Un
secolo e mezzo dopo la morte uno degli artefici dell'unità
d'Italia sembra avvolto nell'oblio. Un episodio significativo:
i docenti di una scuola lombarda respingono la richiesta
degli studenti di un ciclo di conferenze su Mazzini. ”Non
è attuale“, questa la motivazione
Lo
scorso 10 marzo ricorrevano centocinquanta anni dalla morte
di Giuseppe Mazzini ma la circostanza non ha avuto, sia
nell'ambito istituzionale sia nella copertura mediatica,
l'attenzione che ci si poteva aspettare. In fondo si tratta
di uno dei padri della patria celebrati nel capitolo risorgimentale
dei testi scolastici, ma chi legge più quei testi,
in un sistema didattico che mortifica l'insegnamento della
storia? Mazzini fu un filosofo e un pensatore politico,
oltre che un rivoluzionario organizzatore di attentati e
spedizioni cruente. Il suo “Dei doveri dell'uomo”
è uno dei capisaldi della cultura morale che ispirò
l'Ottocento europeo. Se non altro per questo la scuola,
in particolare la scuola italiana, non dovrebbe ignorarlo.
Certo,
all'atto pratico ebbe minor fortuna degli altri padri della
patria, di Vittorio Emanuele II che aborriva in quanto sovrano
ma soprattutto di Garibaldi e di Cavour, che al servizio
dell'obiettivo unitario avevano posto rispettivamente lo
slancio impetuoso dei volontari e una consumata abilità
politica e diplomatica. Come ha notato Corrado Augias, il
fondatore della Giovine Italia è sempre rimasto ai
margini della memoria risorgimentale, la sua figura è
tristemente solitaria, esattamente come lo fu la sua morte
un secolo e mezzo fa. La morte di un sovversivo repubblicano,
clandestino e latitante sotto falso nome, a suo tempo condannato
a morte, nell'Italia monarchica che pure al di là
delle intenzioni aveva contribuito a fondare. Eppure Garibaldi,
l'ex discepolo che si era distaccato dal maestro facendo
il grande salto verso le ragioni della Realpolitik, che
necessariamente vincolavano l'unità al contributo
del Regno piemontese, ebbe parole di commossa partecipazione:
“sulla tomba del grande italiano sventoli la bandiera
dei Mille!”
C'è
un episodio che illustra perfettamente l'atteggiamento della
scuola italiana verso questo personaggio. Alcuni allievi
di un istituto secondario di secondo grado, l'Iss “Europa
unita” di Lissone (provincia di Monza-Brianza) invitano
Francesco Borgonovo, un giornalista interessato ai temi
storici e autore di un recente saggio sul patriottismo (“Conservare
l'anima”, ediz. Lindau), a tenere a titolo gratuito
per gli alunni di quarta e quinta un ciclo di tre conferenze
sulla figura di Mazzini. Qualche giorno più tardi,
mentre Borgonovo sta preparando il materiale, i promotori
dell'iniziativa gli fanno sapere che non se ne fa nulla.
Il consiglio d'istituto ha respinto la richiesta dei ragazzi.
Comprensibilmente
incuriosito, il mancato conferenziere entra in qualche modo
in possesso del verbale della seduta che il consiglio d'istituto
ha dedicato al progetto. E così finalmente conosce
le ragioni del diniego. Prima di tutto la sua presenza non
era gradita in quanto non si trattava di uno storico ma
di un giornalista. Obiezione opinabile ma in qualche misura
comprensibile: si pensa dunque di appoggiare la richiesta
degli alunni invitando uno storico di professione? Niente
affatto: a parte questo dettaglio, sono le motivazioni relative
alla figura di Mazzini a lasciare francamente sconcertati.
Secondo il dirigente dell'istituto non c'è alcuna
necessità di approfondire la conoscenza del personaggio,
né di portare gli studenti a una riflessione sul
patriottismo. La condanna è netta, senza appello:
Mazzini “non è attuale né centrale”.
E quanto al patriottismo, perché risvegliarlo ricorrendo
a quella figura obsoleta quando si ha a disposizione, per
esempio, la Resistenza?
Evidentemente
il consiglio d'istituto di Lissone non sa rendersi conto
dei profondi legami che intercorrono fra le idee formulate
da Mazzini in pieno Ottocento e quelle che nei primi anni
Quaranta del secolo successivo hanno animato la Resistenza.
Né sa prendere atto della circostanza che l'anniversario
di marzo chiama in causa Mazzini e le sue opere e non le
gesta dei partigiani della libertà. E così
una irragionevole chiusura ha privato i ragazzi di Lissone
di un approfondimento che certamente non sarebbe stato inutile.
Eppure l'iniziativa di quei giovani, che in fondo desideravano
saperne di più sullo scomodo personaggio storico,
riscatta il discutibile atteggiamento delle autorità
scolastiche. Ci auguriamo che non sia andata sempre così,
forse in altre scuole si è rimossa un po' della polvere
che si è accumulata sul più controverso fra
i padri della patria. Ma non c'è da farsi troppe
illusioni, la nuvola dell'oblio sembra ormai avvolgere l'austera
figura di Mazzini, che dai monumenti sparsi nelle piazze
d'Italia guarda perplesso il suo Paese ingrato.
Alfredo Venturi
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