Questa
Fantastica porta una data: febbraio 2012 - Racconta un
viaggio negli Stati Uniti lungo storiche rotte e propone
spunti di singolare attualità nei giorni del coronavirus,
per questo la riproponiamo - Un rapido aggiornamento?
- Eccolo: i coyotes negli spazi lasciati sgombri dall'epidemia,
i bravi cittadini che corrono a comprarsi il fucile e
far provvista di munizioni
Quella
che trovate qui rappresentata, è l'anima "a-me-ricana"
(da "cano" cantare)
Cos'è
che la anima? Chi le dà il "la"?..
Non
si vede, ma è l'articolo. Questo che sto scrivendo
così articolato e disarticolato. È lui che
la tira, che le dà il "la", come un TIR
sulla mitica route 66, che attraversa gli Stati Uniti da
Chicago fino a Los Angeles. Per non mancarle di rispetto,
a lei non do mai del "lei", uso sempre il "la",
perché l'anima è femminile, e parla.
Noi
crediamo di avere tutto perché abbiamo due macchine,
la moto, la tivù al plasma, le carte di credito e
non sappiamo più che la felicità è
camminare su un sentiero in cima al mondo in un silenzio
azzurro. Ieri siamo andati a visitare un antico villaggio
indiano. Niente tende a cono e totem, niente Tex Willer.
Si parla di casine di fango e rametti, l'intramontabile
architettura dei nidi, messe una sopra all'altra o una appiccicata
all'altra, nell'incavo protettivo di una enorme caverna
naturale. Indiani antichissimi le abitavano. Nel 1300 se
ne erano già andati tutti. Da allora, quel commovente
grumo di casine è lì, in un silenzio abissale,
scolpite su una parete di canyon in terra e rocce rosse.
Tutto questo: i sentieri, il villaggio, il vento, i cactus,
le rocce, giace su un altissimo altopiano. Migliaia e migliaia
di metri al di sopra del polveroso livello su cui ci agitiamo
noi. Ma che cos'è l'altopiano? Intanto, basterebbe
scomporre in fattori primi la parola per capire: "alto"
e "piano". Magnifico, no? Comunque, è un
bordo del mondo, un bordo in alto, un bordo estremo. Tutto,
in quel punto del pianeta resta al di sotto, invisibile
e dimenticato. Sei in un punto in cui la Terra finisce appoggiandosi
al Cielo. Sopra di te solo cose lievi. Attorno, un'atmosfera
di rispettoso riguardo. Non è che con il Cielo lì,
a due passi fai tanta caciara. È un po' come entrare
in San Pietro durante la messa cantata della notte di Natale.
Tutto
taceva.
Camminavo
su questo sentiero nudo in mezzo all'aria e a uno spazio
così grande e bello.
Si
sentiva il vento per quello che è: il respiro del
mondo.
Poi
mi sono accorta che piangevo. Forse per rispetto, forse
per armonia. Di sicuro per quel silenzio e per quel cielo
che mi toccava.
Tanti
baci anima mia, tanti baci pieni di vento.
Perché
qui, lungo la storica route 66, è così: si
vedono gli animali come sono lì… in-vento.
Sono segnati dal 66, naturalmente. Mentre da noi si vedono
le bestie, tutte incravattate. Segnate dal 666. Sono state
segnate in fronte da un bel problema. Solo un bambino se
ne accorgerebbe, e direbbe indicando col ditino quel numero:
"…Ha un problema". La mamma che l'ha in
braccio, lo riprenderebbe… "Ma che dici?"…
Funziona
così: tutto a un tratto uno di noi in macchina comincia
a gridare: "Lì! Lì! Là! Lilà…
LAAAA!!!" E tutti girano la testa come indemoniati
cercando di vedere l'animale misterioso, perché chi
lancia l'urlo di avvistamento è troppo strozzato
e senza fiato per sillabare anche il nome dell'avvistato.
