorare la qualità
della vita, perché prima di comunicare con gli altri
è assolutamente necessario prendersi cura dei propri
pensieri. Tenendo presente quanto afferma Nicholas Epley,
secondo il quale, quando ci si relaziona, si mettono in
circolo emozioni, si genera benessere.
Clemente Porreca
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