E così tu guardi freneticamente verso un punto imprecisato
dell'universo non sapendo se devi vedere un cavallo, un
grizzly, una pulce del deserto, una tigre, un serpente a
sonagli o Brad Pitt. E insomma, ieri, mentre guardavo spasmodicamente
in giro, ho visto questo essere grigio molto spettinato
sul bordo di un muretto. Subito per identificarlo mi è
scattato nella testa il denso sapere zoologico che segretamente
conservo in me per queste stupefacenti occasioni. "È
un cane?" ho pensato. "No, troppo strambo".
"Un orsacchiotto?". "No, troppo magro".
"Una lince?". "No. Troppo poco gattesco…
Un opossum? una volpe? un riccio? un dingo? un coguaro?
un'iguana? un puma?... No no no e no".
Mentre
annaspavo, ecco una voce nell'abitacolo: "GUARDATE!
UN COYOTE!!!!".
E
SUBITO UN GRAN VOCIARE: "Sì! sì! là!
ecco! un coyote! un coyote!" Tutti a fare i saputi
che riconoscono un coyote al volo passando a 75 miglia all'ora
sulla storica route 66.
È
stato un attimo, un magnifico attimo sospeso, un commovente
incontro interspecifico, poi, il coyote, si è girato
e ci ha mollato, come fosse "piovuto dal cielo",
non senza averci prima guardato per un secondo molto intenso
in cui, io lo so, ha pensato: "Ma che cavolo di animali
sono questi… Scimmie? Opossum? O… possum come
anticamente? Ricci?... Con quei capelli!... Cercopitechi?...
Che cerco?... Uomini?... Non me li ricordavo così
brutti!... Bestiale!... AH NO, ecco: COYOTES! Ecco cosa
sono: Coyotes"…
Bestie
che siamo!... "Bestie che siete!" come dicevano
una volta i maestri a scuola alle scolaresche… Dunque,
da ieri mi tormento di molte altre domande: due in particolare.
La prima: – Che cavolo di animale abbiamo visto noi?
La seconda: – Che cavolo di bestie ha visto il coyote?
Io
l'America la conosco pochissimo. Solo New York e Amherst
dove c'è la casa di Emily Dickinson. È abbastanza
vicino a Boston. È stato faticoso staccarsi dalle
radici, ma l'ho fatto con la convinzione mi facesse bene.
Infatti nel viaggio, velocissimo, altissimo e astutissimo,
una parte di me, la più lenta, vecchia e carogna
è rimasta indietro (eh eh eh) e così io adesso
sono qui solo con i miei rami, molto più allegra
e leggera.
Notazioni
e avvenimenti americani:
Conosciuto
scoiattolo al Grand Canyon, dato pezzetto di pane dolce
delle Hawaii, lui corso verso di me, messo sui suoi piedini
e tutto proteso verso di me agitato freneticamente sue manine,
minuscole e bellissime, per averne ancora, io dato, lui
preso, poi vuole ancora e ancora, io dato tutto, ovviamente,
ci siamo lasciati da grandi amici e prima di correre a vomitare
dietro a un albero, si è lasciato accarezzare e mi
ha appoggiato le manine minuscole e bellissime sulle gambe
e mangiato da mia mano. Tutti intorno incantati. Io più
incantata di tutti. Scoiattolo non so se incantato. Los
Angeles è per lo più identica a Topolinia.
Niente a che fare con le nostre mostrocittà. Americani
molto garbati sereni gentili non sembrano essere ostili,
anzi, pare che il prossimo sia loro gradito MA COME FANNO?????
Non c'è pressione: la quantità di umani per
metro quadrato è irrisoria. Loro sono 250 milioni
ma hanno una "casa" grandissima e non si pestano
i piedi.
Piccolo
orrore: in un autogrill nelle ex-terre degli Indiani. Ma
gli Indiani ci sono ancora, dentro a roulotte scassatissime
e casine tristissime e senza i loro amati bisonti. Vicino
alla cassa, fra gli snack, vendono grilli secchi. GRILLI!
GRILLI SECCHI DA MANGIARE… BESTIALE!
Quando
li ho visti ho pensato: "Ah, ecco! Adesso sì
che tutto torna: Siete quelli che hanno buttato l'atomica
su Hiroshima".
Prossime
puntate:
– Ho visto un coyote,
ma lui per fortuna non ha visto me!
– Numero dei morti
ogni anno nel Grand Canyon (ma saranno scemi!)
– Il Grand Canyon non
è giù ma su.
– Visto cerva mentre
cercavamo di vedere Cervo con cucciolo, il Cervino, scalato
da noi da Bonatti nel 1965. Fu l'ultima scalata. Date le
centinaia di migliaia di cartelli stradali che dicevano
"Occhio", qui c'è un cervello gigante maschio
che cercherà di sfondarvi la macchina a cornate.
– Le schifezze sono
buone! (a proposito del loro cibo).
– L'America è
bellissima!!!
– Il cielo qui è
molto più grande e azzurro del nostro. Ma MOLTO MOLTO
MOLTO. Se non vedete questo cielo, fate a meno di vantarvi
di aver visto il cielo.
– L'aria, forse per
rispetto verso il suddetto cielo, è pulitissima,
garbata, frizza, accarezza, si lascia bere e mangiare, è
trasparente buona incantevole, ti fa ricordare come era
l'aria prima dei nostri riuscitissimi esperimenti milanesi
di trasformarla in gas.
– Good bay –
o god baj? O gnok bavij? Boh! beh, ciao neh?
Una
notazione generale: qui sono tutti tondi come pianeti. Qualcuno
è proprio grasso; moltissimi, per ora, sono soltanto
tondi o a forma di patate come asteroidi… Ma cosa
mangiano? Palloncini?
Sentite
questa. Robe da matti. Mentre guardavo sul dizionario la
parola "lag", che vuol dire "ritardo",
mi è caduto l'occhio su quella seguente: "lager".
Ho pensato: "Questa la so", ma ho letto lo stesso.
E invece no, sapete che cosa significa? "Birra chiara"
e poi, tra parentesi, "di tipo tedesco"!!!...
Clac! Scatta qualcosa. Da qualche parte dell'universo tutto
cambia.
Occhio,
scrivo male, scrivo in fretta, scrivo alle 6 del mattino,
ma vi voglio raccontare tutto. Questa notte alle 3 mi sono
svegliata.
C'era
una luce in camera come un'Aurora Boreale. La Tv aveva una
lucina rossa a sinistra e una verde a destra. Una grossa
sveglia emetteva numeri rossi. L'interruttore del bagno
navigava in una tenera fluorescenza rosa. Sopra al frigobar
un forno a microonde con il dispay vèrdico acceso.
Di fianco allo specchio della camera, dal phon fissato al
muro, lampeggiava una luce rossa molto convincente. "Lavati
i capelli" diceva la luce rossa: "Dài!
Lavati i capelli". Mi sono alzata, in mezzo a tutte
quelle luci inutili che fanno graffi al buio e prima ho
pensato: "Cavolo, ma dove siamo, a Helsinki?"
E poi: "Quasi quasi mi lavo i capelli".
Poi
sono tornata a letto.
Ho
fatto un sogno-libro. Un brutto sogno-libro.
Sto
leggendo "La campana di vetro" della poetessa
americana Sylvia Plath, il suo unico libro in prosa. Lo
leggo a voce alta in macchina.
All'inizio
tutti insieme abbiamo anche riso. Era come una giornata
in febbraio: una grande bellezza, un innocente cielo azzurro,
però una lama fredda di vento increspava l'acqua.
Una sola lama orizzontale, solo sull'acqua. Chi sta a riva
può continuare a pensare: "Magnifica giornata,
sembra primavera". Chi guarda al largo rabbrividisce,
si stringe forte il golfino intorno al cuore e dice: "Andiamo
via, dài".
Questa
notte mi sono portata il libro in camera e prima di dormire
sono andata avanti a leggerlo d sola. Lei non è più
a New York con le sue amiche, non va più alle feste.
È tornata a casa, da sua madre. E prima non dorme
per 3 notti, poi per 8, poi per 21, poi le viene la bocca
piena di sabbia, poi le braccia le diventano pesantissime
e le tiene penzoloni lungo il corpo, poi la sua voce non
è la sua voce, poi si nasconde, poi striscia sul
pavimento perché non la veda il mondo attraverso
la finestra, poi la sua calligrafia diventa quella di una
bambina di 4 anni: grandissime lettere tremule in stampatello,
tutte sbilenche, che non sanno dove aggrapparsi, dondolano
un po' poi cominciano a scivolare giù per il foglio
in una specie di molle discesa occupandolo per sbieco.
Poi
le fanno l'elettrochoc.
Io
ho spento la luce.
E
ho fatto un brutto sogno. E il sogno è iniziato esattamente
nel posto della mia mente in cui avevo lasciato il libro.
C'era un punto d'attacco lì, di un materiale duro,
scuro, pieno di scanalature concave e curve, come una traccia
scavata da un verme con la forma di una grossa D maiuscola.
E
il sogno che si è presentato portava al suo inizio
lo stesso attrezzo metallico a forma di D, ma con i segni
lasciati dal verme convessi. Clac! Si è sentito nel
buio. E i due si sono agganciati. Poi mi sono svegliata
alle 3, in un punto in cui non volevo più sognare
quelle due ragazze che affogavano e una forse l'avevano
salvata e l'altra no. La cercavo disperatamente con gli
occhi nell'acqua, ma vedevo solo un'immensa forma nera a
stella che si muoveva come una gigantesca medusa e poi capivo
che quei tentacoli erano i sub che cercavano di salvarla
circondandola e che dentro c'era lei, nera, morta, sepolta
sotto i suoi soccorritori neri. E quella ero io, o Sylvia
Plath, perché quelli che scrivono poesie sono tutti
già morti. E in questo i poeti sono tutti uguali.
Comunque, c'è molta luce di notte in America. L'importante
è non chiudere gli occhi.
Punto
6, fattore primo di 66: Le schifezze sono buone.
Qui,
lungo la storica route 66 che da Chicago porta a Los Angeles,
si mangia di tutto: cibo messicano, cibo thai, cibo cinese,
cibo navajo, cibo italiano, cibo marziano, cibo himalayano,
cibo vegano, cibo giap. E cibo americano ovviamente.
Da
cosa si distingue il cibo autoctono? Dal fatto che è
sempre impacchettato; anche se lo fa la nonna, anche se
è appena uscito dal forno, paf!, come per magia –
magia nera – entra nel cellophan.
Ma
cosa prevede la rinomata cucina yankee? Soprattutto patatine.
Dorate, soffiate, a panforte, vaporizzate, intramuscolo,
frantumate da una macchina molto intelligente che gli toglie
la forma di patate e subito dopo le passa a un'altra macchina
molto intelligente che le modella a forma di patate. E poi
naturalmente le ficca nel cellophan.
Patate
coltivate nel formaggio sciolto, patate alla birra, patate
a forma di ricciolo di Marilyn Monroe, patate al cioccolato,
patate di bufalo, patate al quarzo, patate e noci, patate
ai lamponi, patate alle patate. E poi le più comuni:
olio fritto a forma di patate.
Ma
soprattutto patate al peperoncino. Ieri ne ho comprato un
pacchetto. "Flamin-hot" c'era scritto in mezzo
a un disegno rosso con altissime fiamme; e così non
si può dire che non mi avessero avvisato. Sul pacchetto
c'era scritto "53 grammi". "Pochino"
pensi. Poi lo apri e lui ti salta addosso come Hannibal
Lecter. Così impari a sottovalutarlo. Dentro ci sono
due patatine sottilissime che però pesano come un
coguaro per colpa dell'olio che hanno nelle vene. Tutto
il resto è peperoncino. Mezzo etto di polvere pirica.
Io faccio la gnorri e prendo la prima patatina. Lei si lascia
prendere. Perché sono addestrate così: a esploderti
dentro come i proiettili dum dum. La scena è questa:
Siamo in macchina, come sempre, a fare migliaia di chilometri
nel deserto dell'Arizona per correre a vedere rocce rosse
da una parte dello Stato e poi rocce rosse esattamente dalla
parte opposta dello Stato. Fra i due opposti le miglia si
contano a migliaia (eh eh eh). Gli altri parlano. Per lo
più, straparlano. Mentre io ingollo un paio di patatine.
Passano due secondi e faccio un gigantesco starnuto. "Salute!"
dice la mia anima gemella. Io provo con un grazie ma esce
un rantolo. Lei mi guarda e io le scoppio a tossire in faccia.
"Stai bene?" mi chiede. "Arrgh!". Cerco
di mandare giù, ma la polvere pirica ha aderito a
tutte le pareti interne e le tiene prigioniere. Mi si riempiono
gli occhi di lacrime. "Bello eh?" fa la mia anima
gemella indicando il paesaggio. Il peperoncino che si è
impossessato di me annuisce educatamente. Io piango e piango
mentre il peperoncino mi prende a calci la gola. "Basta!
Non ce la faccio" penso: "Devo chiedere un armistizio:
gli lascio tutta l'Arizona – decido – se il
peperoncino lascia me". Glielo propongo. Lui sferra
un attacco ancora più feroce. Mi vuole morta –
è inutile – e io non so come impedirglielo.
"Vuoi acqua?" chiede la mia anima gemella che
è intelligente mica per niente. E mi passa il bottiglione
da un litro e mezzo. Lo agguanto con gli artigli segreti
che abbiamo per queste occasioni, e BEVO! Il peperoncino
si imbizzarrisce e urla come il conte Dracula davanti all'aglio.
"Ah! Ah!" gli grido io: "Sei fritto!".
Ma è un errore, perché per le patatine di
fuoco questo è un grido di guerra, è il loro
grido, come per noi l'"Avanti Savoia!". E così
altro attaccone. Non basta più piangere e infatti
comincio a singhiozzare. La mia anima gemella mi guarda
costernata: "Vuoi che chiamo la mamma?". "No!"
fa il peperoncino scuotendomi la testa e poi le intima con
un antipatico tono da contadino: "Butta-la-bottiglia-d'acqua-fuori-dal-finestrino!".
La mia anima gemella però non abbocca. Mica è
intelligente per niente! Anzi, mi lega le mani, che il peperoncino
mi sta muovendo come una epilettica per tentare di farmi
rovesciare tutta l'acqua sui sedili e per terra, dà
un pugno sul naso al peperoncino e poi gli strappa la bottiglia
dalle zampe e me la versa tutta in bocca. Si sente sfrigolare
sempre più debolmente, mi esce un po' di fumo dagli
occhi e finalmente il peperoncino muore abbracciato alla
patata fritta. "Vedi, poveri" penso io "forse
non erano cattivi. Guarda come si amavano". E poi torno
a respirare.
Sono
passati solo dieci minuti. Non dovrei avere subito danni
cerebrali. Sono piuttosto resistente a queste cose: mi ricordo
che per il mio ultimo amore infelice non ho respirato per
un mese e mezzo. O che sia per questo o che ogni tanto non
mi ricordo chi è la mia anima gemella che tutti si
ostinano a venire a cercare da me?... Boh! Bè, pazienza,
comunque buono, molto buono il cibo qui.
Flagstaff,
duemila do' dici che siamo?
From: viviampoesia@alice.it
To: giodecarli@live.it
Subject: come
Nota
Nel
1855 il Congresso degli Stati Uniti d'America incaricò
il sottotenente Beale di eseguire una mappatura dell'Arizona
intorno a Flagstaff per consentire alla "66-esima"
proveniente da Chicago di attraversare il territorio con
20 uomini
80 muli
22 cammelli
200 pecore
10 carri…
Era
l'America fuori strada? Poteva essere l'Africa?
Filippo
Nibbi
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